venerdì 13 novembre 2015

Il mondo parallelo di Rodney Smith




Se c'è una qualità di cui non si ha mai abbastanza è la leggerezza, quella che, come voleva il grande Italo Calvino, non è mai da confondere con la superficialità, né con la sventatezza.
Ed è proprio la leggerezza alla Calvino quella che contraddistingue le foto di Rodney Smith, un grande fotografo americano nato nel 1947, autore di libri, protagonista di mostre e docente universitario. 
Insomma, un fotografo più che famoso, ma che io ho scoperto quasi per caso in questi giorni, mentre navigavo nel grande mare di internet e sentivo, come non mai, il bisogno di distrarmi da quello che succede intorno.
Le sue foto, per lo più in bianco e nero, rigidamente su pellicola e senza alcuna manipolazione digitali, mi sono parse da subito capaci di trasportarmi, quasi per magia, in un suo mondo parallelo, reale e irreale insieme, un mondo a parte, influenzato dal surrealismo e, soprattutto, dalla pittura di René Magritte.

A partire dall'abbigliamento dei suoi personaggi spesso in doppio petto e cappello, impeccabili anche quando spuntano tra le piante di un campo, armati di grandi cesoie


E anche quando si arrampicano su una scala, sempre con grande signorilità, per spiare oltre una siepe


oppure quando, come in un fumetto, cercano di vedere cosa succede dall'altra parte, infilando la testa tra le foglie



e, addirittura, quando, quasi completamente interrati, ma - si suppone- con lo stesso aplomb lasciano intravedere solo lucidi e  pulitissimi stivali.


Quelle di Rodney Smith sono sempre immagini fuori dal tempo, dal frastuono dell'attualità e delle mode passeggere. 
"La musica di oggi è discordante - afferma in un'intervista- l'arte, concettuale o meno, mi sembra volgare; la cultura è poco raffinata, manca di stile e di grazia... Il mondo delle mie fotografie è un mondo fuori del quotidiano: ci obbliga ad aspirare a qualcosa di più e a ricercare la civiltà e il garbo di un sorriso".
Ecco, è proprio il dono di un sorriso quello che Rodney Smith ci regala con immagini che, come questa del 2001 intitolata "Uomini con due scatole in testa", sembrano uscite da un film dei fratelli Marx o del primo Woody Allen


oppure come questa  di strani duellanti che si sfidano, in mezzo all'erba, a colpi di fotografie 


o di questi due cacciatori di farfalle che corrono dietro alle loro lievi prede con abiti bianchi e retini dall'aria ottocentesca


Certamente, in tutti i casi, si tratta di immagini raffinate che rimandanocome ammette lo stesso Rodney Smith, ai grandi maestri della fotografia, da Alfred Stieglitz a Henri Cartier Bresson, se non addirittura alla pittura dell'Ottocento o alla stilizzazione di certe stampe giapponesi.
Basta guardarle una dietro l'altra per lasciarsi affascinare dal misto di ironia e di levità dei suoi personaggi che possono ricordare protagonisti del cinema muto tra Harold Lloyd o Buster Keaton, come questo uomo che quasi  sparisce dietro un megafono


o  questo robusto signore che, in questa foto del 2001, intitolata "Un esercizio molto lento" sembra decisamente poco disposto al movimento 



E che dire poi di questa elegante signora che, nella foto del 2011 intitolata "Viktoria sotto il paralume", sorregge con classe niente di meno un abat-jour?


o di questo incauto passeggero che sembra essersi spinto decisamente troppo oltre


oppure di questo raffinato  gruppo di signori alla moda che, in una foto del 1995, ricompone, come in un balletto, lo "Skyline dall'Hudson River" di New York



L'impressione è  Rodney Smith si diverta spesso a giocare con le nostre sensazioni, cambiando le carte in tavola e spingendoci a guardare la realtà da un altro punto di vista, magari attraverso una lente di ingrandimento


oppure, come uno dei suoi personaggi in questa foto del 2012, arroccati in cima a una scala con un binocolo



L'intento sembra quello di sovvertire i luoghi comuni, di divertirci e di divertirsi a immaginare quanto può essere diverso il mondo se, come in questo autoritratto che tanto somiglia Magritte, lo si osserva non attraverso una macchina fotografica, ma attraverso una fotografia.





Chi vuole saperne di più sul concetto di fotografia di Rodney Smith può visitare il suo sito (qui è il link) o leggere una delle sue interviste (qui) 
Un video con altre foto di Rodney Smith è qui 



domenica 1 novembre 2015

I Mesi degli Arazzi Trivulzio: novembre



Sembra ieri che l’anno è cominciato e, invece, siamo già a novembre, il nono mese secondo il calendario romano da cui ha preso il nome.
È, dunque, arrivato il momento di guardare cosa ci riserva la penultima scena del calendario che ho scelto per quest’anno: gli arazzi con il Ciclo dei Mesi ora conservati nel Castello Sforzesco di Milano, commissionati agli inizi del Cinquecento, da Gian Giacomo Trivulzio, all'epoca governatore della città, alla manifattura di Vigevano ed eseguiti su disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (1460 ca- 1530).
Ed ecco, come appare il novembre di cinque secoli fa


Come succede in tutti gli altri arazzi, la scena è circondata da una cornice con gli stemmi dei Trivulzio e delle famiglie ad essi imparentate. 

In alto, al centro, appare il grande stemma dei Trivulzio, a sinistra è raffigurato il sole, mentre a destra compare la rappresentazione del segno zodiacale del mese: il Sagittario.
Nel cartiglio in basso, sorretto non da un'ara classica come negli altri Mesi, ma da un paiolo di rame ricolmo di polenta chiara, una scritta illustra le caratteristiche di novembre:
"Prata innovat olae cavet/ capris coire dat legit/ glandem arbors lina apparat/ november arma et rustica Novembre rinnova i prati; cura l'olivo, fa accoppiare le capre, raccoglie la ghianda della quercia, prepara il lino e gli strumenti agricoli

Al centro, seduto su un tavolaccio, il Mese è raffigurato come un burbero fattore, vestito di abiti pesanti, con i lineamenti grossolani e tanto di pappagorgia che, con un gesto imperioso della mano, dirige una serie di attività legate al mese.
In primo piano, seduti su un tappeto a scacchi colorati, dei bambini vestiti all'antica bevono il latte da delle scodelle o accorrono verso un uomo e una donna che sembrano distribuire loro le scarpe necessarie all'inverno, mentre un'altra donna avanza portando sulla testa un paniere pieno di zoccoli di legno. 
A sinistra, un gruppo di uomini in corte tuniche completate, a volte, da calzabraghe aderenti, si occupa della fabbricazione degli strumenti agricoli dalle vanghe, alle asce, ai forconi e della costruzione dei carri, come dimostrano le due sezioni di ruota che giacciono sul pavimento.
La parte destra  è tutta occupata dalla rappresentazione delle fasi della faticosa lavorazione del lino: gli steli delle piante, già sottoposti a macerazione, una volta essiccati, vengono battuti con uno strumento apposito per liberare le fibre dalle parti legnose. 
Le fibre vengono poi pettinate con pettini dai denti via via più fitti per sciogliere i nodi, in modo da ripulirle il più possibile prima di essere filate.

Come sempre, Bramantino, si mostra ben informato sulle attività agricole, anche se con la sua accesa immaginazione, la sua passione per gli scorci prospettici o le sue ambientazioni all'antica, le sa trasfigurare, trasformandole in scene senza tempo dove elementi realistici si mescolano a elementi di fantasia. 
Così i contadini di Novembre compiono i lavori tipici del mese non all'aperto, ma in un improbabile ampio salone, dove, attraverso un arco, si intravedono gli edifici di una città, mentre, in alto, il sole pallido e malinconico che illumina la scena annuncia già l'arrivo dell'inverno.





Un approfondimento delle vicende storiche e  dell'iconografia degli arazzi è in G.Agosti e J.Stoppa, I Mesi del Bramantino, ed. Officina libraria 2002