Il mio nipotino più piccolo ha due anni. E mi ha fatto riscoprire quali emozioni bellissime e profonde provochi l'essere zii, la ziitudine, come la chiamo (ne ho parlato qui).
Ne trattano film e libri; mi sono ricordata, ora, che c'è anche un dipinto, uno dei più belli e più noti di van Gogh: il "Ramo di mandorlo":
È un quadro famoso, riprodotto infinite volte. È talmente banalizzato a motivo decorativo di carte da parati, foulards o ombrelli, che quasi ci si scorda la ragione, per cui fu fatto.
E si rischia di perdere qualcosa.
Il 31 gennaio del 1890 nasce il primo figlio di Johanna e Theo, il fratello del pittore, a cui è molto legato e con cui intrattiene una corrispondenza fittissima.
I due lo hanno scelto come padrino e hanno deciso di chiamarlo come lui, Vincent Willem.
Van Gogh scrive che avrebbe preferito che fosse battezzato col nome del padre, ma si capisce che, in fondo, ne è contento e, forse, lusingato.
Decide, allora, di regalare al bambino un suo quadro.
Che cosa altro potrebbe dargli? Dipingere è quello che sa fare meglio, è la cosa più importante, è la sua vita.
Il 15 febbraio scrive alla madre: "Ho iniziato subito una tela per il figlio di Theo, da appendere nella loro camera da letto, una tela azzurro cielo, sulla quale si stagliano grandi fiori di mandorlo bianchi".
I fiori di mandorlo van Gogh li può vedere nei campi, quasi sotto le sue finestre. Sono i primi a sbocciare, a febbraio, quando l'inverno non è ancora finito e gli appaiono come un segno di rinascita e di speranza.
Quale soggetto migliore per un bambino appena nato?
E chissà che anche lui non speri di uscire, finalmente, da quelle crisi di depressione che gli hanno segnato l'esistenza.
In quel periodo è in Provenza, a Saint Remy, nella Maison de Santé de Saint Paul- de- Mausole, un vecchio convento trasformato in ospedale psichiatrico. Stava così male, qualche mese prima, che i vicini hanno protestato per le sue crisi e ha dovuto prendere lui stesso la decisione di internarsi.
Ha scelto, insieme al fratello, un luogo dove può avere la possibilità di uscire e di dipingere.
Ha trentasette anni e, dietro di sé, una vita bruciata, in un continuo alternarsi di attività febbrile, momenti di sconforto e attacchi di follia. La nascita del nipotino, per un po', lo ha placato e, come al solito, usa i colori per esprimere le sue emozioni.
Il cielo è di un azzurro turchese molto acceso, i fiori bianchi, stesi in spesse pennellate, sono eseguiti con grande cura, uno a uno, e ravvivati da un tocco di rosso, il contorno dei rami è segnato da linee marcate verdi e marrone. Ogni senso dello spazio è annullato, la forma è creata solo attraverso il colore.
Nel dipingerlo si è ricordato, sicuramente, di quelle stampe giapponesi che ama tanto e che ha sempre appese ai muri della sua stanza.
Scrive alla madre: "il ramo di mandorlo è, forse, il dipinto migliore che ho fatto, quello a cui ho lavorato con più pazienza e con più calma".
È una pausa di quiete, ma non durerà a lungo.
Le crisi riprenderanno con più violenza di prima e la situazione precipiterà, nei mesi successivi, fino alla scelta finale del suicidio.
La serenità è stata effimera: è sfiorita velocemente, come i fiori di mandorlo. Lo dice lui stesso in una lettera al fratello.
Però mi piace pensare che questo dipinto sia stato legato a un momento, sia pur breve, di pace e di tranquillità e immaginare quel moto di orgoglio che anche van Gogh, come tutti gli zii, avrà provato, quando la cognata gli ha scritto: "al bambino piace guardare i quadri dello zio Vincent e sembra affascinato dal ramo di mandorlo in fiore, appeso sopra il suo lettino".
In questo sito (qui è il link) sono pubblicate tutte le lettere di Van Gogh, dirette ai familiari e agli amici.
Chissà se posso azzardare una ipotesi. La pittura di Van Gogh è inscindibilmente legata alla dinamica della nascita, è la sua rappresentazione, la sua manifestazione pittorica più bella. La svolta cromatica che avvenne nei suoi dipinti intorno al 1886-7 (se non mi sbaglio) segna una cesura col passato paragonabile appunto alla nascita. Il suo modo di dipingere senza disegno preventivo è la conferma della priorità del colore. Penso quindi che la nascita del nipote lo abbia spinto a dipingere uno dei suoi quadri più belli. Purtroppo il mondo positivista tende ad annullare la nascita e nessun artista è in grado di resistere a quell'annullamento, è come vivere in un mondo che non ti riconosce per quello che sei.
RispondiEliminaUn abbraccio
Interessante quello che dici a proposito della nascita. Nel caso di Van Gogh è particolarmente importante, visto come le sue vicende personali si mescolano alla sua attività artistica; Ma è valido per ogni artista in qualsiasi settore lavori
EliminaUn abbraccio anche a te
Penso che con il tuo abituale garbo tu ponga in questo post una questione importante, raccolta anche nel commento di chi mi precede. C'è una visione intellettual-positivista della storia dell'arte che tende a considerare come secondari i dati biografici, a staccare l'artista dai suoi dati di vita e a parlare solo dello stile o della cronologia delle opere. Penso invece che bisognerebbe riprendere la bella tradizione vasariana e ridare valore alla biografia d'artista. Non mi vergogno a ammettere che ho imparato molto su Michelangelo dal libro di Stone "Il tormento e l'estasi".E imparo anche dai tuoi post dove mescoli aneddoto, racconto e notazioni di stile. Ben vengano dunque piccoli gioielli come quello sullo zio Vincent.
RispondiEliminaCiao
Marco
Anch'io ovviamente credo nell'importanza dei dati biografici di un artista per capirne meglio l'opera. Tu per Michelangelo sei stato influenzato dal libro di Stone (poi diventato film). Io ho cominciato ad amare Rembrandt, grazie a un vecchio film in bianco e nero con Charles Laughton trasmesso dalla RAI. Credo che, accompagnata da ricerche scientifiche e filogiche, sia la migliore maniera di avvicinarsi all'arte.
Eliminaalla Morgan Library è custodita la lettera in cui Vincent abbozza a Theo uno schizzo della sua stanza ad Arles, sono pochi tratti buttati giù alla veloce ma vederli è stato come sentirsi invitati a condividere un affetto privato. un'emozione che non mi aspettavo di provare
RispondiEliminaTi capisco; io mi sono emozionata, leggendo stralci di lettere nel sito sulla sua corrispondenza, di cui ho messo il link.
EliminaQuesto tuo post mi ha commosso perché immaginare van Gogh nella sua dimensione privata e nei suoi affetti ce lo fa amare di più
RispondiEliminaUn saluto
Sara
Hai scelto il mio quadro preferito di Van Gogh, quello che ho visto nel suo museo di Amsterdam e che mi ha incredibilmente commossa. Nonostante le infinite sue riproduzioni, nessuna - credo - può rendere la tenerezza e la freschezza di questa tela. È un quadro così sereno, così aperto alla vita, così quieto e insieme vitale. Un vero e proprio momento di tregua dalla fatica e dal dolore del vivere.
RispondiElimina@Sara, @ Duck: è vero che questo è un dipinto che commuove. le curcostanze della sua esecuzione me lo rendono ancora più caro. Quando l'ho visto ad Amsterdam ho scoperto che il fondo è ancora più brillante di quello che mi ero immaginata.
EliminaLeggo molto spesso questo blog anche se non sono abituata a commentare .Sono laureata in storia dell'arte e in cerca di un lavoro adeguato lavoro come guida turistica e so che non è facile spiegare la storia dell'arte . Quello che mi piace di questo blog è la maniera semplice ma studiata attraverso la quale vengono esposti questi piccoli racconti e sono sicura che mescolare le storie le cronache e i dati della biografia degli artisti è la maniera giusta per far capire e apprezzare l'arte.
RispondiEliminaValentina
Spiegare la storia dell'arte è quello che vorrei fare qui nel blog e per lavoro.Non è fac!ile e non sempre ci riesco. Ho spesso paura di semplificare troppo e che qualcosa della compessità della materia resti fuori. Ti ringrazio per quello che mi dici e ti auguro di trovare una tua strada nel mondo complicato della storia dell'arte. Se hai bisogno di parlarne più a lungo puoi sempre scrivermi all'indirizzo email che trovi in fondo alla pagina.
EliminaHo un poster in casa di questo quadro e lo guardo spesso anche se non regge il confronto con l'originale che ho visto al Museo Van Gogh di Amsterdam. Forse avevo letto qualcosa sul fatto che era stato un dono per la nascita del nipotino, ma non sapevo che il pittore ne parlasse così nelle sue lettere. Ora lo sento ancora più vicino
RispondiEliminaUn saluto
Anna
Un abbraccio per te , Grazia , e tanti auguri a Valentina che ha lasciato il suo commento qui sopra , mi ha ricordato le mie figlie e spero per lei tutto il meglio dalla vita . C'è proprio una punta di rosso dentro il fiore del mandorlo , alla base di ogni petalo , e tanta tenacia e speranza nella pianta che cresce nei luoghi più assolati e difficile .
RispondiElimina@ Anna, Vitamina: vedendo il dipinto dal vero si nota di più quella punta di rosso dentro i boccioli dei fiori.Il mandorlo era davvero la raffigurazione più adatta alla nascita del bambino e alla speranza che questa gli dava.
EliminaGrazie a te, posso posare uno sguardo più attento sui quadri più noti. Ha ragione Duck. Inevitabile pensare al momento della realizzazione e al sentimento che l'ha ispirata. I classici vortici sono appena accennati e, comunque, restano sullo sfondo. In primo piano rami e fiori che entrano dolcemente nello spazio.:)
RispondiEliminaChe bella cosa immaginarsi il moto d'orgoglio di Vincent, leggendo la lettera della cognata. È di una tenerezza incredibile.
RispondiElimina@ Giacinta, Noce Moscata: le parole giuste per questo dipinto sono, forse, quelle della dolcezza e della tenerezza che riescono, per un po', a placare l'affanno del cuore, tanto che anche la maniera di dipingere ne risulta influenzata.
EliminaPiace pensare così a anche a me, uno dei tanti modesti e incolti fruitori del senso di serenità che promana da quel dipinto!
RispondiEliminaÈ vero, Adriano, il senso che questo dipinto trasmette è, finalmente, quello della serenità.
Eliminaè sempre più difficile scrivere un commento sul tuo blog, Grazia, chi precede dice già tutto quello che si può dell'opera e del tuo racconto. Adesso anche da Anobii arrivano... :-) Dove andremo a finire!
RispondiEliminaSono sempre contenta, quando chi mi legge trova il tempo di lasciare un commento e di questo ringrazio tutti (anobiani compresi)
EliminaC'è come una drammatica dicotomia fra il nodoso tronco del mandorlo, in cui l'artista sembra tenere a freno la sua inquietudine e la leggiadria serena con cui ha dipinto i petali. Voglio pensare che, soprattutto nel dipingerli, la sua fosse "serenità " del momento. Lo scrivo qui, io, che davanti a "Campo di grano coi corvi" provai il gelido brivido sentendo il presagio drammatico della morte che poi scelse di darsi.
RispondiEliminaBye&besos sereni.
Non avevo notato la dicotomia di cui parli. hai ragione: nel tronco dell'albero c'è traccia dell'inquietudine esistenziale di Van Gogh. Anche a me il "Campo di grano" fece molta impressione. È che Van Gogh mette così tanto di sé, della sua vita e delle sue angosce, nei suoi dipinti che, in qualche modo,arrivano fino a noi e ci colpiscono dritti al cuore.
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