domenica 6 maggio 2012

M.G.Benoist, "Ritratto di una donna nera": la storia di due donne




A Parigi, nella primavera del 1800, si avverte una grande eccitazione. L'edizione annuale del Salon, l'esposizione ufficiale di belle arti, è stata appena inaugurata: è la prima, da quando Napoleone Bonaparte ha iniziato, con la nomina a Console, la sua irresistibile ascesa politica.
Mai come questa volta, le sale sono affollate: raffinati gentiluomini e signore alla moda, si fermano perplessi davanti a un dipinto. Nell'aria c'è odore di scandalo.

Dopo la Rivoluzione, anche le donne sono state ammesse a esporre. Ed è proprio una pittrice, Marie-Guillemine Benoist (1768-1826), a presentare il quadro che ha fatto scalpore. Chi si attendeva da lei tipici ritratti femminili, dame eleganti o scene con mamme e bambini paffuti,  è rimasto sconcertato.
Perchè il dipinto, di cui si parla tanto, è questo:



Una giovane donna, vista di tre quarti, è seduta su una sedia "a medaglione", rivestita da un tessuto blu, riccamente drappeggiato, in una posa riservata ai ritratti delle dame dell'alta società.
Indossa una specie di tunica dalla foggia classica allora in voga, stretta in vita da una sottile cintura rossa. Lo sfondo è spoglio, il tono austero, la presenza di accessori ridotta al minimo, come nei ritratti alla moda di Jacques-Louis David.

Una rappresentazione influenzata dallo stile del pittore più celebre del tempo: fin qui niente di straordinario. 
Il fatto sconvolgente è che la donna è nera.

Fino ad allora, i neri erano stati rappresentati come paggi o servitori per dare un tocco di eleganza esotica ai ritratti dei loro proprietari, se non addirittura, come schiavi in catene. È vero che, nel Salon di  due anni prima,  il ritratto di un nero aveva riscosso gran successo, ma lì si trattava di  un noto deputato della Convenzione, il primo proveniente da Santo Domingo.

Qui è decisamente un'altra cosa. È una donna nera qualsiasi e, in più, raffigurata come fosse una signora. Non c'è da stupirsi che qualcuno la trovi inaccettabile. I più colti e tradizionalisti rimproverano alla pittrice di aver scelto un soggetto che contravviene alle più elementari regole accademiche.
"Le sujet noir et la couleur noire est un exercice rebelle a l'art de la peinture, Il soggetto nero e il colore nero è un esercizio contrario all'arte della pittura": citano a memoria. E lei, invece, ha messo in evidenza proprio il colore della pelle, giocando sul contrasto tra il nero e il bianco immacolato della veste. 

E, poi, ha scelto come titolo "Portait d'une negresse, ritratto di una negra" 
Anche se allora, lontano dai tempi del "politicamente corretto", il termine "negresse, negra " non aveva alcun senso peggiorativo, serviva, comunque, a ribadire l'anonimato della modella e a puntare tutto sul connotato razziale. 

Invece, per la pittrice, la giovane non era una sconosciuta e questo non era un ritratto di fantasia. Si diceva che la modella fosse una domestica al servizio della famiglia, portata in Francia dalla Guadalupe. 
Una domestica, però, non una schiava.
La schiavitù era stata abolita, appena sei anni prima, con una legge a lungo contestata dai proprietari delle piantagioni dei territori oltremare, convinti di non sopravvivere senza manodopera a costo zero. La tratta di schiavi dall'Africa era stata tacitamente mantenuta: i neri erano considerati, comunque, degli esseri inferiori.

Nel dipinto, no. L'ex schiava è raffigurata con dignità, sensibilità e attenzione  ai sentimenti: nel volto non è difficile leggere la malinconica rassegnazione e la vulnerabilità di chi è costretto a vivere in un mondo estraneo.
Non si pensava nemmeno che una pittrice potesse abbordare temi di critica sociale. Eppure ha inserito un' allusione alla legge contro la schiavitù nel copricapo, che ricorda, sia l'acconciatura tipica delle donne antillane che il berretto frigio dei rivoluzionari. E poi i colori, bianco, rosso e blu, sono quelli della bandiera della Francia, il paese che, almeno nominalmente, ha portato la libertà.


Non basta: i visitatori appassionati di pittura non possono non cogliere un altro elemento.

Il seno nudo non ha niente di malizioso, anzi. Insieme alla posizione delle mani e allo sguardo diretto verso lo spettatore, è un riferimento preciso a un dipinto celeberrimo: la "Fornarina" di Raffaello.

Una domestica, una ex schiava nera, nobilitata dal richiamo a una tradizione pittorica illustre.
Ce ne sono  di motivi di scandalo.

E la pittrice non può ignorarli.




Non è alle prime armi: ha più di trent'anni e una lunga carriera alle spalle. Figlia di una famiglia di piccola nobiltà, ha iniziato a dipingere nello studio di una ritrattista famosa, Elisabeth Vigé-Lebrun. 
Durante la Rivoluzione ha cessato ogni attività  ed è sopravvissuta a stento, nascosta per sfuggire alla ghigliottina, insieme al marito aristocratico e convinto realista. Ma ora la paura è finita. È ambiziosa e, dopo che ha avuto la possibilità di frequentare l'atelier di David e di esporre al Salon, vuole ottenere la sua affermazione pubblica.

Nella primavera del 1800 le vicende delle due donne si intrecciano: la modella non è più schiava e la pittrice  può esercitare il suo mestiere. 
C'è  empatia e comprensione: entrambe  si sentono, finalmente, libere.

Il dipinto, malgrado qualche aspro giudizio negativo, è un trionfo.
Il pubblico più illuminato vi vede un manifesto dell' emancipazione dei neri e delle donne. Molti lo condividono.
È un clima di entusiasmo, che non  durerà a lungo.
Due anni dopo, nel 1802, Napoleone cederà alle pressioni dei grandi proprietari di piantagioni e la schiavitù verrà ristabilita.
La represssione sarà feroce.

Tra le due donne, a questo punto, si aprirà un abisso. 
Non sappiamo quale sarà la sorte della giovane del ritratto; probabilmente continuerà a rimanere al servizio della famiglia, come schiava e per tutta la vita.
Marie-Guillemine Benoist sarà riassorbita nel conformismo dell'alta società e diventerà la ritrattista ufficiale della famiglia Bonaparte. Finirà per rinunciare alla pittura, un'attività giudicata poco consona alle cariche pubbliche sempre più importanti, assunte dal marito.
Entrambe  rientreranno nei loro ruoli: il breve momento, che le ha viste unite e uguali, è finito.



Il dipinto sarà acquistato dallo Stato francese nel 1848, quando la schiavitù verrà finalmente abolita e ora è esposto al Louvre. Tutta la storia del dipinto è trattata in dettaglio QUI.

23 commenti:

  1. Una chiusa malinconica per una bella storia di emancipazione e vicinanza.
    Grazie per avercela raccontata!

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    1. Anche per me è stato bello trovare questa storia, quando, per caso, sfogliando un libro, ho visto questa immagine. "Emancipazione e vicinanza": hai ragione. Peccato che sia finita male!

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  2. Napoleone deluse più di una speranza...
    Il quadro è bellissimo ma devo ammettere che, al di là delle cose interessantissime che hai scritto, io osservavo quell'orecchino e mi veniva in mente un quadro ancora più celebre, La ragazza con l'orecchino di perla, anche lì una domestica se non vado errato. E l'epilogo della bella storia che ci hai raccontato punta il dito sulla coartazione e sull'annullamento dell'immagine femminile nella società: o domestiche o schiave o comunque al "loro posto", fintanto gli uomini non riusciranno a rapportarsi davvero alla donna. E quindi la donna nera, forse, è la rappresentazione pittorica della donna annullata.
    Un abbraccio

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    1. Una storia di emancipazione, ma anche di emarginazione. In fondo, come hai detto, anche una storia esemplare della condizione femminile. Ed è molto suggestiva la tua idea dell'immagine della donna nera come donna annullata. Per fortuna ora molte cose sono cambiate (o, almeno, lo spero)

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  3. Che finale amaro...
    Però, a voler essere inguaribilmente positivi, si può vedere da un altro punto di vista e apprezzare il fatto che l'arte sia riuscita a creare questo piccolo miracolo e ad avvicinare queste due donne altrimenti così lontane tra di loro e dagli altri, lasciando intravedere, per un attimo, una realtà diversa. E questo attimo, cristallizzato in quest'opera, non è andato perduto ed è arrivato fino a noi.

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    1. Mi piace quello che dici, Barbara, sulla possibilità dell'arte di creare miracoli e unire, sia pure per un momento, persone apparentemete diverse. Anche per questo, forse, questo dipinto ci emoziona tanto.

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  4. Finchè è durato, quel momento ha però consentito entusiasmi ed emozioni tali da produrre un'opera d'arte.
    Non avevo colto il dettaglio dei colori della bandiera francese. Non ti sfugge niente!
    Bacioni e buon pomeriggio

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    1. I colori della bandiera francese neanch'io li avevo ti dapprima, tanto ero presa dal fascino del dipinto. ma poi, quando li ho visti, ho pensato alle coccarde dei rivoluzionari che avevano votato la legge sull'abolizione della schiavitù e ho pensato che un riferimento potesse esserci. Ho letto, poi, in un articolo che,in effetti, erano i colori della bandiera e ho ammirato ancora di più la pittrice.

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  5. che racconto meraviglioso e ricco di speranza e che finale malinconico cara Grazia!

    un abbraccio :)

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    1. Cara Iulia, davvero bisognerebbe imparare da queste storie a capire quanto ci siano costate le nostre conquiste civili di donne e di esseri umani.
      Un abbraccio

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  6. Si. Bellissimo racconto e finale dal tono perfetto.
    Gil

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  7. Dice bene un commento precedente: Napoleone deluse più di una speranza. Ci pensavo proprio in questi giorni dato che il 5 maggio è il giorno napoleonico per eccellenza. Per pura coincidenza sto leggendo una biografia su Toussaints- Louverture, lo schiavo ribelle e fondatore di Haiti.Chissà che storia potresti trovarci...
    Ciao
    Marco

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    1. Ho guardato un po' su intenet la storia di Toussanits, che ,in effetti, è straordinaria. Solo che ci vorrebbe la penna di uno storico e di un romanziere...

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  8. Scopro questo bellissimo blog quasi per caso...complimenti!
    Buona serata

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    1. Grazie tantissime. Mi fa sempre piacere condividere le "mie" storie...

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  9. Ho guardato il quadro. L'ho amato subito. Poi ho letto il tuo post e ho capito perché: mi ha ricordato la trama di un romanzo che ho letto su un altro personaggio che andò contro le convenzioni del suo tempo. Grazie di questo interessantissimo post. Bye&besos

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  10. Nela ha parlato di un romanzo e mi piacerebbe sapere quale, io ne ho letto uno che parla di rapporti interrazziali e che mi è piaciuto molto: L'Aiuto. Il film che ne hanno tratto porta il titolo originale: The Help. Non l'ho visto per paura che fosse il solito polpettone hollywoodiano.

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    1. @ Nela e Dede: sono anch'io curiosa di sapere di quale romanzo parli Nela.
      Il film "The Help" qui (in Belgio) ha avuto un gran successo. Ma anch'io sono dubitosa. Per ora preferirei leggere il libro...

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  11. Marie-Guillemine Benoist mi è decisamente simpatica. Oltre a essere un'eccellente pittrice. Non sono un'esperta, ma credo che dipingere un corpo scuro così bene, non sia facile. Con tutti i riflessi di luce che è riuscita riprodurre.
    Anche se la storia e gli avvenimenti l'hanno costretta a rientrare "nei ranghi", credo che la storia dell'emancipazione femminile sia stata fatta anche da questi momenti e quindi dobbiamo esserle grate. Peccato che negli ultimi anni ho spesso l'impressione che la tendenza si stia invertendol... la donna oggetto è di nuovo un argomento e questo mi rattrista profondamente. Mi ha letteralmente scioccato apprendere in questi giorni che in certi bar nostrani, gli aperitivi vengono serviti sui corpi mezzi nudi di giovani prostitute... e noi che pensiamo che lo schiavismo sia stato abolito centinaia di anni fa...

    Buona settimana cara Grazia.

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    1. È vero che la storia dell'emancipazione femminile è fatta anche di donne come Marie-Guillemine Benoist. Basta vedre con quale sensibilità e partecipazione (oltre che bravura stilistica) abbia saputo rendere i sentimenti della domestica.
      Mi dispiace leggere notizie come quella di cui parli. A volte sembra che tanti discorsi, tante battaglie ideali e tanti propositi siano passati inutilmente...
      Un abbraccio

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