“Voi ritagliate pezzi di cielo e li offrite alla gente, ma niente
sarebbe più stupido che dirvi grazie. Non si ringrazia per un raggio di sole”
(da una lettera di Georges Clemanceau a Claude Monet)
Come può essere
rinfrescante, d'estate, immaginarsi in un giardino ad ascoltare il mormorio
dell’acqua di uno stagno e a godersi l’ombra di un salice. Non è difficile,
basta, semplicemente lasciarsi andare all'incanto di uno dei tanti dipinti dedicati alle ninfee
da Claude Monet (1840-1926).
Questo, per esempio, oggi conservato a Parigi al
Musée Marmottan.
Una grande tela totalmente invasa da un blu profondo, con, al
centro, il rosso vivo dei petali dei fiori.
Acqua e cielo si mescolano, senza un
confine preciso; non c’è né un alto, né un basso, né alcuna definizione della
profondità: il verde dei rami dei salici sulle rive dello stagno si confonde
con quello riflesso nell'acqua.
Siamo intorno al 1916, nel mezzo di una guerra che ha
insanguinato tutta Europa.
Il mondo della pittura è stato stravolto dalla rivoluzione cubista e nell'aria c’è un grande fermento di idee e, insieme, la voglia di farla finita con il passato e di sovvertire tutto.
Il mondo della pittura è stato stravolto dalla rivoluzione cubista e nell'aria c’è un grande fermento di idee e, insieme, la voglia di farla finita con il passato e di sovvertire tutto.
Claude Monet, apparentemente indifferente a quello che gli succede intorno, ha
passato da un po' la settantina e, da qualche anno, non si muove più dal suo giardino
di Giverny.
Ha sempre amato vivere nel verde, fin dalla sua prima residenza
vicino a Parigi (ne ho parlato qui), ma con Giverny è stato un vero e proprio
colpo di fulmine.
Ha scoperto quel piccolo paese, vedendolo da un finestrino
del treno.
Non appena ha potuto, ha comprato là una casa con un terreno e vi si
è trasferito, fin dal 1908, con la seconda moglie e i loro figli.
Poco più di un
ettaro, che, da appassionato di botanica, ha ricoperto di
fiori multicolori, quasi fosse una tela impressionista.
Vicino alla casa ha piantato margherite, rose, iris, tulipani o peonie e ha mescolato piante comuni a piante esotiche per avere una fioritura ad ogni passaggio di stagione.
Più lontano, ha creato il
suo "giardino d’acqua", facendo deviare il corso del piccolo fiume, che scorre vicino e ricavando uno stagno, attraversato una serie di ponti di legno, come nelle stampe giapponesi che ama tanto.
Lo ha circondato di
salici piangenti, di felci e di bambù e nell'acqua ha voluto che fiorissero le
ninfee. Gli piace guardarle.
Si alza all'alba per camminare intorno alle aiuole fiorite, ma finisce per fermarsi sempre là, vicino allo stagno. E controlla ogni dettaglio: quando scopre che
c’è troppa polvere fa, addirittura, asfaltare, a sue spese, il sentiero che costeggia la proprietà.
Sente di aver creato a Giverny il suo paradiso terrestre. "Eccetto
la pittura e il giardinaggio non sono buono a nulla":- gli piace ripetere.
Il
suo giardino diventa, poco a poco, la sua unica fonte di ispirazione. Abbandonati i paesaggi
con i pioppi, le cattedrali o i tramonti, che pure hanno fatto la sua fortuna,
restringe sempre di più il campo dei suoi soggetti, fino a concentrarsi esclusivamente sullo stagno e sulle ninfee.
A
questi straordinari fiori d’acqua dedicherà più di duecentocinquanta dipinti, che
culmineranno nella serie delle otto grandi tele, offerte alla Francia nel 1918, il
giorno dopo l’armistizio, per essere esposte all'Orangerie.
Di guardarle e
dipingerle, studiandole ad ogni minima variazione di luce, non si stanca mai.
"Questi paesaggi
d'acqua e di riflessi sono diventati la mia ossessione":- ammette lui stesso.
Lui- che un pittore come Cézanne aveva definito "l'occhio"per eccellenza- soffre ora di un disturbo, una cataratta, che gli impedisce di vedere
bene i colori.
Distingue a mala pena poche tinte: giallo, arancio rosso, verde
e blu e riesce a dipingere solo se lavora molto vicino alla tela, quasi
immergendosi nella pittura.
È spesso insoddisfatto e scontento dei risultati,
tanto che a volte, in un un impeto d’ira, è capace di buttare a terra tavolozza
e pennelli. "Un anno- racconta- ho
bruciato sei tele, insieme alle foglie morte del giardino".
Ma non si
arrende e continua a dipingere.
"Non vorrei morire prima di aver detto
tutto quello che avevo da dire”:- ripete.
D’estate lavora all'aria aperta, mentre
d’inverno rifinisce le sue tele nel grande atelier che si è fatto costruire
vicino allo stagno.
Quando il tempo lo consente, in barca, o seduto al cavalletto, con la sua barba bianca da
patriarca, l’immancabile cappello e le mani sporche di terra e di colori, si
accanisce quasi con frenesia, per catturare sulla tela "l'ineffabile, la
superficie quasi invisibile che separa la luce dal suo riflesso".
"Mi
piacerebbe dipingere tutto, prima di non vedere più niente"- dice.
E "tutto" significa, per lui, le piante, i salici e la superficie mutevole del suo stagno.
In realtà quello che elabora nel suo giardino, lontano da tutto, sentendosi un
po' come il sopravvissuto di una stagione eroica, è una sorta di testamento.
Come tutti i
grandi artisti, ora che è vecchio, si sente libero di continuare il suo percorso, senza condizionamenti.
Sembra che, dipingendo ostinatamente lo stesso soggetto, voglia arrivare a scoprire quello che si nasconde dietro le apparenze.
E che, in quell'azzurro d'acqua e di ninfee, sia riuscito finalmente a trovare un riflesso dell'infinito.
QUI sono le informazioni e gli orari per visitare il giardino di Giverny.
Sono andata a guardare il sito della fondazione e mi sono sognata una passeggiata in quel giardino. Grazie :-)
RispondiEliminaAnch'io per ora mi devo accontentare di una passeggiata virtuale. Però non è detto....!
EliminaLa pittura come missione, ed ilsuo giardino come soggetto.
RispondiEliminaQuanta lontananza da tanti artisti, veri o sedicenti, di questo tempo presente!
Davvero, Costantino, la ricerca ostinata di Monet ha in se stessa qualcosa di "eroico" che desta comunque ammirazione. Quello che non c'è in tanti che si dicono artisti!
EliminaRipensando alla parte finale del tuo bellissimo articolo, io non lo chiamerei testamento, lo chiamerei raggiungimento della libertà, pensando alla celebre poesia di Hikmet in cui dice (cito a memoria e posso sbagliarmi un po'): A settant'anni pianterò degli ulivi, non per i miei figli, ma perché non crederò alla morte.
RispondiEliminaUn abbraccio
È bellissima la poesia che citi. Intanto te la rubo e la faccio mia :-)
EliminaMi sembra che così tu attribuisca alla ricerca di Monet una dimensione ancora più profonda.
Grazie
"...giacché il colore che creava in sottofondo ai fiori era più prezioso, più commovente di quello stesso dei fiori; e sia che facesse scintillare sotto le ninfee, nel pomeriggio, il caleidoscopio di una felicità attenta, mobile e silenziosa, sia che si colmasse verso sera, come certi porti lontani, del rosa sognante del tramonto, cambiando di continuo per rimanere sempre in accordo, intorno alle corolle dalle tinte più stabili, con quel che c'è di più profondo, di più fuggevole, di più misterioso – con quel che c'è d'infinito – nell'ora, sembrava che li avesse fatti fiorire in pieno cielo"
RispondiElimina(Marcel Proust, Recherche, vol.I)
Grazie e un saluto
Marco
Grazie, Marco. Una citazione di Proust fa sempre bene al cuore.
EliminaChe bellissimo post!
RispondiEliminaMi fa venire voglia ....di essere migliore ( almeno nel giardino ).
Ciao
Proprio tu, che- a quello che sento- ha un giardino magnifico! La voglia di essere migliori va comunque e sempre bene!
EliminaNon conoscevo questa fase della vita di Monet, ma mi viene da definirlo un Omero della pittura dall'animo gentile, visto il suo amore per quel giardino.
RispondiEliminaBella la tua definizione di Monet come un Omero della pittura!
EliminaHo visitato il giardino di Giverny. Ed è davvero un sogno, bello in ogni angolo... anche se la parte più vicina alla casa (oggi) è molto strutturata... non so se era così anche quando ci viveva lui. Ma lo stagno è davvero un luogo magico! E lui lo ha dipinto divinamente. È vero che da li non si vorrebbe mai andare via.
RispondiEliminaUnico neo della modernità (povero Monet!!!), oggi il giardino è attraversato da una strada e qualche benefattore ha finanziato un sottopassaggio. A Monet questa cosa avrebbe di certo spezzato il cuore.
Un abbraccio Grazia, come sempre magistrale!
Cinzia
Mammamia! Una strada che attraversa il giardino! Giverny, per ora, è uno dei miei appuntamenti mancati. Ma spero di rimediare a breve. Grazie, come sempre, Cinzia!
Eliminahttp://fondation-monet.com/fr/info-pratiques
Eliminaqui si vede come il "Chemin du Roy (!!!) attraversa il giardino...
Speriamo che il sottopassaggio lo facciano davvero!
EliminaMentre leggevo, consideravo che il modo in cui rappresenti gli artisti è decisamente pittorico: pochi tocchi, sfumature, qualche ombra e il ritratto è fatto:)
RispondiEliminaUn gran bel complimento! Mi farebbe davvero piacere avere preso qualcosa dai miei"amici" pittori!
Eliminac'è della follia, della saggia follia, nelle parole di Claude Monet, fuori dal tempo e così attuale
RispondiEliminasaggia follia, davvero, quella di Monet. Avercene ancora....
EliminaMio marito vorrebbe creare uno stagno nel terreno dietro casa. Non c'è un ruscello vicino, ma pensa che convogliando l'acqua piovana dai tetti della casa (tre), riuscirebbe ad alimentarlo a sufficenza. Fino a prima di leggere questa pagina, mi sono opposta ferocemente al progetto. Però ora non so se avrò la stessa forza, certo sarà molto diverso da quello da te descritto. Che bellezza!
RispondiEliminaCiao Nou
Se poi nello stagno fiorissero delle ninfee, sarebbe magnifico!
EliminaDimmi se ci riesci: il mio giardino, invece, è troppo piccolo per un progetto del genere. Mi limito, per ora, a vederle dipinte!