Dixe agosto: io cunzo le botte/ Vago cerchando
quale eno più rotte,/ mettole fuora de dì e de notte/perché ne esca lo male savore
(Ballata dei Mesi del XIV secolo)
Non si direbbe, ma siamo nel pieno dell'estate, ed è già Agosto, l'ottavo mese dell'anno.
Un mese "imperiale", almeno se si giudica dal nome che gli fu attribuito
in onore di Augusto: fu il Senato romano a ribattezzare così il più banale "sextilis" e ad assegnargli un
giorno in più, in modo che ne avesse il massimo, trentuno, e non sfigurasse a confronto del vicino Luglio, dedicato a Giulio Cesare.
Le feste di metà mese, furono allora chiamate "feriae
Augusti", diventate poi ferragosto e rimaste, fino a ora, un periodo di vacanza.
Chi può va in viaggio, in montagna o al mare: tutto il mese, del resto, è considerato tradizionalmente riservato all'ozio e al riposo.
Vacanze, ozio? Niente di tutto questo nei calendari di pietra di Ferrara e di Arezzo degli inizi del XIII secolo da cui, quest'anno, ho deciso di "staccare un foglio" ogni primo del mese.
Di vacanza, a quei tempi, non
si parla di sicuro: un periodo di riposo, se pure c'è, è concesso solo ai
signori.
I contadini, se hanno un momento libero, si dedicano
alle riparazioni degli arnesi che serviranno di lì a poco: sanno che, dopo la fine della trebbiatura, devono già prepararsi alla vendemmia.
L'avvicendarsi della stagioni, per loro, è scandito dagli stessi gesti, dallo stesse occupazioni che si ripetono invariate di padre in figlio, di generazione in generazione.
Non conoscono, con tutta probabilità, le "Feriae Augusti", né, tanto meno, quale sia il nome del mese o l'antico imperatore che glielo ha dato.
Sanno, però, che è arrivato il tempo di riparare le botti.
Ed ecco che,
nella formella del ciclo di Ferrara, ora conservata al Museo della Cattedrale, all'ombra
di un fico carico di foglie e di frutti, un giovane contadino, a piedi nudi e con
la corta tunica legata in vita dalla cintura, curva le spalle in avanti e, con l'espressione assorta, si china su una botte, composta da doghe chiuse da cerchi
di vimini o di salice intrecciato.
Purtroppo, le ingiurie del tempo non hanno risparmiato la formella e mancano le mani e parti delle braccia.
Come si svolgesse la scena,
lo si capisce meglio dal mese di Agosto del Ciclo della Pieve di
Santa Maria Assunta ad Arezzo, che deriva dal ciclo ferrarese, ma che- a differenza di quello- è rimasto intatto perfino nei colori.
Anche qui, sullo sfondo, c'è un rigoglioso albero di fico che, con la promessa della
dolcezza dei suoi frutti, sembra rendere meno dura la fatica.
Un giovane, abbigliato di una corta tunica estiva, consolida con un mazzuolo, alternando i colpi, le doghe e i cerchi di una botte.
Sa bene quello che deve fare: "un colpo al cerchio e uno alla botte".
Gesti antichi e talmente ripetuti da diventare un modo di dire dei più comuni.
La riparazione delle botti è un lavoro duro.
Gesti antichi e talmente ripetuti da diventare un modo di dire dei più comuni.
La riparazione delle botti è un lavoro duro.
Un lavoro essenziale, anche se ai più può parere meno importante delle attività legate alla coltivazione del grano o alla vendemmia, che da sole occupano gran parte dell'anno e a cui partecipano tutti.
Eppure, anche questa occupazione, che sembrerebbe secondaria, trova il suo spazio nelle rappresentazioni dei Cicli dei
Mesi.
Per i contadini che, in occasione delle feste comandate, entrano nelle chiese, immagini come queste sono importanti.
Rappresentano, per loro, la conferma che- scolpiti sulle porte d'ingresso dell'edificio sacro- non ci sono solo i lontani episodi della Bibbia, del nuovo Testamento o delle storie dei Santi che, magari, sanno a mala pena riconoscere.
Quando guardano le sculture dei Mesi vedono, invece, che lì è rappresentata la loro vita di tutti i giorni, in ogni suo aspetto.
Lì non hanno bisogno di spiegazioni: quei gesti li riconoscono uno a uno.
E sentono che, nella dignità di quelle rappresentazioni, anche la loro più minuta fatica quotidiana assume una dimensione quasi sacra.
Lì non hanno bisogno di spiegazioni: quei gesti li riconoscono uno a uno.
E sentono che, nella dignità di quelle rappresentazioni, anche la loro più minuta fatica quotidiana assume una dimensione quasi sacra.
Importantissimo lavoro quello di consolidare e risanare le botti! Mi ricordo uno dei primi anni che i meie avevano comprato la campagna, avevamo appena fatto il vino. Arrivammo in cantina e il pavimento, alla luce del sole che entrava dalla porta aperta, era lucido...era caduto il "mezzule" che chiudeva la botte e alcuni quintali di vino erano finiti in terra!! Da farsi venire n colpo. Da cui si capisce che è importante saper fare e le cose della campagna sono da imparare come tutte le altre. Mi immagino se usassi il mazzuolo: penso che spaccherei ogni cosa. Qui da te si impara sempre qualcosa: ora so da viene un colpo al cerchio e uno alla botte!
RispondiEliminaSai che anch'io ho capito finalmente la storia del cerchio e della notte, leggendo la descrizione del lavoro del bottaio! Anche a scrivere un blog di impara sempre qualcosa :-)
EliminaEccoti puntuale col tuo calendrio di pietra!
RispondiEliminaParticolare la scelta di rappresentare questo mese con la riparazione delle botti: a me, pensando ad agosto, non sarebbe mai venuto in mente! Però in effetti anticipa (immagino) la successiva di settembre con la raccolta dell'uva.... vedremo!
Più scontata è la rappresentazione del fico carico dei sui dolci frutt. Una pianta che mi piace particolarmente e che in forma "nana" è pure presente nel mio giardino: anche se quest'anno, dopo una severa potatura, si è vendicata NON facendo neppure un frutto!!!
Ciao Grazia!!!
Le botti, in effetti, serviranno per la vendemmia di settembre!
EliminaIl fico è l'albero tipico del periodo e qui sembra rigogliosissimo: forse allora non li potavano!
Ecco da dove viene il modo di dire! Da quelli che in agosto lavoravano come me! :-/
RispondiEliminaCome mi ci riconosco in questa raffigurazione!
RispondiEliminaSenza ferie, solo frutta, con la sola differenza che allora magari non avevano antiparassitari e tanti stupidi orpelli di imballaggi per venderla a altrettanto stupidi supermercati. Scusa lo sfogo, ma so che mi capirai...