lunedì 27 ottobre 2014

Il "ritratto della signora moglie": " La famiglia di Zanobi Troni" di Giuseppe Maria Crespi




Ci sono dipinti che si impongono all'attenzione quasi con prepotenza, con la forza dei capolavori riconosciuti e altri, invece, che, a un primo sguardo, rischiano di passare inosservati e il cui incanto si lascia scoprire solo dopo, poco a poco.
È questo il caso del "Ritratto della famiglia di Zanobi Troni" di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747), attualmente conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.


Su un fondo scuro, dominato da sfumature di tinte basate sui toni bruni delle terre e dell'ocra, è raffigurato un gruppo di famiglia. 
Basta poco per accorgersi che è un ritratto molto diverso da quelli a cui ci ha abituato la pittura del Settecento: nessuna posa, nessuna ambientazione, nessuna allusione alla ricchezza o al ceto sociale dei personaggi. 
Non ci sono nemmeno eleganti dettagli d'abbigliamento, né sete, né trine e neppure quelle parrucche incipriate che, all'epoca, vanno tanto di moda.
A Giuseppe Maria Crespi, del resto, le parrucche e i parrucconi non sono mai piaciuti, tanto meno in pittura: ha sempre voluto sentirsi libero dalle convenzioni accademiche e interpretare i generi pittorici e le iconografie tradizionali in completa autonomia (dei suoi affreschi nel Palazzo Pepoli Campogrande di Bologna ho parlato qui).
E in questo dipinto usa la sua libertà fino in fondo.

Siamo negli anni '30 del Settecento, Crespi, ormai, non si sposta più da Bologna, la città in cui è nato e dove è sempre rimasto, tranne qualche viaggio- nel suo periodo di formazione- tra Urbino, Parma e Venezia e un lungo soggiorno a Firenze, dove ha lavorato per Ferdinando de' Medici. 
Il suo stile si è formato, mescolando varie influenze, dall'attenzione alla realtà dei grandi bolognesi del passato- Carracci in testa- al colore dei maestri veneti, alla dolcezza di Federico Barocci e, soprattutto, alla pittura fluida e senza contorni di Rembrandt, di cui è stato uno dei più appassionati ammiratori. 
Col passare degli anni, vive sempre più appartato, lavorando dalle prime luci dell'alba fino al tramonto, nel modesto studio, annesso alla casa dove abita in un quartiere popolare della città. 
Alle cerimonie o alle occasioni mondane preferisce, da tempo, la solitudine, anche se i suoi visitatori raccontano che la sua conversazione non è mai stata così piena d'arguzia e d'umorismo. 
Invece di sottoporsi alle frequentazioni, a cui lo obbligherebbe la sua professione, Crespi si limita a coltivare una ristretta cerchia di amici. 
Tra questi c'è un artigiano, un argentiere, più giovane di lui di una ventina d'anni, con cui sembra condividere lo stesso modo ironico di guardare il mondo: è Zanobi Troni, un livornese, che si è trasferito a Bologna giovanissimo e con cui Crespi ha subito legato. 
Nel suo lavoro Troni è molto bravo e si è saputo creare una buona reputazione: grazie alla sua abilità è entrato in contatto con ricchi aristocratici e grandi cardinali e le commissioni, di certo, non gli mancano.
Guadagna molto denaro ma altrettanto è capace di sprecarne, tanto che le fonti del tempo raccontano che "alle volte si è trovato in angustie tali che lo avrebbero avvilito, se non fosse sollevato dal suo spirito allegro e vivace".
Ed è, forse, per quello stesso spirito che Crespi gli si è affezionato e che ha deciso di offrirgli in omaggio un ritratto di famiglia.

Nella tela, a presentare i suoi familiari è lo stesso Zanobi Troni, raffigurato, un po' defilato, sulla sinistra, col suo inconfondibile profilo dal naso aquilino che compare anche in altri dipinti di Crespi.
Con un gesto eloquente del braccio, che sembra preso in prestito dalla ritrattistica ufficiale, ci mostra i quattro figli, tre ragazze adolescenti e l'ultimo nato di un anno o due, e, soprattutto, indica la moglie, Valeria Crapoli, che ha sposato nel 1718. 
Al centro della composizione, messa in rilievo dal blu luminoso della veste, la donna domina la scena. 
Tutta la famiglia si dispone intorno a lei: con un atteggiamento tra pudico e orgoglioso, Valeria non si sottrae, anzi si lascia circondare e quasi avvolgere dai suoi, mentre tiene in mano delle ciliegie.
Le figlie sono tutte rivolte verso di lei; una di loro trattiene con la mano quella della mamma che si è appena posata sul suo volto per una carezza. Ogni gesto, ogni sguardo sottolinea il loro attaccamento reciproco. 
Tutti si sorridono con tenerezza, in un'intimità che sembra escludere ogni spettatore: tra di loro passa una corrente di dolcezza e di complicità. 
Quei sorrisi veri, senza nessun obbligo di posa, ci fanno sentire partecipi del loro calore e del loro affetto. 

Sembra che ognuno di loro (marito compreso) riconosca il ruolo della donna, come il centro, come il vero sostegno della famiglia, in una maniera talmente evidente da giustificare la definizione settecentesca di Marcello Oretti che descrive il quadro come come il "ritratto della signora moglie".
Il fatto, poi, che il dipinto, rimasto a lungo in casa Troni, non sia finito, che ci siano dei pentimenti e che la materia pittorica sia stesa con tanta immediatezza da lasciare intravedere la preparazione rosso scuro del fondo, conferma la destinazione privata e rende ancora più spontanea questa "potente e commovente visione d'amore", come l'ha definita il grande storico dell'arte Francis Haskell.
Un encomio senza retorica, un omaggio sincero e sentito che Crespi- rimasto vedovo qualche anno prima, raffigura con grande emozione e con un po' di rimpianto.

Nessun racconto, dunque, nessun enigma dietro questo dipinto.
Solo una famiglia come tante altre, una famiglia di gente comune, di cui non sarebbe rimasta memoria, salvo qualche rara citazione in polverosi documenti d'archivio, se l'arte di Giuseppe Maria Crespi, non fosse riuscita a trasmettere il ricordo di quel legame d'amore fino a noi.





8 commenti:

  1. Vedere le cose con altri occhi serve sempre. A volte guardiamo le cose senza vedere abbastanza o niente. Prossima passeggiata Palazzo Pepoli. Grazie anche per questa lezione. Cari saluti.

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    1. Vale la pena anche una visita alla Pinacoteca di Bologna: tra tanti capolavori Crespi rischia di passare inosservato. È un pittore che, invece, va assaporato piano piano: la sua pittura non è mai gridata ma c'è un senso di intimità e di bonaria ironia che incanta!

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    3. A mio parere le opere di Crespi costituiscono proprio alcuni tra i tesori principali della Pinacoteca: purtroppo in Italia vige ancora una concezione della storia dell'arte molto antiquata, secondo la quale solo i maestri che hanno avuto una carriera specializzata nella pittura a sfondo religioso o mitologico sono degni di nota, diciamo le cose così come stanno. Crespi non è solo l'unico sottovalutato, oltre a lui si potrebbe fare un elenco infinito di grandi personalità, come Giovan Battista Moroni, Evaristo Baschenis, Rosalba Carriera e Gaspare Traversi (e tanti altri ancora), maestri vissuti in epoche e aree geografiche diverse, ma accomunati da una carriera concentrata su generi minori quali il ritratto, la natura morta o rappresentazioni dal carattere intimista, a volte anche popolare, insomma, poco edificante. Giuseppe Maria Crespi fu un autore dotato di una sensibilità notevole, capace di cogliere l'essenza dell'epoca in cui è vissuto, e in questo non ha nulla da invidiare a uno Chardin o un Vermeer. Peccato che in un Paese come l'Italia non gli verrà mai dato il giusto riconoscimento.

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  2. Mi piace tanto che, oltre a raccontarci i quadri, ci racconti anche le vite di chi li ha dipinti, rendendoli vicini a noi, umanissimi e contemporanei, come se fossero ancora vivi. E' un regalo bellissimo che fai non solo a noi, ma anche a loro.

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    1. Grazie Silvia! in un quadro come questo è importante conoscere le vite di chi è stato ritratto. È solo così che questa grande circolazione d'affetto che vi si coglie può arrivare fino a noi!

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  3. Quando ho visitato la Pinacoteca di Bologna, perso tra tanti capolavori, mi era sfuggito questo dipinto, sicuramente molto più "moderno" della sua datazione.

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