Il "Palco di teatro", una piccola
tela (cm 44x38) di Felix Vallotton (1865-1925), attualmente in collezione privata:
Una linea obliqua divide nettamente in due la composizione: in
basso la grande superficie gialla della balconata del palco.
Sopra, dal nero fitto dell'ombra, emergono due figure: un uomo e una donna.
Di lui si intravede appena la parte
superiore del volto, inquadrata dai
capelli scuri e lo sguardo che lancia alla donna al suo fianco.
Lei indossa un cappello, decorato
di rosa e con una larga tesa nera che le lascia il viso in ombra e sembra osservare qualcosa più in basso.
Nient'altro, nessun gesto esplicito, nessun contatto tra i due; eppure si avverte immediatamente il disagio di un'atmosfera pesante e opprimente.
Forse la chiave di questa sensazione sta tutta nel rilievo che assume la
mano contratta della donna, coperta da un guanto di un bianco abbagliante e sottolineata dall'ombra sulla parete liscia della balconata.
Due grandi superfici di colori netti e stridenti, giallo e nero, due volti appena schizzati, due sguardi che non si incrociano e un pugno serrato: bastano questi elementi a Felix Vallotton, per suggerire la tensione e l'inquietudine che regna nella coppia.
Il palco di teatro non è che lo sfondo, i protagonisti sono loro, "Le monsieur et la dame", come del resto indica il sottotitolo, con cui il dipinto è noto.
Siamo nel 1909, Vallotton ha quarantatré anni e si è già guadagnato una discreta reputazione.
Lo stile levigato e freddo e l'inquadratura audace che rivela anche in questo dipinto gli deriva dalla sua passione per le stampe giapponesi.
Il gusto per la semplificazione, i contorni netti, le grandi superfici piatte di colore e la mancanza di definizione spaziale è, invece, quello tipico degli artisti del movimento dei Nabis, a cui si è avvicinato fin dall'inizio della sua carriera (ne ho parlato qui e qui).
Anche se i suoi compagni parlano di lui come un "Nabi etranger/ un nabi straniero" perché ama, da sempre, fare la sua strada autonomamente, da solitario impenitente qual è.
Vallotton non si mescola ai dibattiti o ai discorsi teorici; preferisce continuare a copiare al Louvre i maestri del passato, quei grandi disegnatori che definisce "severi e di gran gusto", a partire da Ingres fino ad arrivare a Bronzino, a Holbein e a Dürer.
Del resto il suo carattere lo porta a prendere le distanze nell'arte, come nella vita, tanto che confessa nei suoi diari:" sono e sarò sempre quello che, dietro a un vetro, vede vivere e non vive".
Nato a Ginevra da una famiglia della borghesia calvinista, a diciassette anni si è trasferito a Parigi e si è iscritto all'Academie Julian.
Dal 1897 una serie di xilografie intitolate "Intimità" dedicate all'esplorazione dei rapporti uomo-donna e pubblicate dalla "Revue blanche" gli hanno valso la notorietà, ma anche la fama di uno che guarda il mondo senza indulgenza e con l'obbligo della verità che gli deriva dalla sua rigida educazione protestante.
Per molti, comunque, Vallotton rimane un enigma: uno svizzero che non dipinge mucche o vette di montagne, un parigino che non ama la frivolezza, un solido borghese che non disdegna simpatie anarchiche. Insomma, un uomo difficile e contraddittorio.
Né vale a conquistargli simpatie il matrimonio con Gabrielle Barnheim, vedova e madre di tre figli, erede di una nota famiglia di mercanti di quadri che- come ammette lucidamente- può aiutarlo nella carriera, ma che non cancella la sua sfiducia verso la vita di coppia, né la sua diffidenza verso la buona società di cui ormai fa parte.
Nascosto dietro un'eleganza impeccabile e "un'insignificante tristezza da tappezzeria", come afferma l'amico scrittore Jules Renard, sfoggia la sua ironia caustica solo nella cerchia degli intimi e, intanto, continua a osservare il mondo che lo circonda col suo sguardo implacabile e a trasferire nei suoi dipinti tutta l'inquietudine che coglie intorno a sé.
Come qui, dove sui due personaggi silenziosi aleggia un'ombra, come se qualcosa di grave fosse appena successo o stesse per succedere.
Ma cosa? Un litigio, la scoperta di un adulterio o la manifestazione del sordo rancore di tutti i giorni... Non lo sappiamo, vediamo solo che nella tela i due sono come prigionieri in quello che è stato definito" una sorta di acquario di velluto".
Tutto si svolge in quello spazio ristretto, come in uno di quei "drammi da camera" di August Strindberg che allora si recitano al Teatro intimo di Stoccolma o in certi interni che saranno lo sfondo dei quadri di Edward Hopper.
Vallotton non racconta e non spiega, si limita ad alludere a lasciare intuire, senza mostrare nulla: la tensione si nasconde nei dettagli, nella contrapposizione dei colori o nella linea tagliente che spezza la scena.
Il fascino della sua pittura è tutto nel non detto, nel percorso che ci obbliga a fare e in quello che ci costringe a scoprire nelle sue tele e dentro di noi.
Il dipinto è stato il manifesto della bella mostra monografica su Felix Vallotton"Le feu sous la glace" che si è tenuta nei mesi scorsi a Parigi al Grand Palais ( qui è il link)
La mia sensazione è che la fedifraga sia lei, ma qualunque cosa abbia fatto, penso che abbia fatto bene a farla.
RispondiEliminaÈ più che possibile: il cappello da fedifraga ce l'ha!
EliminaUn racconto lineare, di suggestioni. Osservandolo e seguendo le tue parole mi fa venire in mente un vecchio scatto di una polaroid, sfocato, dove la memoria non riesce a ricostruire il momento. Anche oggi una scoperta, grazie! Buona domenica.
RispondiEliminaHai descritto benissimo la sensazione che proviamo di fronte a Vallotton!
EliminaMi ricorda la solitudine dei personaggi di Hopper
RispondiEliminaInfatti, ricorda Hopper e anche certi scenari di film americani: forse per l'inquadratura della scena che riporta al fotogramma di un film.
EliminaUn quadro decisamente strano ed enigmatico. Raramente ho visto quadri non astratti così essenziali ed allo stesso tempo carichi di significati che raccontano, o meglio lasciano presupporre, un'intera storia. Grazie di avermelo fatto conoscere. Ciao
RispondiEliminaInfatti, Jampy, in questa immagine più che il racconto c'è la suggestione di un racconto: pochi pittori hanno saputo suggerire tanto con immagini così essenziali.
Eliminami sembrano tristemente annoiati, i due del palco.
RispondiEliminaguarda qui, Grazia, magari ti piace:
http://www.linkiesta.it/arte-orientale-freer-gallery-of-art-collezione-online
http://www.asia.si.edu/collections/edan/default.cfm
Forse tra i due è la mancanza di comunicazione che provoca la noia.
EliminaGrazie tantissime per la segnalazione: mi ci tuffo subito!
Minimalista ma di magistrale pennellata. Il giallo di quel palco, notoriamente colore solare, "stride" talmente che, al pari della mano serrata, inquieta.
RispondiEliminaInfatti, Nela, molta della inquietudine che provoca è nella scelta di quel giallo che domina la composizione
EliminaModernissimo e a me sconosciuto. E già mi piace molto!
RispondiEliminaVedrai che ti piacerà sempre di più: il suo è un mondo inquieto, a volte crudele che assomiglia molto al nostro.
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