Parigi ha la Tour Eiffel, Roma il Colosseo, Copenhagen la sirenetta.
Bruxelles ha lui: il Manneken pis
Una scultura in bronzo di una sessantina di centimetri di un bambino che fa pipi (manneken pis, appunto, in dialetto bruxellese) su una piccola fontana in pieno centro, a poca distanza dalla Grand Place.
-C'est tout? Evidement pas!
Come spesso succede nella città di Magritte, niente è come sembra e il Manneken non fa eccezione.
Intanto, la statuetta non è che una copia dall'originale eseguito, nel 1619, al posto di una vecchia scultura in pietra, da Jerome Duquesnoy, capostipite di una celebre dinastia di scultori.
-Et où est le vrai? C'est un mystère!
Le guide dicono che sia conservato nel Museo della città, ma i più accorti sospettano che anche quello del museo sia una copia e che l’originale, in realtà, sia scomparso, vittima di un atto vandalico o di un ennesimo furto.
-En bref, le Manneken n'est pas le vrai!
E poi non si sa nemmeno chi raffiguri.
Le leggende che circolano parlano di un bambino che avrebbe spento, con la pipi, una miccia che rischiava di mandare a fuoco la città.
Oppure del figlio di un condottiero che, durante una battaglia, sospeso con la culla a una quercia, col suo gesto fisiologico, avrebbe esaltato le truppe, spingendole alla vittoria.
Ma la realtà è molto più prosaica: la statuetta serviva, in origine, a segnalare una fonte d'acqua della rete idrica bruxellese.
L’unica cosa certa è che, nascosta e protetta dai cittadini, scampò nel 1695 al bombardamento francese e all'incendio della Grand Place e, a guerra finita, fu trionfalmente ricollocata al suo posto.
Probabilmente è da allora che si stabilì quel saldo legame di affetto che dura tuttora.
Perché, anche se il Manneken è un coquin, un piccolo imbroglione, che si spaccia per l'originale, millanta un inverosimile passato glorioso e non è nemmeno il personaggio di un mito o di una favola, i bruxellesi lo amano.
E non solo perché rappresenta un richiamo per folle di turisti a caccia di immagini tipiche.
E neppure perché è il souvenir più richiesto, nelle sue più varie e sconcertanti incarnazioni: da statuetta da giardino a porta-candele, a apri-bottiglie, a imbarazzante cavatappi, a goloso dessert in cioccolato.
È che il Manneken è molto di più di una scultura: è un folletto scherzoso che partecipa alla vita della città, e ne rappresenta, a suo modo, lo spirito conviviale, caloroso e bizzarro e, soprattutto, il senso dell'umorismo, lo "zwanze".
-Oui, surtout parce qu'il aime se déguiser.
Travestirsi?
Ebbene, sì!
Caso unico tra le statuette da fontana, ha l'abitudine di abbigliarsi con tutta una serie di abitini, rispettosi delle sue necessità fisiologiche, per celebrare gli eventi grandi o piccoli che si succedono a Bruxelles, rendere omaggio a nazioni lontane, a personaggi illustri o, semplicemente, a mestieri e tradizioni popolari.
Tutto comincia alla fine del Seicento, quando il Principe Elettore di Baviera gli offre il suo primo costume "blu bavarese". Sappiamo, poi, che già nel secolo successivo veniva vestito almeno quattro volte all’anno.
E ora, come la più richiesta delle top model, può contare su un impiegato comunale, un "abbigliatore" ufficiale, al suo servizio e su un inderogabile calendario dei giorni e dei vestiti che indosserà (36 all’anno).
Una sala intera del museo della città è dedicata ai suoi ottocento (per ora) vestitini, rigorosamente cuciti, conservati e rammendati, al bisogno, da un efficiente équipe di sarti personali.
Cavaliere di san Luigi, sergente onorario di vari reggimenti nazionali e internazionali, il Manneken non nasconde una sua maschia vena militaresca, quando, nel giorno della festa nazionale belga, o in occasione di anniversari patriottici, sfoggia, con fierezza, una delle sue divise di ufficiale dell’esercito.
Ma, soprattutto, è bambinescamente giocoso, ironico e con quel pizzico di surrealismo, che non sarebbe dispiaciuto al "nonno" René Magritte, quando si lascia andare, con infantile malizia, alle più fantasiose trasformazioni.
Allora si può divertire a indossare una tuta nera da palombaro, completa di scafandro, bombole d'ossigeno e pinne.
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Oppure, come Diablada della Bolivia, rivelare un insospettabile interesse per le tradizioni popolari dell'America Latina.
Il 6 dicembre, poi, non resiste e, come la tradizione impone, si veste da Santa Claus, con tanto di barba bianca e mitra vescovile.
Insomma, non è mai uguale a se stesso.
Da banale e onesta fontana si è trasformato, poco a poco, in una colorita icona popolare.
Dove altro poteva succedere, se non a Bruxelles ?È nell'aria: c’est du belge !