Mi piacciono i dipinti che raccontano delle storie.
Mi piace, quando un'opera diventa, come nei racconti di Sherazade nelle "Mille e una notte" una storia, da cui nascono e si dipanano altre storie, altri racconti.
Può succedere.
Per esempio in questa tela, attualmente nella collezione privata del Duca di Westminster.
È l'autoritratto di un grande pittore, Anton van Dyck, datato intorno al 1632.
L'artista ci guarda e ci indica un girasole.
Il fiore, una presenza straordinaria e inconsueta, domina tutta la scena.
Cosa vuol dire? Perché?
Per capire ci vuole un racconto, anzi, un'inchiesta, per cui sarà meglio fornirci di tutto l'armamentario tradizionale: foto, lente d'ingrandimento, testi di supporto. E iniziare l'indagine, partendo proprio dal protagonista.
Il pittore indossa un abito di seta rosso cremisi, è elegante, signorile, con barba e baffi ben curati.
Non c'è niente che alluda alla sua professione, non un pennello o un cavalletto: apparentemente quello che ci guarda dalla tela non è un artista.
È un gentiluomo. Non c'è niente che alluda alla sua professione, non un pennello o un cavalletto: apparentemente quello che ci guarda dalla tela non è un artista.
Ma come mai si ritrae così?
Anton van Dyck (1599-1641), al tempo del dipinto, non è e non si sente un pittore qualsiasi.
La sua carriera è stata folgorante come una meteora.
Nato ad Anversa, è concittadino, allievo e, soprattutto, amico di Rubens. Ed è a Rubens, che ne ha apprezzato precocemente il talento, che deve la sua rete di contatti con i committenti più facoltosi d'Europa.
In un viaggio in Italia, tra Genova, Mantova e Roma, ha avuto modo di vedere i ritratti, di Tiziano e di Raffaello e ha maturato la decisione di specializzarsi come ritrattista.
In un viaggio in Italia, tra Genova, Mantova e Roma, ha avuto modo di vedere i ritratti, di Tiziano e di Raffaello e ha maturato la decisione di specializzarsi come ritrattista.
L'aristocrazia italiana ed europea dell'epoca vuole trasmettere un'immagine, una memoria di sé, che ne rappresenti il fasto, ma anche il carattere e le doti morali.
A questa esigenza Van Dyck ha saputo fornire una risposta con i suoi maestosi ed eleganti ritratti a figura intera, di grandi dimensioni, con un'attenzione accurata per la raffinatezza dell'abbigliamento, ma anche con un'analisi psicologica e fisionomica dei personaggi.
Ha avuto da subito un enorme successo, tanto che ben presto ottenere un suo ritratto è diventato la conferma di uno status sociale raggiunto.
Ed è richiesto dappertutto, da sovrani, aristocratici, eredi di grandi patrimoni, militari, cardinali o dame di corte.
In poco tempi è riuscito a entrare nella cerchia più ristretta dell'aristocrazia e ad assimilarne modi di vita e di comportamento.
Perché, di certo, occorrono buona educazione, conoscenza dell'etichetta e buone maniere per poter trattare con i re e con i nobili. E anche per occupare con conversazioni adeguate i tempi lunghi delle pose e per convincerli ad assumere i gesti e i contegni più opportuni.
Perché, di certo, occorrono buona educazione, conoscenza dell'etichetta e buone maniere per poter trattare con i re e con i nobili. E anche per occupare con conversazioni adeguate i tempi lunghi delle pose e per convincerli ad assumere i gesti e i contegni più opportuni.
Ecco che così si spiega l'eleganza dell'abbigliamento.
Un elemento, dunque, l'abbiamo chiarito. Ma l'indagine non è finita e la lente, può servire ancora per esaminare da vicino un dettaglio importante, forse la chiave stessa della rappresentazione.
È pesante collana d'oro che Van Dyck mostra con una certa ostentazione.
E qui sarà meglio ritornare alla biografia.
Nel 1632, l'anno del ritratto, l'artista è a Londra, ha trentatré anni ed è al culmine della fama.
È stato invitato in Inghilterra dal re Carlo I, raffinato amatore d'arte e di pittura, lo stesso che, qualche anno prima, ha acquistato tutta la collezione dei Gonzaga di Mantova.
Carlo I ammira la pittura di van Dyck, ma ne apprezza anche le qualità umane. Sa che i committenti se lo contendono ed è disposto a concedergli ogni favore purché resti a Londra: per lui averlo al suo servizio è una questione di prestigio.
Carlo I ammira la pittura di van Dyck, ma ne apprezza anche le qualità umane. Sa che i committenti se lo contendono ed è disposto a concedergli ogni favore purché resti a Londra: per lui averlo al suo servizio è una questione di prestigio.
Gli offre subito un alloggio principesco e comincia, addirittura, a frequentarne la casa, trattandolo da pari a pari.
Van Dyck si sente a suo agio: possiede carrozze, cavalli di razza, ha al suo servizio uno stuolo di domestici, sa offrire banchetti prelibati per gli esponenti della corte, intrattenendoli con musici, buffoni e spettacoli fastosi.
Non ha problemi economici. Aspira solo a un titolo nobiliare.
Non ha problemi economici. Aspira solo a un titolo nobiliare.
Carlo I lo sa e, fin dal suo arrivo, oltre a garantirgli la carica di primo pittore di corte con un lauto stipendio annuo, gli conferisce il titolo di baronetto e lo nomina membro dell'esclusivo Ordine del Bagno.
Gli dona anche una collana d'oro, un simbolo del nuovo status e del favore del sovrano.
Ed è proprio questa la collana che van Dyck mostra, con tanta soddisfazione.
Ormai si sente arrivato: non è solo un pittore, è diventato un gentiluomo.
Ha ricevuto il titolo nobiliare, a cui aspirava e sa di avere più di un motivo per essere grato alla generosità del re.
Ha ricevuto il titolo nobiliare, a cui aspirava e sa di avere più di un motivo per essere grato alla generosità del re.
E ora arriviamo all'altro protagonista del dipinto: il girasole.
Sì, perché il girasole è trattato come fosse un protagonista a pieno diritto.
Non è in sottofondo, né tanto meno è appena accennato: anzi, è grande, tanto da occupare tutta la parte destra della tela.
Van Dyck si volta a guardare lo spettatore e lo indica.
È la prima volta che questo bellissimo fiore, di un giallo intenso, viene rappresentato in pittura.
È un simbolo nuovo, tutto da scoprire.
La mitologia greca, in questo caso, non aiuta: sul girasole non c'è, all'epoca, alcuna leggenda a cui fare riferimento.
Per forza! I semi sono arrivati in Europa dall'America solo nel XVI secolo per essere donati al re di Spagna.
Un regalo particolarmente adatto a un sovrano: per gli Inca il grande fiore è il simbolo del sole e della regalità.
Per forza! I semi sono arrivati in Europa dall'America solo nel XVI secolo per essere donati al re di Spagna.
Un regalo particolarmente adatto a un sovrano: per gli Inca il grande fiore è il simbolo del sole e della regalità.
Ma il girasole ha anche una caratteristica ancor più evidente, l'eliotropismo, cioè segue sempre il corso del sole, dal suo sorgere, fino alla fine della giornata.
Ed è proprio questo che ispirerà van Dyck.
La soluzione a questo punto è evidente: elementare, direbbe Sherlock Holmes.
Il grande fiore altro non è che la rappresentazione di van Dyck stesso.
È il simbolo della sua sudditanza e della sua devozione al re.
L'artista, indicandolo, ci fa capire che anche lui- con la stessa costanza e la stessa fedeltà del girasole- seguirà il corso del suo sole: il re Carlo I, che lo ha colmato di benefici.
Ed esprime la sua riconoscenza con grande dignità, elaborando un simbolo che sia evidente, ma non apertamente comprensibile a tutti. E' un segno della sua intelligenza, della sua sensibilità.
Non si raffigura prostrato di fronte al sovrano- ormai anche lui è un nobile- ma, con la sola forza dell'immagine, fa comprendere il rapporto di gratitudine che lo lega al re.
Senza piaggeria e con un grande senso di fierezza e di orgoglio, Van Dyck rende omaggio a Carlo I, offrendogli il suo maggiore talento: quello di pittore.
Un omaggio senza adulazione, anzi pieno di dignità.
A questo punto cos'altro c'è da dire? Chapeau !
A questo punto cos'altro c'è da dire? Chapeau !
Chapeau al tuo racconto!
RispondiEliminaSolo un'osservazione: verso chi è rivolto il girasole nel quadro?
:-)
La mia è solo una banale osservazione, ma non so perchè dopo che ti ho letto e guardando il quadro mi è venuta in mente la Madonna Litta di Leonardo, in cui il bambino non guarda la madre ma altrove. Qualcuno azzardò (interpretazione eclettica) che era una sorta di autoritratto, in cui veniva rappresentato il genio di Leonardo stesso, un genio non ricattabile da nessuna madre.
Grazie per le tue perle.
Chapeau a van Dyck ? No, a te, mia cara. C'è sempre bisogno di qualcuno che ci racconti delle storie , che ci faccia vedere con nuovi occhi un fiore come il girasole, per esempio, e che ci narri un dipinto come una storia da Mille e una notte.
RispondiEliminaMarco
Ma guarda che storie ci sono dietro un ritratto. Io sono un'ignorante di storia dell'arte, però mi piace molto sentirti raccontare.Ora andrò a vedere altri dpinti di van Dyck, ma non credo che ci troverò altre storie se non ci sei tu che le racconti. Grazie
RispondiEliminaAnna
è più bello raccontato da te !
RispondiEliminaChe bella storia! E che bel volto quello del pittore che ci guarda negli occhi ! Mi piace molto la luce di questi dipinti.
RispondiEliminaCara Grazia grazie di cuore di questa bella interpretazione, non conoscevo questo autoritratto, la lettura che ne fai è magistrale.
RispondiEliminaCome un girasole, è bellissimo seguire te, Grazia. :-))))
RispondiEliminaCosì, sì, che piace la Storia dell'Arte. Grazie, veramente appassionante seguirti.
RispondiEliminaCiao, un abbraccio.
Nou
Eh eh eh eh!!
RispondiEliminaAnch'io ho sempre amato i dipinti che raccontano delle storie. Ma bisogna conoscerle...
RispondiEliminaE tu, Grazia, sei eccezionale a raccontarci tutto questo.
Come scrive Nou, così sì che piace la Storia dell'Arte!
Mi unisco al coro dei chapeau a te, cara Grazia.
Ciao,
Lara
Ne sono rimasto coinvolto al massimo!
RispondiEliminaSheraGrazia :))
RispondiEliminamt
Autoritratto di un uomo fiero,geniale,conscio del proprio valore.
RispondiEliminaIl girasole,non è abbellimento, ma coprotagonista.
Davvero bellissima la storia che si cela dietro questo dipinto. Mi piace molto leggere di uomini del passato. Trovo estremamente affascinante tutto ciò che riguarda la vita passata e Van Dyck è stato proprio un gran personaggio.
RispondiEliminaGrazie cara Grazia, passar di qua è sempre un enorme piacere.
un abbraccio
A me fa un po' tenerezza e un po' mi infastidisce l'ingenuo e spontaneo autocompiacimento di Van Dick, soprattutto in quel mostrare la catena d'oro.
RispondiEliminaAscoltare la sua storia raccontata da te è però, come al solito, bellissimo.
Saluti!
Si sentiva fico, non c'è dubbio. Se fosse contemporaneo ci sarebbe questa stessa immagine su facebook (con foto scattata nello specchio del bagno). E qualcuno cliccherebbe anche su "mi piace"
RispondiEliminaCSTLDA
Se fossi caporedattore di una televisione - una televisione intelligente, intendo - ti farei condurre un programma in cui tutti i giorni spiegheresti un quadro come hai fatto qui. Con quel misto di curiosità e professionalità che tengono attaccati alla tele senza dire: "Uffa che barba questo programma!" Ma poiché di tele intelligenti ultimamente mi sa ce ne siano ben poche, allora mi ritengo fortunata di poterti leggere qui. Alla prossima indagine pittorica mia cara! Bye&besos
RispondiEliminaGrazie a tutti per i commenti.
RispondiEliminaIn effetti quando la storia dell'arte (o la storia) diventa racconto è più appassionante studiarla e leggerla.
Van Dyck è il protagonista perfetto:la sua vita è estremamente documentata, anche se mancano i diari, le confessioni intime. E poi vive in un secolo in cui tutto è pubblico, non solo la sua carriera e i suoi lauti guadagni, ma anche la sua vita privata. Se ne potrebbe fare il protagonista di una serie (vero, Nela San ?).
Di sicuro non sarà questo l'ultimo post che gli dedicherò.
Ancora grazie
Grazia che bella l'idea di Nela San: ma forse potresti farlo anche qui. Perché qualche volta non provi a fare un video in cui spieghi le opere, anziché scrivere? Sono sicura che sarebbe molto bello.
RispondiEliminaLo posti su youtube e metti qui il link.
@ Paola : grazie tante,ma purtroppo non so fare video e poi non sono molto abituata.Per ora continuo a scrivere, però "mai dire mai".Grazie ancora
RispondiEliminaGrazie tante, Carmen.
RispondiEliminaSe mai decidero' di "buttarmi" nell'impresa di un video ti consulterò subito, magari via intranet, tra ufficio e ufficio.
Grazie di nuovo e buona settimana anche a te.
Un modo interessante e piacevole di discutere d'arte e di capolavori dietro cui si nascondono storie, persone e fatti più o meno noti. Brava
RispondiElimina@ Carmen: non appena mi decido, ti cerco. Grazie !
RispondiElimina@ Roscio : grazie tante. Hai capito quello che mi piace : trovare e raccontare delle storie.
Per una qualche strana ragione, l'applicazione che condivide i post di "Senza dedica" sulla nostra pagina Facebook ha deciso di pubblicare oggi questo post del 2011... bene, non lo conoscevo :-) Chapeau a questo racconto, è davvero bello rendere avvincente la storia dell'arte in questo modo, specie se di mezzo poi c'è un gran personaggio come il nostro "van Deic" :-)
RispondiEliminaFederico, è stato un errore: volevo aggiornarlo aggiungendo la collocazione del dipinto, ma invece l'ho ripubblicato. Ma ora quasi quasi mi è venuta la tentazione di ripubblicarne altri in una specie di "the best of"....Vedremo....
EliminaOvviamente d'accordissimo con l'idea del video. Anche perché ogni volta che leggo uno dei tuoi post, oltre all'ovvio piacere della scoperta, provo anche un senso di sgomento al pensiero di tutti quei quadri che ho visto senza capire.
RispondiEliminaChissà! ogni tanto ho la tentazione di smettere di scrivere il blog. Forse un video potrebbe essere un'alternativa!
EliminaSe nelle scuole raccontassero l'arte come sai fare tu!!! Per fortuna adesso (che non sono più in età da scuola) ci sono i tuoi post che aggiungono un tocco di umanità e mistero a queste opere!!! Grazie 1000.
RispondiEliminaCiao
Jampy, potremmo fare un cambio. Io ti racconto storie dell'arte e tu mi dai lezioni di giardinaggio. Che ne dici?
Eliminami unisco in ritardo al consueto e meritatissimo coro dei "grazie", cara Grazia. I genovesi furono tra i primi a poter apprezzare le doti di ritrattista di Van Dyck e ne conserviamo ancora splendidi esempi. Quando ti deciderai a venire a Genova? Attendo fiduciosa.
RispondiEliminaMi piacerebbe moltissimo venire a Genova. In questo momento sono un po' troppo occupata tra famiglia e lavoro. Ma in futuro di sicuro Genova ci sarà!
EliminaGrazie per l'interessante racconto letto e riletto. Mi è piaciuto moltissimo. Lo farò conoscere ai miei amici di Fb perchè le belle cose devono viaggiare. Un caro saluto Carla Totaro Puccinelli.
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