venerdì 15 novembre 2013

Le fotografie di Norbert Ghisoland: la vita davanti all'obiettivo




Un pugile che, con la sua posa aggressiva, sembra pronto a scatenarsi  su un pavimento lucidissimo  tra tende e candelabri, in un'ambiente che, più che a un ring, assomiglia a una sala da ballo:



il volto di  bambino che sbuca da quella che sembra una scenografia in cartapesta, completa di un cancello su un giardino, di un sole, di un palloncino e perfino, di un vestitino infantile con maglietta e pantaloncini:



Un giovane ciclista che pedala  su uno sfondo di nebbia e di alberi e che sembra guardarci con un'espressione  sospettosa:


Una bambina che, vestita col suo pigiamino bianco, sullo sfondo di un camino e con una candela accesa in mano, illumina il buio circostante


Un gruppo di famiglia con tre sorelle abbigliate con immacolati vestitini a righe e un bambino, l’unico maschio, che ci lancia uno sguardo e tra timido e arrogante:


Sono alcune delle migliaia di fotografie scattate da Norbert Ghisoland (1878-1939) tra gli anni'20 e  '30 del Novecento.
Siamo nel sud del Belgio, nel Borinage, una regione di miniere di carbone che alimentano, all’epoca, tutta l’Europa, ma anche una terra di miseria e di lotte sociali.  
La vita è dura e lascia i segni sui volti, come quelli dei miniatori ritratti da Van Gogh che, proprio nel Borinage, aveva svolto la sua attività di predicatore, prima di dedicarsi esclusivamente alla pittura

Anche il padre di Norbert Ghisolan ha lavorato per tutta la vita in miniera e la fatica la conosce bene, tanto che coltiva il sogno di sottrarre i figli a  un destino come il suo. 
Coi suoi risparmi ha comprato un'intera attrezzatura da fotografo per consentire loro un mestiere diverso.
Dopo la morte in guerra del fratello maggiore toccherà a Norbert, seguire un corso di fotografia in città, a Mons, e aprire, nel 1920, il suo studio nel suo piccolo paese, a Frameries, al pianterreno della casa dei suoi: là passerà tutta la vita. 
Si sposerà, avrà dei figli, vivrà la sua esistenza appartata, nel rigore di una famiglia protestante, tra preghiera  e lavoro. Tanto lavoro.
Quasi tutti gli abitanti della regione finiranno per entrare nel suo studio per una carta d'identità, ma anche per  avere una foto in ricordo degli eventi familiari, dal matrimonio al battesimo, o un ritratto da scambiarsi  in occasione di un fidanzamento e, magari, da appendere, poi, nel salotto buono di casa. 
Un’attività, simile a quella di tanti fotografi di paese, da onesto artigiano senza tanti grilli per la testa. Giorno dopo giorno, per vent'anni.

Alla sua morte lascerà un patrimonio impressionante: ben 90.000 lastre fotografiche classificate, numerate e conservate in casse di cartone, anche se una buona metà, regalata per beneficenza, andrà distrutta nel 1953. 
Le altre saranno salvate dal nipote, anche lui fotografo, prima che, negli anni '90, una serie di mostre e di libri non riscopra  Ghisoland e inserisca a buon diritto la sua attività nella storia della fotografia (qui è un link al racconto del nipote).


Stampando quelle lastre, ci si rende conto che, su quello stesso sfondo dipinto, arricchito con qualche mobile banale, si è messa in posa un'intera comunità

Operai, casalinghe, piccoli artigiani, bambini che si fanno ritrarre, un po' goffamente, indossando le loro vesti migliori. 

Danno l'idea di voler avere,  almeno sulla foto, l'apparenza di quei signori, delle cui vite hanno spesso sognato. 
Ma qualche dettaglio come un bottone staccato, le maniche troppo corte o- come nella ragazza del ritratto- un abito troppo nuovo e le scarpette di vernice che non sembrano mai usate finisce, alle volte, per tradirli.

Nello studio di Gisoland c'è poco posto per le raffinatezze della moda.

Quella che domina anche lì è la durezza della vita: i bambini delle foto hanno l'aria di essere cresciuti prematuramente- come quelli che già a dodici anni sono entrati in miniera- e raramente si lasciano andare al sorriso. Anche quando, per gioco, si presentano travestiti da sposini:



oppure si adattano, come queste due ragazzine tutte compunte,  alla fantasia un po'surreale e al gusto per il travestimento del fotografo, capace di confezionare per loro un vestito da infermiere in carta di giornale:


E, spesso, dietro l'atteggiamento dignitoso, si avverte  un disagio che commuove, come in questa foto di padre e figlia che, tutti eleganti, si tengono per mano sullo sfondo di un giardino:



C'è sempre qualcosa nei ritratti di Ghisoland che ci cattura. E non è solo la qualità tecnica.

C'è un'emozione vera, che poco ha a che fare con le sottili distinzioni della critica e le discussioni se per queste foto si debba parlare d'arte o di sociologia.
Il fascino di queste immagini nasce da qualcos'altro.

È che davanti all'obiettivo di Ghisoland, al suo sguardo partecipe e rispettoso sono passate migliaia di persone comuni, con la loro fatica di vivere, ma anche col loro bagaglio di sogni, di passioni, di desideri. 
Grazie alla sua perizia tecnica, al suo gusto per l'inquadratura e alla sua finezza psicologica, da modesto artigiano senza pretese artistiche, ma con l'unica preoccupazione di far bene, ne ha capito e catturato tutti i sentimenti, anche quelli più profondi e  difficili da esprimere a parole.  

È che, nelle sue foto, queste vite silenziose, altrimenti destinate a essere ignorate, hanno finalmente lasciato una traccia.






QUI è un link al sito dedicato a Norbert Ghisoland.

20 commenti:

  1. Grazia, tu riesci sempre a scovare le cose meno note e più appassionanti. Davvero, prima o poi un libro lo devi scrivere!

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    1. Questo fotografo l'ho scoperto nella pagina di un amico di Facebook e quando ho visitato il sito sono rimasta incantata.
      Per il libro....chissà...

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  2. Le guardo con la stessa emozione con cui potrei guardare quelle dei miei nonni.
    Sul libro poi ha ragione chi mi precede.
    Ciao
    Marco

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    1. Anche a me i volti di queste foto assomigliano a quelle dei miei bisnonni e dei miei nonni contadini in un piccolo paese toscano. È che in fondo le condizioni e la dignità delle loro vite non dovevano essere lontane!

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  3. Concordo anche io sul libro!!!!!!
    Il post, oltre a essermi piaciuto moltissimo, mi ha ricordato il libro di Irving Stone "Brama di vivere" con l'interessante capitolo sulla vita nel Borinage e le aberranti ripercussioni delle speculazioni dell'alta finanza sulla vita dei poveracci.

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    1. Non conosco il libro di Irving Stone: lo vado a cercare subito. Il Borinage del Belgio è una regione che mi è molto cara!

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  4. Caro Poirot,

    Oggi, come sempre, sono andato a trovare il mio amico Sherlock e come sempre l'ho trovato seduto davanti al computer. Sa, è un maniaco della ricerca su internet. Scova sempre cose incredibili, è un divertimento sentire le sue relazioni (di cui mi pregio essere l'unico depositario). Dunque caro Poirot le dicevo che questa mattina sono entrato nello studio di Sherlock senza bussare (di solito lo faccio ma oggi la porta era socchiusa e la cameriera mi aveva appena detto che la mia visita era attesa) e l'ho visto di tre quarti, intento a guardare delle foto in bianco e nero sullo schermo del suo mac.Il suo volto mi era visibile solo in parte, ma quello che mi ha sconvolto era uno strano luccichio che brillava sulla sua guancia. Un luccichio inequivocabile: una goccia d'acqua che, essendo il soffitto in perfette condizioni, essendo la finestra chiusa ed essendo la pioggia odierna di entità assai modesta, non potevo interpretare altro che come una lacrima! Sherlock che piange è qualcosa di assolutamente inconsueto. Trovandomi ancora fra uscio e battente, ho bussato per far sentire la mia presenza. Credo che me ne sia stato grato, perché ha aspettato un momento prima di rispondere e quando si è girato a dirmi di entrare il luccichio era scomparso. Ma ho potuto vedere cosa stava guardando: era la foto del bambino coi palloncini che credo anche lei, caro Poirot, abbia visto oggi sul blog della nostra comune amica Grazia. Non gli ho chiesto il perché di quella commozione, e lui non me l'ha detto. Chissà... Queste foto sono magnifiche e parlano a ciascuno di noi di un mondo di fatica e dignità che ci tocca nel profondo, sia che esso appartenga alla storia della nostra famiglia, sia che con esso si sia venuti in contatto per qualche strano capriccio del destino, come immagino possa essere accaduto al mio amico Holmes. Un caro saluto dal suo sempre devoto
    dottor Watson

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    1. Caro Watson,
      che il nostro comune amico Sherlock avesse un cuore tenero era per me più che un sospetto una certezza. Ma dietro quella commozione ci vedo un altro motivo. Che sappiamo noi davvero della sua famiglia, a parte la presenza del suo saccente fratello Mycroft? È vero che più volte ha affermato che i suoi erano signorotti di campagna e che la nonna francese era figlia del pittore Vernet, ma- siamo seri, caro Watson-chi ci assicura che fosse veramente così? E se invece che francese Sherlock fosse d'origine belga, se magari avesse legami con quel paese solo apparentemente piatto e con una regione nera di miniere e di carbone come il Borinage? questo spiegherebbe la sua continua voglia di scavare nel segreto oscuro delle cose e anche la sua grande intelligenza. Perchè- lei lo sa bene Watson- anch'io sono belga e certe cose le capisco al volo.
      Il suo devoto amico Poirot
      PS .... Comunque, Paolla, quel libro che in alcuni commenti mi chiedono probabilmente dovresti scriverlo tu. Con Sherlock, Watson e Poirot, ca va sans dire!

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    2. forse sarebbe una bella idea fare un lavoro a quattro mani (nel senso di: Grazia, Paola, Watson e Poirot) :)

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  5. dopo il commento precedente non ho il coraggio di aggiungere altro. Aggiungo solo la mia firma sotto la richiesta pressante del libro!

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    1. Chissà, Dede, se con qualche aiuto, se non un libro, almeno un libricino, non riesca a scriverlo davvero!

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  6. Oltre a sottoscrivere in maniera pressante la richiesta di un libro che raccolga questi post sempre sorprendenti e commoventi o divertenti (nel senso più ampio e profondo del termine), non posso che, come al solito, ringraziare.
    Buon fine settimana, Grazia!

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    1. Grazie tantissime a te, Luisa cara, e sul libro... ci penserò!

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  7. 90.000 lastre fotografiche per quei tempi senza il digitale deve esser stata l'impresa titanica data da un'immane passione.
    Io mi avvicino alla fotografia ed ecco che puntualmente trovo post interessanti sul tuo blog.
    Buon fine settimana,

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    1. Eh, sì, 90.000 foto sono il ritratto di una comunità e di più di una generazione. Un'impresa, una tecnica e una passione straordinaria!
      Buone avventure fotografiche anche a te!

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  8. Che bello questo post! Ieri sera sono stata ancora alla mia lezione di fotografia, e più imparo e più ammiro I fotografi del passato. Sono loro che hanno tracciato il cammino. Che ancora oggi ci insegnano molto. Se penso quanto siamo facilitate oggi dalla tecnica! Loro si che erano dei maghi della luce. E di solito autodidatti. In un period in cui c'era poca attenzione e poca sensibilità (forse) per le emozioni, loro riuscivano a trasformarle in immagini. Ghisoland era di certo un maestro! Quanta dignità esprimono le persone delle sue fotografie, che definirei molto democratiche!
    Che bello che il nipote abbia valorizzato questo lavoro. Tra l'altro questo post mi ricorda la fotografa Vivian Maier, anche lei "catturava" ritratti, a differenza di Ghisoland lei andava per strada, naturalmente avvantaggiata dalla tecnica, anche se ancora lontana dai nostri tempi!

    Grazie mille per questo post! Raramente in vita mia mi sono appassionata tanto a un argomento come attualmente alla fotografia. Peccato che l'abbia scoperta così tardi.

    Un abbraccio
    Cinzia

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    1. Cinzia, sono sicura che con la tua sensibilità, sai essere un'ottima fotografa!
      un grande abbraccio

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  9. Carissima Grazia, come sempre un post bello e poetico. A proposito del post precedente e del Belgio....si fa sempre più vicina e probabile l'ipotesi di un trasferimento a Bruxelles per raggiungere "la figliolanza" di stanza al Parlamento Europeo.
    Sarebbe bellissimo averla/ (...ti??? Visto che ormai mi sembra di conoscerti) come guida artistica e letteraria per una "iniziazione" doc alla vita della città.
    Mi riservo di rompere le scatole quando e se sarà....
    Intanto, un grazie di cuore per tutte le belle cose che generosamente illustri e condividi

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    1. Donatella cara, mi farà un grandissimo piacere conoscerti a Bruxelles e condividere una città che amo come Bruxelles. Non appena sarai da queste parti fammelo sapere. Io torno in Italia tra dicembre e gennaio, ma da febbraio sarò di nuovo belga!

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    2. ...e allora...a parti inverse...se capiti a Napoli...
      (Anche se dubito fortemente di poter essere all'altezza...!!!)
      Grazie ancora e un saluto affettuoso

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