Un dipinto di Francisco Goya (1746-1828) con il
"Ritratto della duchessa d'Alba" (olio su tela, cm 194x 130), ora a Madrid, nella
collezione Alba Dedica:
Su uno sfondo di dune sabbiose, una donna, con i
lunghi capelli neri, è in piedi, vestita di un elegante e vaporoso abito
bianco, con un orlo dorato e il braccio sinistro ornato di bracciali d'oro.
In
contrasto con i colori neutri dello sfondo e della veste, i due fiocchi, uno tra
i capelli e un altro allo scollo, l'alta fusciacca e la collana di corallo sono tutti di rosso vivace fino all'impertinenza; lo stesso rosso che spicca nel fiocco legato a una zampa del cagnolino bianco.
Con il braccio destro
la donna indica, con un fare imperioso, la scritta sulla sabbia: "A la
duquessa de Alba Fr.de Goya 1795".
Ecco come appare a Goya Maria Teresa
Cayetana de Silva, duchessa d'Alba: una dama fiera, consapevole di avere il sangue più blu di Spagna, seconda solo
alla regina per titoli e importanza dinastica.
Erede di un'immensa fortuna, bella e stravagante, è, all'epoca, al centro
di tutti i pettegolezzi: i benpensanti sussurrano scandalizzati dei suoi atti inconsulti di generosità, della sua
passione per le corride (e i toreri) e della sua abitudine di frequentare,
travestita da popolana, i quartieri più malfamati.
Nel 1795, la duchessa ha
trentatré anni, è sposata da tredici, ma non ha avuto figli.
Goya, all'epoca, ha quasi cinquant'anni ed è appena stato nominato direttore
del corso di pittura nell'Accademia Reale di Madrid.
Reduce da una lunga
malattia che lo ha reso completamente sordo, non ha esitato, non appena contattato
dal Duca d'Alba, a prendersi l'impegno di eseguire i ritratti del Duca e della moglie: accettare la
commissione equivale per lui a confermarsi il ritrattista ufficiale dell'aristocrazia spagnola.
Con il Duca instaura
subito un rapporto di stima e di reciproco rispetto.
E con la duchessa?
Maria Teresa è una donna eccentrica e capricciosa, ma piena di charme, ben capace, se vuole, di affascinare un serio pittore di
mezza età.
Un giorno, racconta Goya,
all'amico Martin Zapatero: "è
entrata nello studio e ha voluto che le truccasi il viso. E- ammette- mi è piaciuto molto di più che dipingere una tela.."
Non è necessaria troppa malizia per immaginare le sensazioni dell'artista nello stendere
i suoi colori direttamente sul volto della donna, lo stesso volto altero che ha ritratto nel dipinto.
Un anno dopo, la duchessa, rimasta vedova, si trasferisce, per il
periodo del lutto a Sanlucar, sulle coste andaluse.
Goya la raggiunge giusto il tempo per eseguire un altro ritratto: un olio su tela (cm 210x147), ora
conservato a New York, The Hispanic Society of America.
Ed eccola qua: sempre
in piedi, impettita e altezzosa, senza la minima traccia di un sorriso, su uno
sfondo di sabbia dorata.
Questa volta è abbigliata in nero, il colore del
lutto, ma anche quello dell'abito delle majas, le donne del popolo.
La
mantiglia di merletto si confonde con la massa vaporosa dei riccioli neri e
accentua il pallore del volto.
Sotto l'abito e lo scialle di pizzo, spicca
l'oro di una sottoveste e il rosso di un'alta fusciacca.
Al dito, la Duchessa porta
due anelli, dove sono incisi i nomi "Alba" e "Goya" e, anche
qui, indica la scritta sulla sabbia:
"Solo Goya".
Lo sguardo rimane imperturbabile, come quello di una
dea.
Due ritratti, il volto di lei abbozzato nei fogli di un album, una
singolare seduta di maquillage, due scritte sulla sabbia e due anelli con i nomi.
Niente altro, ma è bastato per alimentare la leggenda di un amore
tra l'orgogliosa gentildonna e il tormentato pittore.
Un amore su cui sono stati scritti fiumi d'inchiostro.
E, invece....Macché amore!
Tagliano corto le autrici di un libro dedicato a Goya e alla Duchessa d'Alba (qui è il link): le cose stanno in tutt'altro modo.
Tagliano corto le autrici di un libro dedicato a Goya e alla Duchessa d'Alba (qui è il link): le cose stanno in tutt'altro modo.
Intanto - chiariscono subito- i dipinti in cui Goya ha ritratto la Duchessa, l'unica prova di una loro eventuale relazione sono solo questi due: non c'è nessuna testimonianza che la sussiegosa gentildonna abbia fatto da modella anche per i celebri dipinti con la "Maja desnuda"(qui) e la "Maja vestida"(qui), ora al Prado, la cui sensualità aveva colorato di sfumature erotiche la fantasia di certi studiosi.
E, poi, una lunga indagine sui documenti ha confermato che, nella corrispondenza della duchessa, non
compare alcun accenno a Goya.
Anzi, in una lettera scritta quando il pittore
soggiornava a Sanlucar- nel periodo in cui, secondo i pettegoli, si sarebbe svolta la loro relazione- la gentildonna confida a un amico di essere distrutta e completamente assorbita dal dolore per la morte del
marito.
C'è da considerare, poi, che, all'epoca, la differenza sociale tra i due era incolmabile: la
Duchessa, conscia del suo rango, non poteva considerare Goya come un possibile corteggiatore, ma lo vedeva solo come una persona al suo servizio, alla stessa stregua di un bibliotecario o un
maggiordomo.
Gli omaggi del pittore alla sua bellezza non erano che atti dovuti, come i versi celebrativi dei poeti di corte.
Ma allora- potrebbero
obbiettare i più romantici- perché, nel ritratto in bianco, mostra così ostentatamente la dedica di Goya?
Anche qui una spiegazione c’è: la duchessa
non indicherebbe affatto il nome dell’innamorato,
ma, più prosaicamente, il terreno,
simbolo delle sue proprietà fondiarie, vaste come
quelle del re.
Altri segni di potere- e non d’amore- sarebbero
nel ritratto in nero, dove la mantiglia scura evidenzierebbe il suo stato di vedova
e la fusciacca, simile a quella che indossano i capitani reali di reggimento,
alluderebbe alle cariche militari della sua famiglia.
A questo punto, agli
irriducibili non rimane che
appigliarsi alla suggestione della scritta "solo Goya"
Inutile! Controbattono, implacabili, le autrici del libro: nemmeno questa è una prova.
Invece di una dichiarazione d'amore tracciata sulla sabbia, come in un flirt di adolescenti, la scritta potrebbe essere, piuttosto, l'affermazione
orgogliosa del pittore che "solo
Goya" è all'altezza di dipingere un simile modello.
Che altro dire? Se, davvero, è così, il mito si sfalda e la ragione, come spesso succede, vince sul sentimento.
Chi ancora si rifiuta di arrendersi può sempre procurarsi la copia di un vecchio film come la "Maja desnuda"(qui), dove, tra gelosie e vendette, un ardente Goya interpretato da Tony Franciosa si strugge d’amore per una duchessa d’Alba dalla conturbante bellezza di Ava Gardner.
E, con buona pace dei documenti d'archivio, lasciarsi semplicemente andare al sogno.
... e godersi Goya, che è sempre straordinario. Varrebbe la pena di tornare spesso a Madrid anche solo per andare al Prado e rimanere in adorazione davanti ai suoi quadri.
RispondiEliminaQuando recentemente sono andata al Prado c'era una mostra su Goya e gli arazzi: stupenda!
EliminaPosso dire? La Duchessa d'Alba per quanto mi riguarda, si poteva anche perdere. Non mi sembra né bella né simpatica né misteriosa, né affascinante. E se tanto mi dà tanto, aveva anche l'alito cattivo! :)
RispondiEliminaAnche a me la Duchessa dipinta da Goya non convince: certo che l'Ava Garnder del film é decisamente un'altra cosa!
EliminaÈ riuscito a trasferire qualcosa della contessa anche nel cane :)
RispondiEliminaVero! Orgoglioso e pieno di sè anche il cane!
EliminaOgni scarrafone è bello a mamma sua
RispondiEliminaFaccio fatica a vedere di che cose s'era innamorato il Goia,
L'amore è cieco, anche per i pittori! :-)
EliminaChe faccia bruttina e antipatica questa duchessa, una musa? piuttosto un muso... A parte le facili battute, non mi pare che si possa escludere del tutto la liaison erotico-amorosa. Quelle firme quasi sotto il piedino aristocratico hanno qualcosa di così esplicitamente sottomesso che non si può pensare solo alla firma del pittore. Non si può certo dire che sia messa in modo anodino, e poi la cosa si ripete in tutti e due i ritratti: gatta ci cova. Il nome di Goya scritto sulla sabbia dice: io sono nulla ai tuoi piedi, o mia regina. Guardami... e lei lo indica, altezzosa e superba. Un rapporto sado-maso, con lei nel ruolo della dominatrice e lui del dominato? Perché no. Lei amava andare nei bassifondi, mescolarsi con la gente del popolo, sentirne le voci e gli odori. Nulla di strano che per capriccio si sia concessa una liaison erotica con un suo sottoposto. Secondo me il mistero rimane.
RispondiEliminaA proposito, nel secondo ritratto la firma è addirittura scritta a rovescio, come se fosse destinata solo agli occhi di lei... Grazia cara, secondo me le due autrici hanno scartabellato gli archivi ma si sono dimenticate di andare a fondo nel leggere l'immagine.
RispondiEliminaBravissima Paola! La scritta sulla sabbia é, anche secondo me, un segno di sottomissione. E poi basterebbero le scarpe della Duchessa dalle punte cosí aguzze...!
Eliminaahah, vero, quelle scarpine a stiletto sono tutto un programma...
EliminaAh scusa se scrivo a pezzetti, ma quel cagnolino con il fiocco rosso alla zampina messo proprio sotto la firma di Goya non potrebbe essere un'allusione alla sua fedeltà di schiavo sottomesso? il cagnolino insomma non potrebbe essere lo stesso Goya? Troppa fantasia dici? Bah, non so, il cane da sempre era simbolo di fedeltà. Di solito era messo a indicare la fedeltà della donna rispetto all'uomo, è vero, ma in questa relazione dai ruoli invertiti, dato il potere di lei e la subordinazione di lui, anche la simbologia canina potrebbe essere letta a rovescio. Come la firma nel quadro successivo.
RispondiEliminaQuesto autoritratto di Goya del 1795 non somiglia un poco al cagnolino? (a parte i colori, Goya ha i lunghi capelli neri il cagnolino è bianco per intonarsi alle vesti della padrona) http://goya.unizar.es/InfoGoya/Work/Catalogo/Pintura/291.html
RispondiEliminaPaola, geniale amica mia, mi sa che hai capito tutto.Come nel caso di 'Marte e Venere" di Botticelli le tue interpretazioni fanno sempre centro. Quando ti deciderai a riprendere il blog e a scrivere di storia dell'arte?
EliminaCara Grazia, il mio alter ego è Watson, non Sherlock. A me piace tanto venire dietro alle tue scoperte e allargare lo sguardo in questo dialogo. Non mi diverto a scrivere da sola, l'ho fatto già abbastanza con Duchamp. Però se tu cerchi qualche altro intrigo erotico nei pittori che frequenti, si potrebbe far venir fuori una raccolta della coppia Sherlock-Watson! "Dialoghi fra Sherlock Holmes e il dottor Watson intorno ai misteri erotici della pittura"... :)
RispondiEliminaCuriosando sul web ho letto che la Maja vestida sarebbe in realtà una gentildonna travestita con abiti che erano invece da donna del popolo. Maja a quanto pare era un termine che, all'epoca, stava a indicare una persona del popolo che però fosse capace di vestirsi con gusto e raffinatezza, e solo più tardi avrebbe assunto il significato odierno di "carina", "graziosa". Qualcuno ha anche notato che l'altezzosità dell'atteggiamento della donna dipinta da Goya nei due quadri pare in contrasto con la presunta origine popolana della fanciulla, facendo pensare appunto a un travestimento. Se ciò fosse vero, allora l'idea che la Maja nelle sue due versioni sia, se non un ritratto, almeno un omaggio all'altezzosa duchessa potrebbe avere un suo fondamento.
RispondiEliminaChiarito dunque che non c'era il tanto odioso e contemporaneo gossip alla base dei due dipinti, trovo comunque che nella posa assunta nel secondo quadro ci sia molto di contemporaneo. Che ci fossero i prodromi di un red carpet già allora?
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