Ci sono giorni pesanti, in cui si ha bisogno, di una storia che porti lontano dai pensieri.
Cosa c'è di meglio, allora, di un racconto capace di evocare l'Europa di più di mille anni fa, tra imperatori e califfi d'Oriente.
Tutto nasce, come al solito, da un'immagine, un affresco dell'XI secolo, proveniente da una chiesa nel nord della Spagna e ora al museo del Prado.
Su un fondo rosso vivo, spicca un animale che sembrerebbe arrivare dritto dritto dal mondo della fantasia: un elefante bianco, dalle orecchie molto piccole e senza zanne, che porta sul dorso, al posto della tradizionale torre usata in battaglia, un vero e proprio castello con tanto di cupole.
Secondo la tradizione, raffigurerebbe niente di meno che l'elefante di Carlo Magno.
Ed è proprio lui il protagonista della storia.
Siamo nel 797 e re Carlo è al culmine del potere: ha più di cinquant'anni, una bella età, considerata la media del tempo, è un uomo alto, robusto e di buona compagnia. Non è un letterato, ma ama la cultura e sa circondarsi delle menti più brillanti dell'epoca. Soprattutto è un guerriero che conduce una vita frugale, non ama il fasto o le belle vesti e ai ricchi banchetti preferisce la caccia e il nuoto.
È abituato a viaggiare e a spostare la sua corte secondo le necessità.
Ad Aquisgrana, la sua residenza preferita, tra le foreste fitte del nord, si è fatto costruire un enorme palazzo e un grande serraglio di animali esotici.
Non è certo una frivolezza: per un sovrano gli animali rappresentano il segno tangibile del potere e i simboli viventi delle sue virtù.
Lì sono custoditi orsi, leoni e pantere, l'emblema della sua forza.
Manca, però, un animale capace di incarnare le qualità regali della saggezza e della moderazione e di rievocare il prestigio degli imperatori romani o delle corti fastose di Bisanzio e d'Oriente: manca l'elefante.
Su questo straordinario animale, mai più visto dall'antichità, circolano innumerevoli leggende.
Si dice che, esente dal peccato originale, abbia soggiornato, con Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden e che sia di una castità esemplare, tanto che solo il frutto della mandragola può risvegliare l'istinto del maschio. La sua forza sembra non avere rivali, la sua benignità pare provata dal fatto che sia privo di fiele, la sua temperanza dalla consuetudine di consumare sempre la stessa quantità di cibo. L'abitudine della femmina di partorire in acqua ne fa, poi, il simbolo cristiano del battesimo.
Si dice che, esente dal peccato originale, abbia soggiornato, con Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden e che sia di una castità esemplare, tanto che solo il frutto della mandragola può risvegliare l'istinto del maschio. La sua forza sembra non avere rivali, la sua benignità pare provata dal fatto che sia privo di fiele, la sua temperanza dalla consuetudine di consumare sempre la stessa quantità di cibo. L'abitudine della femmina di partorire in acqua ne fa, poi, il simbolo cristiano del battesimo.
Insomma, è proprio quello che ci vorrebbe per completare il serraglio di un re.
Trovare un elefante non è certo facile, ma il buon re Carlo non è tipo da perdersi d'animo.
L'occasione è l'invio dei suoi ambasciatori nella città più grande e prospera del mondo conosciuto, Badgad.
Là regna il leggendario califfo Harun al Rashid, dispotico e magnifico, generoso e crudele: i viaggiatori ospitati nel suo palazzo raccontano meraviglie sul fasto e il lusso della sua corte.
È, senza dubbio, l'unico in grado di offrire un simile dono.
Il califfo, che cerca un alleato contro Bisanzio, colma gli ambasciatori di regali: tappeti, tessuti, gemme, avori, un orologio a acqua, scimmie, leopardi e, finalmente, il più atteso di tutti, un elefante, a cui ha dato il nome di Abul Abbas.
Si tratta ora di trasferire l'elefante ad Aquisgrana e l'impresa non è di poco conto. I paesi da attraversare sono molti e il percorso, da fare con un animale ingombrante e delicato, è lungo.
Gli ambasciatori, comunque, possono contare su una guida d'eccezione: il mercante ebreo Isacco, noto per conoscere tutte le lingue e i sentieri del mediterraneo.
C'è da immaginarselo quel piccolo gruppo, una specie di "armata Brancaleone", che avanza, a passo d'uomo, passando per terre spopolate, dal caldo torrido del deserto ai rigori dell'inverno e con l'elefante sempre dietro.
E c'è da immaginarsi anche l'effetto doveva fare quello strano animale a gente che non lo aveva mai visto, quasi fosse il mostro di un bizzarro "bestiario" improvvisamente incarnato.
Quattro anni ci vollero per percorrere tutto l'itinerario, da Bagdad ad Aquisgrana, toccando Gerusalemme e costeggiando le coste del Mediterraneo, per poi imbarcarsi, fino ad arrivare a Portovenere.
Quattro anni e, nel frattempo, la storia d'Europa era cambiata: quando la strana comitiva arriva in Italia Carlo è stato incoronato a Roma, nella notte di Natale dell'800, Imperatore del Sacro romano Impero.
È ormai il signore dell'Occidente, ma all'elefante non ci rinuncia. Anzi.
Ora più che mai ha bisogno di un simbolo vivente del suo potere.
Ora più che mai ha bisogno di un simbolo vivente del suo potere.
Decide di fargli passare l'inverno a Vercelli, insieme all'unico dei suoi stremati accompagnatori sopravvissuto agli strapazzi del viaggio, il mercante Isacco, per poi varcare le Alpi a primavera e raggiungere, il primo luglio 802, la residenza imperiale di Aquisgrana.
Qui, finalmente il povero Abul Abbas potrà godersi un meritato riposo.
Si dice che Carlo Magno lo curi personalmente; quello che è certo è che lo esibisce, di tanto in tanto, agli ospiti più illustri e che non esita a servirsene nella guerra contro i Danesi per terrorizzare l'esercito nemico.
Dopo otto anni di celebrità e di riconoscimenti, l'elefante muore nell'810 poco gloriosamente, di polmonite, dopo essersi bagnato nelle acque gelide di un fiume.
Aveva appena una quarantina d'anni
Quello che lascia è il ricordo dello scambio di cortesie tra due sovrani leggendari, lo stupore per il suo lungo viaggio, dai giardini profumati di gelsomino del palazzo del Califfo alla spartana corte dell'imperatore Carlo e una storia vera che ha tutta l'aria di una favola.
La seconda e la terza immagine sono tratte dall'albo, Abul Abbas Elefante imperiale, pubblicato nel 2009 da Lapis, con il testo di Teresa Buongiorno e le illustrazioni di Gianni De Conno.
...E il simbolo dell'imperiale potere morì di polmonite, segno evidente che un certo concetto di potere è assai cagionevole.
RispondiElimina:-)
Geniale! :-)
EliminaE anche che il clima di Acquisgrana non è quello di Baghdad.
EliminaBella storia anche questa con il califfo delle Mille e una notte e il Re dei Paladini che entrano in contatto per un elefante!
RispondiEliminaCiao
Marco
Sì,è proprio questo uno degli elementi che mi è piaciuto: un incontro a distanza, che ignoravo, tra i miti di Oriente e di Occidente, tra la Bagdad delle Mille e una notte e i cavalieri di Carlo Magno. E tutto grazie a un elefante!
EliminaGrazia, ogni volta che c'è una tua nuova storia accorro. Ah, quanto ce le vedrei raccolte in volume!
RispondiEliminaE, se lo faccio, me lo traduci in inglese? :-)
EliminaIo personalmente no, ci vuole un madrelingua inglese, ma te lo trovo subito! :-)
EliminaQuello che mi piace del tuo blog è la tua continua capacità di sorprenderci con storie sempre nuove e inattese. Sarei d'accordo anch'io per vederle raccolte in un libro
RispondiEliminaAnna
Anche a me piace essere sorpresa dalle storie incredibili che trovo qua e là. Mi piace che questo arrivi a chi legge il blog.
EliminaGrazie
in impaziente attesa del libro mi chiedo: a Vercelli avrà incrociato la panissa?
RispondiElimina... gemellando così i nostri due blog? Magari! Ne faremmo subito un post "L'elefante e la panissa"...
EliminaChe bella storia, molto più bella di una favola di fantasia! Se fossi andata al Prado, e ci sono andata, sarei passata davanti all'elefante senza sapere cosa poteva raccontare, senza vederlo. Bisogna andarci con te! Sono d'accordo sul libro.
RispondiEliminaCarissima, vorrei che i miei raccontini servissero proprio a questo. a vedere cosa c'è dietro un'immagine, bella o brutta poco importa.
EliminaPer il libro vedremo, intanto aspetto il tuo e so che sarà bellissimo!
Riuscitissima l'operazione di portarci lontani dai pensieri in quei giorni pesanti...Brava come sempre. Il libro è un'ottima idea.
RispondiEliminaCiao, Rosa
Grazie Rosa, riuscire a pensare ad altro, con questi chiari di luna, è già un bel risultato!
Eliminauna grande storia, come l'elefante:)
RispondiElimina... e, in più, un elefante albino che, di certo, non passava inosservato!
Eliminapersonalmente, qui si impara, in silenzio
RispondiEliminain silenzio, ma con allegria, almeno spero :-)
EliminaBella storia che non conoscevo, grazie.
RispondiEliminaGrazie Massimo, tutto merito di Abul Abbas e di un libro di Michel Pastoureau sugli animali, in cui ho trovato le prime tracce, o meglio, le prime orme dell'elefante.
EliminaGrazia,
Eliminaio la prova l'ho fatta, prova anche te, è interessante vedere la differenza tra la nostra pittura romanica e questo affresco che raffigura l'elefante, nonostante il romanico sia quasi equamente diffuso in Europa, da noi c'è più attenzione ai particoleri e alle proporzioni, c'erano già in embrione quei geni che si sono sviluppati in seguito.
Ciao.
Spero che la brutta giornata sia ormai lontano ricordo. Questo post sembra una favola per bambini, un bellissimo racconto con un potente che ama la cultura e gli animali, anche se poi quest'ultimo finisce male. Una storia simile di un elefante che fece un lungo viaggio me la raccontarono a Bressanone, lì in un hotel è raffigurato quello che il Re del Portogallo, Giovanni III, inviò come regalo a suo nipote, Massimiliano d'Austria. Proveniva dall'India e, da Lisbona, varcò le Alpi, passando da Bressanone, dove è effigiato nelle pareti esterne e come fregio dell'Hotel Elephant Brixen (sul sito dell'Hotel trovi tutto. Buona domenica, cara amica.
RispondiEliminaGraze tantissime della segnalazione, Nela.
EliminaMa qunato hanno camminato questi elefanti!
Pensa che del viaggio tra Portogallo e Austria ne ha parlato anche il grande Josè Saramago nel suo libro"Il Viaggio dell'elefante".Ho trovato qui la recensione:
http://www.wuz.it/recensione-libro/3213/viaggio-dell-elefante-jose-saramago.htmla
Non so però se abbia raccontato anche di Bressanone. Comunque dall'Hotel Elephant Brixen ci passerò di sicuro a giugno,quando andrò, al solito, a fare le mie vacanze in Val Pusteria. E chissà che non mi metta a scriverne anch'io! Intanto buonissima domenica anche a te
Proprio una vicenda storica che sembra trasfigurare nella leggenda!
RispondiEliminaSono i protagonisti che fanno la differenza tra storia e leggenda: Carlo Magno, Harun al Rashid e, soprattutto, un giovane elefante chiamato Abul Abbas :-)
EliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaLibro, libro, libro, libro pls...
RispondiEliminaChissà, Licia, in in futuro...
EliminaE' sempre di grande interesse quello che scrivi, cara Grazia.
RispondiEliminaNon avrei mai immaginato di imparare tanto in questo settore, da me (sigh) piuttosto trascurato.
Ma, grazie al cielo, ti ho incontrato.
Ciao :)
Lara
È reciproco, Lara, anch'io imparo moltissimo da te e dal tuo blog. Ci sono incontri molto belli qui nella"blogsfera"!
EliminaSembra una favola infatti. Forse è il tuo incantevole modo di raccontare.
RispondiEliminaCiao Grazia
Nou
L'incanto è merito anche delle immagini, che ho tratto dalle illustrazioni di Guanni De Conno al libro di cui parlo nel post.
EliminaUn saluto anche a te, cara Nou, e a presto
Togliendo l'utilità per attaccare a sorpresa i nemici, favola non direi per nulla, considerando che una creatura senziente viene sottoposta a stress, forzature, viaggi improponibili, malattie e vita contro natura, trasportato da uomini usati come materiale di utilità e ne muoiono sotto i colpi delle pretese di dominio di due soli e semplici comuni mortali che come spesso accade credono di essere divinità. Rosa Rita La Marca
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