Basta guardare un dipinto di Canaletto (1697-1768) per
ritrovare, in una specie di viaggio nel tempo, la Venezia di tre secoli fa.
Ancora di più se si sceglie non una delle vedute più note del
Canal Grande o della piazza san Marco, ma uno scorcio più inconsueto.
Per
esempio questo “Cortile degli scalpellini” ora alla National Gallery di Londra
La tela è ambientata in Campo
san Vidal, dove ora il Canal Grande è attraversato dal ponte dell’Accademia.
In effetti, sullo sfondo, dall'altra parte del canale compare ancora la chiesa
gotica della Carità, con il suo campanile non ancora distrutto da un crollo, che oggi, invece, è inglobata nel complesso delle Gallerie
dell’Accademia.
È una giornata luminosa di sole e, nel cortile dove
lavorano, gli scalpellini hanno raccolto
in una baracca provvisoria di legno il materiale necessario al restauro
della chiesa di san Vidal (che non appare nella veduta).
Tra i grandi blocchi di
pietra sono sparsi qua e là gli strumenti da lavoro.
La vita è quella di tutti
i giorni.
Una donna corre a riprendere un bambino caduto per terra,
un'altra si affaccia dal balcone, forse richiamata dal rumore, mentre i vasi di fiori si alternano alle tende bianche delle finestre. Sullo sfondo, i gondolieri solcano il canale oppure, con
le gondole ormeggiate, aspettano i
clienti.
Siamo intorno al 1725 e Canaletto, poco meno che
trentenne, è rientrato a Venezia dopo un lungo soggiorno romano.
A chi arriva da fuori, la
città sembra piena di vita. Anche se dopo la fine della guerra turca e il trattato di
Passarovitz nel 1718, ha perso il predominio sul mare, i commerci diminuiscono e le le finanze languono, Venezia è ancora capace di vendere bene se
stessa.
È diventata una tappa essenziale del Grand Tour, il viaggio
di conoscenza che molti intellettuali e giovani aristocratici europei intraprendono verso l'Italia.
E attira come non mai i visitatori con la la bellezza dei suoi edifici, mai
distrutti da guerre, ma anche con i suoi locali pubblici, il suo travolgente
carnevale, le sue cerimonie sontuose, i suoi teatri e le sue sale da gioco.
Con
quell'insieme, insomma, di cultura e di gusto per
l'avventura, che per molti è irresistibile.
La sera si aprono al
pubblico ben sette sale da spettacolo: tre per la commedia e quattro per l'opera.
Per la bottega
familiare dei Canal, guidata dal padre specializzato in scenografia teatrale, il lavoro non manca, anzi ce
n'è anche troppo.
Canaletto, però, non ha più voglia di avere a che fare con il mestiere paterno.
"Scomunicò solennemente il
teatro, spintovi dalla indiscretezza de' poeti drammatici e si diede a dipingere vedute al naturale": racconta nel 1771, con un pizzico di drammaticità,
Anton Maria Zanetti nel suo testo sulla pittura veneziana.
Di certo Canaletto non ha rotto i rapporti con la famiglia, anzi
continua ad abitare con tutti i parenti nella affollatissima casa di san Lio.
Ha deciso, però, di iscriversi alla "Fraglia", la corporazione, dei
pittori e di dedicarsi a un genere di pittura che allora comincia ad avere successo,
"la veduta". Ha fatto bene i suoi calcoli e sa che le immagini della città sono sempre
più richieste dai visitatori stranieri, desiderosi di portarsi a casa un souvenir pittorico di Venezia.
Ha preso a girare per i labirinto delle calli veneziane, armato di matite
e di blocchi da disegni per prendere degli schizzi di ogni chiesa, di ogni
ponte, di ogni facciata. E si è abituato a percorrere la città da cima a fondo.
Niente gli sfugge: l'intonaco sbrecciato di un muro, il davanzale di una
finestra, il traffico intenso sul Canal Grande, le gondole ornate di felze che
riparano dagli sguardi indiscreti qualche coppia clandestina, la piazza san Marco,
il ponte di Rialto ma anche le calli e i rii più nascosti.
Nei suoi giri per la
città incrocia i ricchi patrizi con i loro eleganti abiti alla francese, ma
anche i facchini, gli artigiani e gli
uomini e le donne mascherati con la bautta, nel lungo periodo del Carnevale.
E disegna tutto. Sono proprio quei disegni,
gli "scaraboti" come li chiama, che- rielaborati con l'aiuto della camera ottica- saranno la base dei suoi dipinti. (qui è un link)
Quando dipinge "Il cortile degli scalpellini", Canaletto non è si è ancora lanciato nel
mercato internazionale, né ha conosciuto quello che più di tutti lo aiuterà
nella carriera, il mercante e console inglese Joseph Smith.
Ancora non è il
pittore avido di guadagni che conosceranno, letteralmente a loro spese, molti
degli illustri viaggiatori. E non partecipa con le sue vedute monumentali ben accomodate a "inventare" il
mito di Venezia ad uso degli stranieri.
Per questa tela ha accettato di
lavorare per un committente veneziano, uno di quelli che non pagano grosse cifre, ma che sanno apprezzare gli aspetti più
minuti della vita quotidiana della città.
E forse per questo Canaletto si sente libero di
ritrovare, avvolta in una luce dorata dove prevale il tono dell'ocra e del
marrone, l'essenza più vera e profonda di Venezia: quel misto "di
splendore e di sporcizia" di una città che nasconde la sua decadenza dietro
la più brillante delle apparenze.
In quell'appartato "Cortile degli scalpellini", in un giornata come tante, la vitalità si mescola alla malinconia di "una
Venezia che si sbriciola e si sgretola", avvolta in un teatro di illusioni che sembra, sempre di più, avere la consistenza effimera di un sogno.
Come musica di accompagnamento, non il martellare degli scalpellini, ma le note di un concerto di Tomaso Albinoni, per altro quasi coetaneo di Canaletto: qui è il link
Pensa che io sono apopena tornato da Venezia e ti assicuro che è ancora quel misto di splendore e spoircizia di cui tu parli. A proposito di chi è la citazione?
RispondiEliminaCiao
Marco
La citazione su Venezia, Marco, è di un viaggiatore come Charles de Brosses, ma c'è anche chi l'attribuisce a Goethe. Ben rientrato e buon lavoro!
EliminaUno dei dipinti più vivi del Canaletto :)
RispondiEliminaE poi mi sembra quello a cui più si adatti la citazione di Roberto Longhi: "Il grande Antonio Canal [...] parte dapprima dalla secca "veduta" romana nel genere del Vanvitelli e del Pannini; poi, per essere più vero, si vale della "camera ottica", e proprio allora, miracolosamente, versa in poesia. Quando si pensi che sessant'anni prima a Venezia andavano per la maggiore i paesaggi di Monsù Cussin, mentre in Olanda il Vermeer dipingeva la veduta di Delft, s'intenderà su che piano europeo Canaletto abbia ora levato la pittura veneziana. Quella sua certezza illuministica di verità assoluta, volta alla luce dorata, a traversoni d'ombra, dei pomeriggi inutili in una Venezia che si sbriciola e screpola come le rughe delle sue mirabili acqueforti, ha la mestizia stereoscopica delle vedute del "mondo nuovo"(da Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946)
EliminaMolto attento all'architettura della città (si vede sullo sfondo il capanile di san Trovaso)
RispondiEliminae anche alla luminosità del cielo che si traduce in una visione della città
fatta apposta per i turisti affinchè ricordino il bel periodo trascorso.
Un pittore fotografo che presta attenzione alla città e dipinge i suoi abitanti
con poche ennellate sicure ma senza scendere nel particolare come fà nelle architetture.
Se proprio vogliamo parlare di pittura di vedute allora preferirei il Guardi.
Non è che non apprezzi, non ci trovo quella poetica che mi aspetterei da un pittore paludato come è lui.
Mi viene in mente chi si fa fotografare la villetta dall'elicottero in una bella giornata di sole
e poi chiede che sia fatta l'erba più verde e le piante fiorite, ecco,
lui mi pare quello che fa la foto inverdisce l'erba e mette qualche figura
con belle pose di vita vissuta che fa scena e non guasta mai.
Mi piace molto quello che dici, Massimo, ma credo che, in realtà, Canaletto abbia solo prodotto troppo. Le sue cose più belle non sono quelle accomodate per i ricchi turisti " con l'erba più verde", ma quelle (soprattutto giovanili) in cui si lascia andare e fa trasparire il suo amore per Venezia, e insieme- mi pare- la sua nostalgia per una città che ormai si è ridotta ad essere solo un sogno per ricchi turisti.
EliminaForse Massimo Nucci ha ragione, però resta il fatto che la scena di Canaletto ha un fascino tutto speciale. e poi, via, anche gli scatti dei grandi fotoreporter non sempre sono così genuini come vogliono apparire
RispondiEliminaE' vero, Dede! E poi, come dicevo a Massimo, il problema di Canaletto è la sovrapproduzione, quando si riduce ad essere "cartolina di se stesso". Ci sono molti dei suoi dipinti, però, che danno un'emozione straordinaria
EliminaEcco, ora vorrei essere lì, a Campo San Vidal, con una riproduzione del dipinto davanti per confrontarla con il panorama di oggi. Sarebbe un bel modo per trascorrere il venerdì pomeriggio :-)
RispondiEliminaSai, Silvia, che c'è un artista che l'ha fatto? Se trovo abbastanza materiale lo pubblico in un post!
EliminaCerto che i tempi son cambiati! Una volta ti portavi a casa come souvenir un Canaletto, ora ci facciamo dei selfie su un canaletto, banale e con la "c" minuscola. Buona domenica.
RispondiEliminaPerò per portarti a casa un Canaletto, allora come ora, dovevi essere ricco! A noi ci tocca accontentarci degli autoscatti!
Eliminama sti "selfie" che accidente sono?
EliminaDicesi "selfie" quando:
EliminaHai uno smartphone, non hai dolori reumatici a scapole e braccia, sei timido e non ti va di chiedere: "scusi mi fa una foto?"', spesso hai voglia di farti un autoscatto senza dover correre a metterti in posa (perlopiù rischiosamente assurda) davanti alla tua fotocamera. Così te la fai self service con il tuo telefonino, che se fosse veramente Smart, il più delle volte ti direbbe che ti stai auto facendo una foto cesso.
EliminaUn grazie a te
e un coro di scuse a Grazia per aver occupato a nostro piacere un suo spazio
Scusa, Grazia, anche da parte mia.
Elimina@ Nela, Massimo, a me fa solo piacere se vi fermate a parlare qui da me!
EliminaPrepara il the
Elimina@Massimo: visto che sto in Belgio, preparo piuttosto, una birra!
RispondiEliminaInteressanteil link sulla camera ottica , il tuo blog è una rarità
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