venerdì 20 giugno 2014

Il "Cenacolo" di Leonardo da Vinci: il posto di Giuda



Il “Cenacolo” di Leonardo da Vinci per il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, non ha certo bisogno di presentazioni. 


Qualche amante della statistica ha calcolato che, insieme al polittico dell'"Agnello mistico" di Jan van Eyck (ne ho parlato qui), sia l'opera d'arte, su cui è stato scritto di più. Comprese le rutilanti fantasie di Dan Brown e del suo "Codice da Vinci".
Un grande- in ogni senso- dipinto (4,60 metri x 8,80), che, danneggiato fin dall'inizio a causa della tecnica usata da Leonardo, appare oggi, malgrado tutti i restauri, come uno straordinario, quanto degradato, fantasma.
Un dipinto complesso da tutti i punti di vista, dallo stile, all'iconografia.
Impossibile affrontarlo di petto: come succede per tutti i capolavori, è più facile analizzarlo dettaglio per dettaglio. 
E, magari, dopo la prima emozione, concentrarsi su un solo particolare. Oppure su un solo personaggio: Giuda, per esempio.

Negli anni tra 1494 e '98, in cui Leonardo lavora all'affresco, le regole della rappresentazione dell'Ultima Cena sono pressoché stabilite: Giuda, generalmente, è raffigurato senza aureola e dalla parte opposta del tavolo rispetto agli altri apostoli.
Nel Cenacolo di Leonardo, invece, no: nessun apostolo ha l'aureola e Giuda siede in mezzo a loro. Nessuna separazione, nessuna esclusione.
Il posto di Giuda non è, certo, un dettaglio da poco. 
Nella scelta di questa iconografia, molto meno corrente, probabilmente, Leonardo è stato influenzato dai colloqui col priore del convento, il domenicano Vincenzo Bandello, sui temi della Grazia e della salvezza che, in quegli anni, erano al centro delle discussioni teologiche e agitavano non poco le coscienze. 
La dottrina domenicana, sulla base degli scritti di Tommaso d'Aquino, si opponeva all'idea della predestinazione, invocando, anche per Giuda, la possibilità della libera scelta.

Un concetto importante che Leonardo realizza con una grande idea.
Nel suo affresco sceglie, infatti, di non rappresentare l'istituzione dell'Eucarestia, come generalmente si usava.
Preferisce, invece, raffigurare un altro momento della Cena: quello immediatamente successivo, alle parole con cui- stando al testo di Giovanni (13,21)- Gesù afferma: "In verità, vi dico che uno di voi mi tradirà".
Parole che pesano come pietre.
Dopo questa drammatica rivelazione, una tempesta di emozioni sconvolge tutti. 
Disposti in gruppi di tre, alla destra e alla sinistra di Cristo, gli Apostoli, sono sommersi da un'ondata di sentimenti che Leonardo rivela, attraverso i loro gesti. 
È la rappresentazione di quei "moti dell'anima", di cui ha parlato nel suo "Trattato della pittura", di cui ha riferito nei suoi taccuini e per cui ha fatto una serie di disegni preparatori. 

All'epoca, quando la sala non era ancora un museo, ma il refettorio del convento, lo spazio fittizio dell'affresco doveva apparire come un prolungamento di quello reale: la tovaglia, le stoviglie, i cibi frugali sulla tavola dipinta erano gli stessi usati alla mensa dei frati.
Nel silenzio, rispettato da tutti e interrotto solo da qualche lettura religiosa, l'impressione di chi guardava l'affresco era quella di assistere a una "rappresentazione sacra". Un "teatro gestuale", dove ogni volto, ogni gesto rispecchiava tutta la gamma delle emozioni provate dagli spettatori.

E dove ogni atteggiamento sembra identificare un carattere, tanto che ogni Apostolo è indagato nella sua psicologia, così come era descritta nei testi agiografici del tempo.
E ognuno di loro reagisce alla rivelazione di Gesù in modo diverso.
C'è chi si meraviglia, chi si angoscia, chi è sconcertato, chi rimane incredulo, chi porta le mani al petto quasi a discolparsi.
Le braccia si sovrappongono in un gesticolare turbinoso, più convulso verso il centro della tavola, più pacato all'esterno mano mano che gli apostoli percepiscono, fino in fondo, il senso delle parole.

In quella tavola affollata, solo due figure rimangono immobili.
Cristo, al centro prospettico della composizione, anche lui senza aureola, ma illuminato dal chiarore della finestra contro cui si staglia, siede, con le mani abbandonate, in una posizione che richiama quella della Pietà.
In mezzo a tutta quella concitazione, è come se fosse solo, concentrato sul dolore e sulla sofferenza che lo aspetta.
L'altro che rimane fermo e quasi bloccato, nel gruppo animato degli Apostoli, è Giuda.
Cristo e Giuda sono gli unici che sanno. E la loro consapevolezza li isola da tutti.


Giuda è seduto tra Pietro e Giovanni, completamente assorti  in una conversazione che lo esclude. I due rivelano, l'uno nella sua quieta mitezza, l'altro nel suo desiderio di azione, la differenza della loro indole. 
Pietro sta per chiedere, tramite Giovanni, quella spiegazione che tutti aspettano e, con un gesto maldestro, nasconde il coltello, con cui, poco dopo, ferirà il servo del grande sacerdote.
Guida, invece, col gomito poggiato sulla tavola, cerca di coprire, con la mano destra, la borsa dei denari.
E, al contrario degli altri due, rimane in silenzio.
La luce, che si concentra su Cristo, lo lascia- rispetto agli altri- completamente in ombra.

Gesù non ha ancora rivelato, intingendo  il pane, il suo tradimento.
Ancora per pochi istanti, Giuda potrebbe essere  libero di scegliere. 
Ed è proprio questo il momento che Leonardo ha fissato nella sua pittura e che consegna alla nostra riflessione. Dopo sarà troppo tardi

Non appena Gesù rivelerà il suo nome, Giuda abbandonerà il suo posto e consumerà fino in fondo il tradimento. La sua sorte sarà compiuta.
Per lui l'atto finale della Cena è nelle parole del Vangelo di Giovanni (13,30) "preso il boccone, subito uscì. Ed era notte". 




Più che un testo specifico dei tanti che sono stati scritti sull'iconografia del Cenacolo, mi viene alla mente il bellissimo racconto di J.L. Borges, in "Finzioni", sulle "Tre versioni di Giuda", riportato integralmente qui 



10 commenti:

  1. Cosa dici riguardo alla testa che a me pare più piccola di quella degli altri?
    E per la carnagione più scura? Non è solo perchè è in ombra, è proprio più scura.
    Sulla seconda puoi anche non rispondere per non prestare il destro a Maroni
    Grazie e ciao.

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    1. Massimo caro, ti copio un commento che ho ricevuto su facebook e che mi pare risponda un po' a quello che mi dici: "Una bella spiegazione che mette in luce gli aspetti drammatici del dipinto. E' vero il commento sul blog. Ma non solo la testa, tutto il corpo di Giuda appare come rattrappito. E' sì ancora in mezzo agli altri, ma è come se si stesse già ritirando... in se stesso."
      Che il corpo e l'umanità stesa di Giuda si ritiri in se stessa prima di affrontare la prova del tradimento? Comune prova a leggere il racconto di Borges di cui ho messo il link e vedrai quante riflessioni ci sono da fare!

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    2. Ma chi era? Uno che ha letto qui e risposto colà?
      Hai anche un facebuc eh! Tanto per non farti mancare niente
      Ma lì sei grande come quì vero?
      Sono certo che lo sei.

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  2. Perché, perché non ho avuto un insegnante di storia dell'arte come te? Sigh.

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    1. Ci sono insegnati di storia dell'arte bravissimi, Silvia! L'unica differenza è che io ho il privilegio di parlare di quello che mi piace nei tempi per me più comodi!

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  3. La grandezza di Leonardo! Ho avuto la fortuna di vedere l'opera dal vero. La sensazione fu che Giuda fosse una "figura fuori posto", per quel suo non partecipare attivamente alla conversazione o semplicemente non aver alcun tipo di reazione "umana" come invece tutti gli altri. Da qui la grandezza di Leonardo e -chiusura qualunquista del commento - perché porta male essere in 13 a tavola.

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  4. Ottima analisi di un capolavoro fondamentale della nostra storia dell'arte... :) Che ha rivoluzionato tanto... !

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  5. Questo San Giovanni a me sembra davvero una donna. Non è che all'epoca fossero già avanti e poi siamo tornati indietro?

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  6. Visite gratuite guidate al Cenacolo, in alcuni particolari giorni fino al 10 maggio 2015 :D

    http://www.statistiche-lotto.it/piutuamilano-lotto-leonardo-da-vinci

    #PiuTuaMilano #LeonardoDaVinci

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  7. Castiglione comprendió -sin compartirlo- el deseo de Leonardo de inscribir su obra en una gran arquitectura filosófica, lo cual no fue captado por Goethe.
    El trío a derecha de Cristo evoca la enseñanza cristiana de no devolver mal por mal, paralela a la filosófica (Critón de Platón).
    La triade platónica a la izquierda significa EL AMOR ES EL DESEO DE LA BELLEZA QUE SE PERFECCIONA EN DIOS (Ficino, De amore commentarium in convivium platonis)
    La última triade muestra a conversación entre Platón algún teólogo cristiano y Ficino. (Tesis Antitesis Síntesis)

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