giovedì 1 ottobre 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco, ottobre e la Bilancia

 

Decimo mese dell'anno, decima immagine del calendario che ho scelto per il mio blog: gli affreschi della Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova realizzati intorno al 1520 dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468 - Padova, 1535).

Vi piacerebbe sapere come si presenta il mese di ottobre e il segno astrologico della Bilancia? Mi dispiace deludervi ma l'immagine non esiste, o meglio, non esiste più. 

Purtroppo nel corso del XVII secolo l'affresco fu coperto da un maestoso camino in marmo bianco che sicuramente serviva a rendere più piacevole la temperatura della sala, ma che ci impedisce di scoprire quale astrusa rappresentazione l'artista avesse elaborato per rappresentare Ottobre.



Ecco qua, malamente fotografata da un libro, la situazione attuale dell'affresco. Troppo poco per cercare di immaginare quale ne fosse l'aspetto originario.

Meglio aprire il mese con due immagini dell'intera Sala, sperando che sia un invito alla visita di Mantova e di questo straordinario luogo d'arte, magari sfruttando la bellezza dell'autunno che in ottobre raggiunge il suo culmine. 







martedì 1 settembre 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco, settembre e la Vergine



Siamo ormai a settembre e mi corre l'obbligo (come si diceva un tempo) di dare un'occhiata all'immagine del mese del calendario che ho scelto per quest'anno: gli affreschi della Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova.

Nel dipinto realizzato intorno al 1520 dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona 1468-Padova, 1535) il mese si presenta così:



L'artista, che  ci ha abituato fin qui a soggetti arzigogolati e di difficile interpretazione, non si smentisce, anzi ci fornisce qui un'ulteriore prova della sua capacità di complicare la vita agli studiosi di iconografia.

Cominciamo a guardare il dipinto, partendo  dallo sfondo, che come al solito, raffigura un edificio antico. Nessun dubbio sul monumento rappresentato che altro non è che il Mausoleo di Teodorico a Ravenna, riprodotto davvero con grande precisione. Sembrerebbe filare tutto liscio, se non fosse per il particolare della scalinata alla cui sommità è collocato un protiro a timpano, attualmente inesistente.

Stavolta però non ci dovremmo trovare di fronte a un arricchimento dovuto alla fervida fantasia dell'artista, ma alla riproduzione  dell'aspetto dell'edificio, così com'era all'epoca, tanto che  tuttora,  sopra la porta d'ingresso alla parte superiore del Mausoleo, è visibile la traccia di un tetto a due spioventi come quello del protiro raffigurato nell'affresco.

Nella parte alta della scena  è visibile, circondato, come sempre, da fitte nuvole dorate il segno astrologico con la Vergine nelle vesti di un angelo.  Sulla sinistra, più in basso, è la rappresentazione delle trebbiatura con due contadini che conducono  sei cavalli  impegnati a trascinare un rullo. E fin qui ci siamo.

Di di ben più difficile interpretazione è il resto della scena. Resta, infatti, ancora da chiarire, malgrado le ricerche degli studiosi, le presenza delle fiamme alla base del mausoleo di Teodorico, così come tutta la rappresentazione in primo piano con un putto che attinge l'acqua da una fontana a forma di leone, un vecchio barbuto  che sta bevendo  e una lorica di colore verde decorata da una testa di medusa appoggiata su un tronco. 

Chi sia questo personaggio è ancora oggetto di dibattito. Un'ipotesi è che si tratti del mitologico re Mida, condannato a non potersi mai nutrire dal potere conferitogli da Apollo di trasformare in oro ogni oggetto, compresi quelli che  cercava di portare alla bocca. Mida si sarebbe potuto salvare solo con un bagno nel fiume Pactolo, a cui  alluderebbe il ruscello che sgorga dalla fontana. Ma l'identificazione con il re Mida  e il suo legame con la raffigurazione della Vergine è ancora tutto da chiarire. 

Altre interpretazioni vedono nel segno della Vergine la rappresentazione della Fortuna che, insieme alle fiamme dell'incendio e alla testa  di Medusa sulla corazza, farebbe riferimento a Proserpina, regina degli inferi, spesso associata alla simbologia della sorte umana.

Insomma, malgrado i tentativi, il soggetto dell'affresco mantiene ancora in gran parte il suo mistero. Così come è misterioso quello che ci riserverà  il mese che ora inizia, sperando comunque che settembre si apra (e si chiuda) almeno con un pizzico di buona fortuna.

 

 

sabato 1 agosto 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco, Agosto e il Leone



Agosto, il tempo delle vacanze (per chi può) si apre, come al solito,  con l'immagine del calendario che ho scelto quest'anno per il mio blog: gli affreschi della Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova.
Ed ecco, dunque,  come appare il mese nel sontuoso  dipinto realizzato intorno al 1520 dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468- Padova, 1535). 


Se cominciamo ad analizzare l'affresco partendo dall'alto, ci imbattiamo subito nel segno zodiacale del Leone, che domina, al centro, su una piattaforma di nuvole. 
Lo stesso Leone compare come  un simulacro, portato in cielo dalla dea Giunone, in alto sulla destra.

Al segno zodiacale fa riferimento anche la scena che si svolge, a sinistra, sullo sfondo di un monumento romano come l’Arco di Giano: si tratta di Ercole, raffigurato in atto di uccidere il leone Nemeo, l'enorme belva protetta da Giunone, che l'eroe, soltanto dopo una dura lotta, riuscirà a soffocare.
Sempre a sinistra, più in basso, è ritratta una più tranquilla scena campestre con la mietitura, l'attività agricola tradizionalmente legata al mese.

Ma l'elemento dominante della rappresentazione è, in promo piano, l'immagine di Artemide (o Diana, secondo la mitologia romana).
Artemide è raffigurata non come dea della caccia o della luna, ma come dea della fertilità e dell'abbondanza, così com'era venerato nel tempio di Efeso  sulle coste dell'odierna Turchia.
L'immagine, diffusa in Italia attraverso sculture ellenistiche e ripresa nel Rinascimento, è quella di una dea dominatrice della natura  raffigurata in una posa ieratica con una veste adorna di protomi di animali reali e fantastici  e con il petto caratterizzato da  file di mammelle (o, per alcuni studiosi, dei testicoli di toro che venivano offerti alla dea nel corso di cerimonie iniziatiche). 
Sulla testa reca una corona a forma di torre, davanti alla cui porta aperta un personaggio nudo porta una ghirlanda. 
Sulle braccia semi-aperte siedono due leoni, mentre in basso compaiono due cervi, animali sacri alla dea,  e un piccolo satiro che  le offre un serpente e una tartaruga.

A destra alcuni animali (un dromedario, un cavallo, un orso, un toro...) sono raffigurati sullo sfondo di una  foresta ombrosa fitta di alberi.

La dea diventa così l'emblema della fecondità e del continuo moltiplicarsi della natura in una rappresentazione particolarmente adatta al periodo in cui l'estate è al suo culmine. 
Ed è, dunque, con questa immagine di rigoglio e di rinnovamento che ha inizio il mese agosto.




mercoledì 1 luglio 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco, luglio e il Cancro



Il tempo brutto (non solo meteorologicamente) sembra sia stato finalmente sconfitto dal sole dell'estate. 
Siamo  ormai a luglio.
Come sempre, per iniziare il mese al meglio, dobbiamo vedere cosa ci riserva l'immagine del calendario che ho scelto quest'anno per il mio blog: gli affreschi della Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova, eseguiti intorno al 1520 dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468-Padova, 1535).




Cominciamo dalla parte centrale della scena che stavolta sembra meno complicata del solito: il soggetto è quello di Ercole che lotta con l'Idra di Lerna, il terribile serpente dalle numerose teste che, se mozzate, ricrescevano duplicate.
Alla lotta assiste, impassibile, Giunone: la dea non è certo lì per aiutare l'eroe, che detesta perché frutto di un ennesimo tradimento del marito Giove, anzi vorrebbe creargli ulteriori difficoltà, facendo scaturire dalla vicina palude un enorme granchio destinato a mordere il tallone di Ercole.
L'eroe, però, non solo sconfigge l'Idra, ma uccide anche il granchio.
A questo punto Giunone, in atto di riconoscenza per il sacrificio dell'animale, decide di  collocare il granchio tra le dodici costellazioni astrologiche. 
Lo vediamo nella parte alta della scena, con la dea che porta in cielo il simulacro del segno e con il Cancro piazzato proprio al centro della composizione.

A sinistra, in secondo piano, due contadini sono occupati nella falciatura,  l'attività agricola tradizionalmente legata al mese di luglio.
Le architetture classiche sullo sfondo sono state identificate con il Colosseo e, a destra, con la Porta Aurea di Ravenna.

Fin qui, senza quegli arzigogolati percorsi iconografici, a cui l'artista ci aveva  abituato sembrerebbe  tutto chiaro, se, in basso a sinistra, non comparisse il ritratto di un gentiluomo in abito e copricapo nero, con un mazzo di chiavi tra le mani. 
Chi sarà  mai costui? 
Le ipotesi degli studiosi sono, ovviamente numerose. 
Qualcuno vi ha voluto vedere l'autoritratto del pittore, ma in genere, considerando il particolare delle chiavi, si è piuttosto preferito riconoscere, nell'elegante personaggio,  il padrone del luogo o, per meglio dire, il committente.
Un'ipotesi questa senza dubbio da accettare,  se non fosse per il piccolo dettaglio che non esistono documenti sulla commissione degli affreschi.

E, allora, come fare?
Una buona base per identificare il committente potrebbe essere un brano delle Vite di Vasari in cui si afferma che Giovanni Maria Falconetto lavorò a Mantova per Luigi Gonzaga. 
Finalmente tutto chiaro?
Nemmeno per idea! 
Sarebbe fin troppo semplice, se Luigi non fosse un nome ricorrente nella famiglia Gonzaga e se, negli stessi anni dell'impresa di Palazzo D'Arco, non fossero almeno due i Luigi che vi  potrebbero essere coinvolti. 

Il primo potrebbe essere Luigi Gonzaga Rodomonte signore di Rivarolo e padre di Vespasiano duca di Sabbioneta. Parlerebbe a favore di questa ipotesi l'emblema del fulmine bialato che compare nelle scene del Toro e del Leone, emblema che Luigi Rodomonte aveva ereditato dal nonno Gianfrancesco Gonzaga conte di Rodigo e signore di Sabbioneta.

L'altra ipotesi, invece, è che si tratti di Luigi (o Luigi Alessandro), figlio di Rodolfo Gonzaga, che risiedeva a Mantova, nella contrada del Grifone, nel palazzo che oggi ospita l'Archivio di Stato. 
Luigi, noto per essere un grande erudito, lo aveva ricevuto in eredità dal padre e lo aveva scelto come sua dimora cittadina, chiamando ad abbellirlo nient'altro che- colpo di scena!- Giovanni Maria Falconetto, a cui potrebbe avere commissionato anche i lavori della Sala.

Comunque, allo stato attuale, non c'è alcuna certezza.
Sia l'uno che l'altro Luigi avevano, infatti, uguali possibilità economiche e una cultura tale da poter  suggerire all'artista le complesse iconografie degli affreschi.

Le chiavi che il personaggio ritratto tiene tra le mani potrebbero essere,  dunque, non solo quelle del palazzo che ospita la Sala, ma quelle delle interpretazioni delle scene, che, anche allora, non dovevano essere facilmente comprensibili.
E che, da bravo padrone di casa, poteva illustrare agli ospiti che accoglieva nelle sue stanze.




lunedì 1 giugno 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco, giugno e i Gemelli




Siamo già alla metà di questo 2020 che- tanto per usare un eufemismo- non è stato davvero un anno stupendo. 
Comunque, in qualche modo, il tempo è passato ed è l'ora di svelare la raffigurazione del mese di giugno nel calendario che ho scelto per quest'anno: gli affreschi della Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova eseguiti intorno al 1520 dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468-Padova, 1535)





Anche in questa scena l'artista non si smentisce: le iconografie sono arzigogolate e le storie si inseriscono l'una dentro l'altra come scatole cinesi. Insomma, capirne il significato non è facile, ma per scoprirlo non ci resta che procedere, magari allacciando le cinture perché il percorso si presenta, come minimo, accidentato.

Partiamo, come sempre, dal centro della scena e subito ci troviamo in difficoltà: in basso, infatti, compaiono ben visibili un cagnolino e una pianta di carciofo.

Passi per il cane che è solito mostrarsi in molte scene  anche senza particolari connotazioni iconografiche, ma il carciofo un significato di sicuro lo deve avere. Ricompare, infatti, anche in mano all’uomo dalla barba bianca che sembra in atto di offrirlo a un giovane in cambio di un mazzo di rose. 


In questo caso la mitologia non ci aiuta. Se guardiamo le leggende legate al carciofo troviamo solo la suggestiva storia della ninfa Cynara che, per aver disdegnato le avances dell’impenitente Giove, viene trasformata nella gustosa pianta dal cuore dolce, difeso all’esterno dalle spine, mentre le sfumature di colore della foglia ricordano il viola dei suoi occhi. 

Tutt’altra ipotesi, senza ninfe di mezzo, è quella avanzata dagli studiosi che, basandosi su astrusi testi dell’antichità romana e bizantina vedono nel giovane con le rose sulla destra la personificazione del mese di maggio, mentre nel vecchio sarebbe da riconoscere il mese di giugno e l’anticipo della stagione secca, di cui il carciofo sarebbe l’emblema. Lo scambio delle rose col carciofo, poi, simboleggerebbe niente di meno che la duplice natura del segno dei gemelli.


Sulla sinistra la scena diventa relativamente più facile da interpretare: si tratta della raffigurazione di uno degli innumerevoli amori di Giove che, per conquistare Leda, si è trasformato in un candido cigno. 


Da questa unione nasceranno i più celebri gemelli della mitologia: Castore e Polluce, legati, in effetti al segno astrologico dei Gemelli e i cui simulacri, a sinistra in alto, sono posti da Giove nel cielo eterno dell’astrologia. Il segno, poi, domina inconfondibile al centro, su una piattaforma di nuvole, tutta la scena.
Sempre a sinistra le due prue di nave non sono lì a caso, ma alludono alla partecipazione dei due eroici semidei alla spedizione degli Argonauti. Anche lo sfondo architettonico a destra ci riserva qualche sorpresa con la statua del dio del mare Nettuno collocata non al centro di un tempio pagano ma di una sezione della basilica di san Vitale a Ravenna. Il perché, ovviamente, non si sa, così come ignoriamo chi rappresentino gli altri personaggi che affollano lo sfondo.


Non è finita qui perché la figura rossa in piedi dietro l’uomo con la barba bianca sarebbe ispirata da quella analoga del tamburino nell’incisione con la Conversione di San Paolo dell'artista olandese Luca da Leida, datata al 1509, anno che fornisce un termine post quem per la datazione dell’intero ciclo.

Anche se alcuni dettagli rimangono oscuri sembra che per lo più ce l’abbiamo fatta.
Il soggetto si presenta, comunque, complicato e pieno di suggestioni. 
Quale auspicio trarne? Forse che piano piano anche la complessità di questi tempi si sciolga e tutto possa, se non sistemarsi del tutto, almeno diventare più chiaro.








venerdì 1 maggio 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco: maggio e il Toro




Anche se il tempo sembra scorrere lentamente in questo periodo di clausura, sono già passati trenta giorni dal mio ultimo post ed è arrivato il momento  di vedere cosa ci riserva il mese di maggio nel calendario che ho scelto per quest’anno: gli affreschi della Sala dello Zodiaco in Palazzo D’Arco a Mantova, eseguiti intorno al 1520 dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468- Padova,1535).


L’immagine, che già a un primo colpo d’occhio, si presenta affollatissima e quasi claustrofobica (tanto per essere in tema con le sensazioni di questi giorni), è dominata dal segno astrologico del Toro che compare sia nella parte alta, su una piattaforma di nuvole, che al centro dell’arco che racchiude l’affresco.

La foto, purtroppo, non è nitida e i simboli e i personaggi sono talmente tanti che, per interpretarli, conviene guardarli uno a uno. 
E allora aguzziamo la vista, come in certi giochi della Settimana Enigmistica, e andiamo alla scoperta delle raffigurazioni che si intrecciano l’una con l’altra: facciamo pure con calma, tanto in questi giorni forzatamente casalinghi il tempo non manca.

Cominciamo dal primo piano dove, in piedi, al centro, compare  Pan, dio della campagna, delle selve e dei pascoli, raffigurato mentre è intento a suonare la siringa con un agnello sulle spalle.
Davanti a lui, a sinistra, sono rappresentate due capre, mentre una terza è mostrata in atto di abbeverarsi all'acqua che sgorga da un’Erma di Priapo. Piú  in alto è raffigurata una coppia di cervi, all’epoca considerati spesso simbolo di lussuria.

E ora passiamo a destra, dove è rappresentato il mito dell’infanzia di Giove con il piccolo dio che, per sfuggire alle minacce del padre Saturno, si è nascosto nei boschi del monte Ida e, aiutato da un pastore nudo, viene nutrito col latte della capra Amaltea.

I riferimenti alla mitologia classica non finiscono certo qui perché il resto della scena è occupato dalla raffigurazione del ratto di Europa, così come raccontato nei versi di Ovidio.
Anche qui conviene guardare i singoli dettagli per districarsi meglio nella vicenda.
A sinistra, sullo sfondo del tempio di Esculapio, alcune giovani danzanti sembrano essere le compagne di Europa che assistono al rapimento della bella fanciulla da parte del padre degli dei, sempre disponibile ad avventure amorose.
In effetti, proprio al centro, Giove, trasformatosi in un vigoroso toro bianco, sta trasportando Europa verso l’isola di Creta.

Per la fine della storia bisogna guardare in alto a destra: qui, sopra un grande edificio identificato con l’Arco di Augusto a Fano, Giove riconoscente per la conquista dell’affascinante Europa, sta collocando un simulacro del Toro nel cielo dell’astrologia.

Insomma, è stata dura ma siamo riusciti a ritessere le fila di un racconto spezzato in tanti piccoli episodi da un’artista che- lo abbiano notato - non ama le narrazioni lineari e si diverte a infarcire le sue storie di dettagli architettonici classici o ad arricchirle (se pure ce ne fosse bisogno) di altri miti.

Quello che emerge è che la scena nel suo insieme pare da interpretarsi come un riferimento alla fecondità e alla fertilità della natura: speriamo che sia un buon auspicio per questo periodo in cui, fuori dalle case in cui siamo confinati, la primavera sembra davvero esplodere e la voglia di uscire si fa sempre più pressante.





mercoledì 1 aprile 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco: Aprile e l'Ariete




Pandemia, isolamento...un periodo difficile come non mai che però non impedisce al tempo di scorrere e a me di sfogliare, mese dopo mese, le immagini del calendario che ho scelto per quest'anno: i riquadri affrescati intorno al 1520 dall'architetto e pittore Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468-Padova 1535) per la Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova.
Ed ecco dunque cosa ci riserva il mese di Aprile:



Come al solito il soggetto della scena è tutt'altro che semplice, ma in questi momenti di clausura non manca il tempo per cercare di decifrare le arzigogolate iconografie degli affreschi.
In primo piano, è rappresentata una delle pagine più note della storia romana, il notissimo episodio di Muzio Scevola che, sullo sfondo di un accampamento militare, di fronte a un cavaliere e al re etrusco Porsenna, mette la mano sul fuoco di un braciere per punirsi di aver fallito nei suoi propositi e di non essere riuscito a uccidere il comandante nemico.

E, fin qui, sembra che l'interpretazione sia agevole, ma in secondo piano le cose si complicano.
Intanto la donna che tiene un bambino sospeso per i capelli sarebbe da identificare, secondo alcuni studiosi, niente di meno che con la maga Medea  rappresentata nell'atto di uccidere uno dei figli per vendicarsi del tradimento di Giasone. 
Ma cosa c'entra Medea con Muzio Scevola? Niente- mi parebbe-  se non a sfoggiare la cultura dell'artista e del committente.

Ugualmente complessa è l'identificazione dell'edificio che fa da fondale alla scena. 
"Ma è il Colosseo!": direbbero i più. 
E, invece, no, sarebbe fin troppo facile per la cervellotica cultura che sta dietro alle rappresentazioni degli affreschi. 
Una disamina  condotta dagli studiosi su fonti tanto antiche quanto astruse, che qui vi risparmio,  porta a concludere che il misterioso edificio altro non sia  che l'Arena di Verona. 
E perché l'Arena di Verona in un affresco di un palazzo di Mantova che raffigura un episodio di storia romana? Una buona domanda, ma anche questa non ha risposte semplici. 

Un'ipotesi, alquanto elaborata, che riprende testi che vanno da Isidoro di Siviglia  a Andrea Alciati, mette in relazione l'Arena con il culto di Giove Ammone, il dio tradizionalmente  legato al segno zodiacale dell'Ariete.
Stando a questa teoria il cerchio si chiuderebbe proprio con la raffigurazione del segno zodiacale: se si guarda bene in alto a destra, compare in effetti proprio Giove in atto di collocare  nel cielo dell'astrologia il simulacro dell'Ariete.

Quello stesso Ariete che domina sull'intera scena piazzato al centro di una sorta di piattaforma di nuvole.
Insomma, storia romana, mitologia, segni astrologici si mescolano in questo affresco, la cui complessità potrebbe- chissà-  alludere alla complessità dei tempi in cui viviamo.
E speriamo che anche per noi basti il filo della razionalità e della cultura per uscirne al meglio e rivedere finalmente la luce.





domenica 1 marzo 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco: Marzo e i Pesci




Marzo è sotto il segno dei Pesci nel riquadro affrescato intorno al 1520 dall'architetto e pittore Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468- Padova, 1535) nella magnifica Sala dello Zodiaco in Palazzo D'Arco a Mantova.
La scena, sormontata da un riquadro con la raffigurazione dell'Apollo e Marsia, chiusa in  basso dalla rappresentazione a grisaille di un soggetto bacchico e tagliata dalla porta di accesso alla sala,  sembra dominata dalla fluidità dell'acqua:




In primo piano un uomo si scalda al fuoco; in alto domina la raffigurazione dei Pesci.
Sullo sfondo, due pescatori nudi tirano una rete, mentre una donna e un giovane sono raffigurati nell'atto di precipitare da una rupe, osservati da  due personaggi che tengono in mano dei pesci.
L'interpretazione  della scena, avanzata dalla maggior parte degli studiosi, spiega il collegamento col segno astrologico. 
I due che si gettano dalla rupe sarebbero nient'altro che  Venere e Cupido che si tuffano nell'Eufrate, inseguiti dal perfido Tifone. 
Figlio di Gea e del Tartaro, Tifone aveva generato con la moglie  Echidna, creature da incubo come l'Idra di Lerna, la Chimera, Cerbero o la Sfinge. 
Orribile a vedersi e dotato di una forza mostruosa  si vantava di avere sconfitto perfino Giove. 
Come racconta Ovidio nel suo poema "I Fasti", Venere, sentendo soffiare un forte vento e temendo che fosse il segno della vicinanza di Tifone, pur di sfuggire all'orrido personaggio preferì gettarsi nel fiume insieme al figlio. 
I due furono salvati da due pesci che li trasportarono indenni sull'altra riva. Un'altra versione narra, invece, che furono proprio i due dei a trasformarsi in pesci e a nuotare con le code unite da una corda per non perdersi.
In ogni caso, Giove li pose nel cielo a formare l'omonima costellazione.
Un lieto fine, dunque, che speriamo  sia di buon auspicio per un marzo più sereno e tranquillo del mese tumultuoso che l'ha preceduto.




sabato 1 febbraio 2020

Mantova, Palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco: Febbraio e l'Acquario




Tra i magnifici riquadri affrescati intorno al 1520 dall'architetto e pittore Giovanni Maria Falconetto (Verona,1468- Padova, 1535) per la Sala dello Zodiaco in Palazzo d'Arco a Mantova  scelgo per rappresentare febbraio il segno dell’Acquario. 
Basta guardare il grande affresco per scoprire quanto siano complesse le immagini del calendario che ho previsto per tutto il 2020.



Nella scena in primo piano, sullo sfondo di un edifico antico, riconosciuto come la Porta dei Leoni di Verona, è raffigurato l’incontro tra un cacciatore con due cani al guinzaglio e un altro, più giovane, vestito con elmo e corazza e identificato dagli studiosi con Marte oppure, per via del suo aspetto androgino, con Diana, dea della caccia.

Nel bosco sullo sfondo, una muta di cani aggredisce un orso, una scena questa che, insieme alla principale, potrebbe essere messa in relazione con l’attività venatoria tipica del periodo invernale. 
Ma siccome, come abbiamo visto anche per gennaio, il pittore non disdegna i simboli, anzi più ne mette meglio è, potrebbe essere, invece, interpretata come un riferimento al mito di Callisto.
Secondo la suggestiva narrazione delle "Metamorfosi"di Ovidio la bella ninfa, cara a Diana a cui aveva fatto voto di verginità, viene sedotta da Giove. 
Quando Giunone, irata e gelosa, scopre l'ennesimo tradimento del marito e la gravidanza della ninfa, la trasforma in orsa, dopo che questa che ha dato alla luce un bambino,  
Con le nuove sembianze  Callisto si rifugia  per anni nei boschi, finché non viene braccata da un cacciatore che altro non è che il figlio. 
Solo a questo punto Giove interviene trasportandoli tutt'e due in cielo e trasformando Callisto nella costellazione dell’Orsa Maggiore.


Non bastasse il riferimento al mito raccontato da Ovidio nella scena della caccia, l’artista ne rappresenta ancora un altro nella parte superiore destra dell’affresco.



Anche stavolta si tratta di uno degli innumerevoli amori di Giove: il giovane Ganimede, la cui bellezza aveva colpito al cuore il signore degli dei, viene rapito in cielo da un'Aquila, mentre lo stesso Giove si sporge tra le nubi con le braccia tese, pronto ad accoglierlo.

Al centro dell’arco è collocata, invece, la personificazione del segno astrologico del mese, l’Acquario, legato anch'esso al mito di Ganimede e rappresentato come un giovane che, con un’anfora, versa l’acqua in un cratere.

Insomma, davvero nella scena di febbraio non manca nulla: miti classici, sfondi di edifici all'antica, complesse incorniciature trompe-l’oeil decorate a grottesche. 
Dopo Diana, Callisto e Ganimede, chissà quante altre storie incontreremo aprendo, mese dopo mese. i fogli di questo straordinario calendario!




mercoledì 1 gennaio 2020

Mantova, palazzo D'Arco, Sala dello Zodiaco: gennaio e il capricorno



Anno nuovo, calendario nuovo.
In comune con quello dell'anno scorso- il Libro d'Ore Da Costa-  il calendario  che ho scelto per il 2020 ha solo la datazione, intorno al primo ventennio del Cinquecento. 
Poi, tutto cambia.
Intanto, ci trasferiamo dalle Fiandre all'Italia, poi si passa dalle pagine miniate ai grandi affreschi murali e, con un altro bel salto, dal realismo quotidiano delle miniature di Simon Bening a una pittura piena di simboli, a volte astrusi e, comunque, difficili da interpretare. 
Insomma, il 2020 comincia decisamente sotto altre stelle, o meglio, sotto le costellazioni richiamate nelle raffigurazioni astrologiche che ornano le pareti della Sala dello Zodiaco.





La grande Sala, rettangolare e col  soffitto a travatura, è situata al primo piano di una palazzina della metà del XV secolo,  ubicata all'interno del giardino di Palazzo D'Arco a Mantova.
Gli affreschi con i dodici segni zodiacali occupano tutte le pareti, cinque per ogni lato lungo e uno per ogni lato breve. 

Non c'è ancora certezza documentaria né della committenza, né dell'autore.
Per quanto riguarda la committenza, l'ipotesi più suggestiva  è che sia legata a un ramo della famiglia Gonzaga e, più precisamente, che il committente sia stato Luigi Gonzaga detto Rodomonte, conte di Rodigo e  signore di Sabbioneta, valoroso soldato e uomo di grande cultura.
Generalmente condivisa. è la datazione  del ciclo intorno al 1520 e l'attribuzione dei grandi dipinti all'architetto e pittore Giovanni Maria Falconetto (Verona,1468-Padova, 1535) all'epoca reduce da un lungo viaggio a Roma, in cui aveva visto e disegnato i reperti archeologici e ammirato le opere dei grandi artisti che stavano cambiando il volto della città.
Ma eccoci finalmente a svelare l'immagine  che si lega al segno astrologico del Capricorno e a gennaio:



Il riquadro, collocato al di sotto di un fregio con rappresentazioni desunte da testi di Ovidio, segue le stesso schema degli altri: il segno zodiacale  e le attività agricole legate al mese sono rispettivamente in alto e sullo sfondo, mentre, in primo piano, compare la raffigurazione  di un mito classico o di una pagina di storia antica e, al centro, una grande architettura di epoca romana o bizantina. 
Sotto i riquadri c'è sempre una scena  a grisaille.
Una struttura complessa, dunque, così come complessa è  l'interpretazione.

In questo riquadro, in alto, tra le nuvole appare bene evidente il segno del Capricorno. 
Sullo sfondo, a sinistra, il lavoro dei campi legato al mese è quello della semina con un contadino che sparge i semi in un campo arato.
E, fin qui, non ci sono problemi. 

Diverso è il caso del soggetto principale.
Gli studiosi hanno riconosciuto nel grande edificio al centro, la Mole Adriana (ora Castel Sant'Angelo) e interpretato la scena come l'episodio narrato in una pagina della "Guerra Gotica" dello storico bizantino Procopio di Cesarea, in cui i Romani, assediati dai Goti scagliano sui nemici i frammenti delle sculture del Mausoleo di Adriano che hanno appena fatto a pezzi.
I due personaggi in primo piano sarebbero, allora, il generale bizantino Belisario e il comandante dell'esercito romano, il trace Costantino.

Nella grisaille in basso è raffigurato il combattimento contro le Amazzoni, mentre, nel fregio soprastante, Plutone rapisce Proserpina, condannando la terra al gelo dell'inverno.

Simboli, miti, decorazioni tratte dall'antico si legano in un intreccio che dimostra (o meglio, ostenta) la cultura dell'artista e del committente e ci introducono a un calendario del 2020 pieno di sorprese.

Intanto, Buono e felice anno a tutti!