lunedì 17 agosto 2009

Au pigeon soldat: racconto in forma di cronaca




In questo agosto variabile di tempo e d'umore, tra un arrivo e l'altro di amici e parenti, decido- fornita di album da disegno, matite color seppia, e macchina fotografica digitale- di perlustrare la città in cerca di opere d'arte ignorate. 
Percorro a piedi strade, piazze e parchi  alla ricerca di un monumento dimenticato, di un angolo bistrattato o di un capolavoro negletto.
Ed ecco che in Piazza Santa Caterina, in disparte rispetto ai ristoranti invasi da turisti colorati e chiassosi, scopro finalmente un'opera trascurata da tutte le guide turistiche e ignorata perfino dai più dotti ciceroni.

Al centro una giovane donna, drappeggiata in un manto, astutamente aperto a scoprire il seno alto e sodo, è scolpita nel bronzo  nell' atto di lanciare in aria una colomba.
"Una rappresentazione della pace": penso.
Invece no!
Lo chiarisce bene la scritta, incisa nel piedistallo e bilingue, come si usa da queste parti.
Non si tratta di colomba, ma di piccione.
"An de oorlos duif ", " Au pigeon soldat": recita la dedica.
"Al piccione soldato" traduco d'istinto, senza che questo mi apporti ulteriori lumi. 
Ai lati, su alti basamenti in pietra, due  monumentali piccioni incrociano le ali fissando l'orizzonte con aria  marziale, sotto un elmetto militare.

A quali eroici piccioni è dedicato?  A quali fatti d'armi allude?
Chissà quali sono gli eventi militari che hanno visto protagonisti i banali pennuti.
"Sono i piccioni viaggiatori morti in tempo di guerra, uccisi mentre portavano messaggi oltre le linee nemiche": chiarisce un amico esperto, che ho subito interpellato.

Certo, non si può dire che, fino ad ora, io sia stata una fervida ammiratrice dei piccioni. Nutriti dai masnade di turisti mi sono sembrati  capaci solo di sporcare palazzi, monumenti e, perfino, i miei davanzali di casa.
Fino ad ora ..!
Adesso scopro, stupefatta, che il volgare piccione, in circostanze particolari, può rivelare -come tutti noi del resto - la tempra di un ardimentoso.
Può dimostrare, esposto al rischio, un coraggio a tutta prova, che- dimenticato altrove- viene eternato nella pietra e nel bronzo di Bruxelles.
E sono costretta ad ammettere che, entro un petto di piccione, può talvolta battere il cuore di un eroe




Allora: onore ai piccioni :

E, tanto per gradire, la Marcia Radetzky :
http://www.youtube.com/watch?v=jxM9EytbS7M



domenica 16 agosto 2009

Gibaud, Falqui, il capitano..: un omaggio





Un tempo, quando si entrava in farmacia, non era raro imbattersi in un manichino nero con i capelli corti, la testa voltata verso sinistra e il corpo sodo e muscoloso.
Ma l'aspetto può ingannare e l'apparenza di sana robustezza era smentita da una serie di fasce elastiche bianche che evidenziavano, invece, sofferenze da trauma o da reumatismi.
Sembrava  che il manichino avesse inanellato un malessere dopo l'altro (al polso, al gomito, alla caviglia, alla schiena...), sopportando sempre stoicamente con il sorriso (o quasi) sulle labbra.
Da che cosa gli veniva questa forza serena?
È chiaro: dalla fiducia nelle virtù taumaturgiche delle fasce elastiche del dottor Gibaud, capaci- se non guarire- almeno di lenire i dolori ai muscoli, ai tendini o ai nervi infiammati.
Nessuna ricerca ha dato esito, quando- spinta dalla curiosità- ho cercato di sapere chi fosse questo misterioso Dottor Gibaud che  aveva apportato tanto beneficio all'umanità sofferente, senza mai rivendicare un ruolo, un posto al sole, e nemmeno il suo quarto d'ora di celebrità.
Lo immaginavo occupato a ideare cavigliere, ginocchiere, pancere senza un attimo di tregua, come uno di quegli infaticabili benefattori che tanto danno, senza nulla chiedere.

La stessa tempra, di chi nulla rivendica per se stesso, la ritrovavo nel Dottor Falqui, inventore del celebre confetto lassativo che tanto sollievo aveva concesso in un settore delicato e spesso- per vergogna- passato sotto silenzio.
Che dire poi dell'ignoto capitano (di artiglieria? di fanteria?) che aveva dedicato se stesso alla cura dei denti, elaborando e sperimentando (chissà quanto a lungo) una pasta dentifricia. 
Di lui non è noto nemmeno il nome.

Quanti eroi negletti, quante generose e modeste personalità hanno lavorato per il nostro benessere sanitario! 
Di loro, almeno qui, rimanga il ricordo!


Renato Carosone, Pigliate 'na pastiglia: 
http://www.youtube.com/watch?v=mmjxuIMln2s&feature=related

mercoledì 12 agosto 2009

L'armadio di Magritte




Bruxelles non è solo la Grand Place, è anche Magritte.
E Magritte non è solo il suo museo,  ma anche  la sua casa e il suo armadio rosso. 

Ma perché l'armadio e, soprattutto, perché rosso? È una lunga storia.

All'inizio del loro matrimonio René e Georgette si stabiliscono in un piccolo appartamento a pianterreno di una tipica casa belga a Jette, un quartiere periferico di Bruxelles.
Qui René ha il suo atelier (nel giardino) dove, per sopravvivere, disegna manifesti pubblicitari;  qui vivranno per venti anni, qui si riuniranno i surrealisti belgi e qui dipingerà i quadri più famosi.  
La modella prediletta è  Georgette.
Tutti gli elementi dell'arredo della casa, però, trovano posto nei suoi dipinti: dal camino uscirà una locomotiva a vapore, la finestra  diventerà un cavalletto, la balaustra  della scala si aprirà sul  nulla....

Qui René perfezionerà la sua più grande invenzione: la sua vita. Tutta legata alle apparenze piccolo borghesi, il vestito scuro, la giacca, la cravatta, la camicia bianca, la bombetta, l'ombrello e i capelli tagliati con la sfumatura alta.
Tutti dettagli che, a poco a poco, definiscono la sua apparenza: quello è il vero anticonformismo, non quello ostentato o di facciata, ma quello che consite nel rompere le convenzioni dall'interno. 

Così nell'arredamento della casa, tipico degli anni '20 del Novecento (il legno intagliato, i soprammobili, il lampadario, l'inevitabile pianoforte)  emergono elementi dissonanti, che scardinano  tutto.
Sono quelli a farci capire che in realtà siamo in uno  scenario teatrale: quando entriamo  in salotto scopriamo che  le pareti sono  azzurro vivo, come i cieli dei suoi dipinti. 

E nella camera, con il letto dalla tradizionale  la testata in ferro battuto  e  la classica porta bianca, scopriamo il particolare più sfacciato.
È l'armadio  di un rosso scarlatto, che ci fa finalmente  comprendere che René ci sta prendendo in giro e  ci  sta strizzando l'occhio.
Sta lì per vedere se  ci siamo cascati, se abbiamo capito,  per poi abbandonarsi, finalmente,  alla sua ironica risata liberatoria.




http://www.magrittemuseum.be/