Tutto è cominciato con le nuvole di Constable (ne ho parlato qui), perché è guardando i suoi schizzi che mi sono appassionata alla raffigurazione di queste capricciose abitanti del cielo.
Proprio in questi giorni, mi sono messa a caccia dei pittori "innamorati delle nuvole", quelli, cioè, capaci di vedere, appena nascoste sotto la loro morbida superficie, le immagini più sorprendenti: città, castelli, animali, volti umani.
Oggi, cercando nuvole "animate", mi è capitato di imbattermi nella madre, o per meglio dire, nel padre di tutte le nubi.
Niente di meno che Giove, in un dipinto, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna: "Giove e Io"
Che Giove amasse le donne è noto. Il suo problema era la gelosia della legittima moglie, la temibile Giunone. Non per nulla, però, era il padre degli dei: aveva un'immaginazione senza limiti e il potere di trasformarsi in tutti i modi possibili. Le sue metamorfosi in toro, cigno, aquila o pioggia dorata dimostrano che non arretrava di fronte a nulla, pur di portare a termine le sue conquiste.
La seduzione di Io, ninfa e sacerdotessa di Giunone, aveva richiesto prudenza e fantasia. Per vincere la sua ritrosia e, soprattutto, per non essere colto in flagrante dalla moglie, aveva deciso di celarsi dietro una nuvola, o più precisamente, come racconta Ovidio nelle "Metamorfosi", dietro una fitta nebbia che aveva fatto calare sulla terra.
Anche, il committente del dipinto, Federico II Gonzaga, amava le donne e anche lui doveva nascondersi, non da una moglie, ma dall'occhiuta sorveglianza della madre, Isabella d'Este, che voleva per lui un matrimonio all'altezza delle sue ambizioni.
Si dice che per trovare una sede appartata, dove celare il suo amore per la bellissima amante, priva di sangue blu e sgradita alla madre, avesse fatto progettare dall'architetto di corte, Giulio Romano, il favoloso palazzo Te, appena fuori del centro di Mantova.
Libero da ogni controllo, in un'atmosfera di segreti, di lusso e di passione amorosa, Federico doveva sentirsi un po' come il signore di un suo Olimpo privato.
Ed è proprio per Palazzo Te che, intorno al 1531, commissiona quattro dipinti con le storie degli "Amori di Giove", destinandoli, probabilmente, a decorare le pareti del suo studiolo.
Come pittore aveva scelto Correggio (1489-1534), all'epoca noto per le sue tenere immagini di Madonne col Bambino e, soprattutto, per i grandi affreschi eseguiti per le cupole della chiesa di san Giovanni Battista e della cattedrale di Parma, vere apoteosi di paffuti angioletti e di morbide nuvole
Correggio era un artista raffinatissimo. Sapeva unire le più diverse influenze, da Raffaello, a Michelangelo a Leonardo e interpretarle con uno stile fluido, lieve e luminoso.
La sua maniera di dipingere, morbida e sfumata, dal leggero chiaroscuro e dal "colorito di dolce aria", come lo definisce Vasari, si poteva prestare perfettamente a raffigurare le avventure amorose del padre degli dei.
La sua maniera di dipingere, morbida e sfumata, dal leggero chiaroscuro e dal "colorito di dolce aria", come lo definisce Vasari, si poteva prestare perfettamente a raffigurare le avventure amorose del padre degli dei.
Federico Gonzaga lo aveva capito e Correggio non lo deluse.
Le storie degli amori e dei travestimenti di Giove si dispiegano, nei suoi dipinti, con una morbida sensualità: Leda e il cigno, Danae e la pioggia dorata, Ganimede rapito dall'aquila, Io e la nuvola.
Ed è, appunto, in questo soggetto, fino ad allora mai rappresentato nella pittura italiana, che Correggio elabora l'invenzione più straordinaria.
La scena della seduzione si svolge nell'atmosfera crepuscolare di un bosco ombroso, dove le foglie degli alberi hanno i colori dorati dell'autunno.
Per la posa di Io, vista di schiena, Correggio si ispira a un modello classico, mentre il grande vaso, da cui scaturisce il ruscello limpidissimo in primo piano allude al padre di Io, il fiume Inaco.
Al centro della scena domina la stupefacente apparizione della nuvola, di un colore cangiante dal grigio al viola, che sembra materializzarsi misteriosamente nel luogo segreto dell'appuntamento.
Giove, qui, non si nasconde dietro le nubi e non arriva neppure celato dietro una nebbia.
Giove è la nuvola.
Un errore di traduzione della poesia di Ovidio o, più probabilmente, l'immaginazione del pittore, fa sì che le fattezze del dio dell'Olimpo si mescolino, fino a fondersi, nella morbida e soffice superficie della nube.
Occorre solo un po' d'attenzione per intravedere l'eterea materia della mano che abbraccia la ninfa o il volto che si china a baciarla in un'atmosfera tra sogno e veglia, apparizione e fantasticheria.
Mistero e sensualità sono il fascino del dipinto che sembra "fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni", anzi, della sostanza volatile e leggera, di cui sono costituite le nubi.
Un artista capace di creare una nuvola innamorata e di dissolvere il padre degli dei in una nebbia amorosa.
Per la mia "caccia alle nubi" non potevo immaginare un inizio migliore.