"Je vais aller sans espoir jusqu'au but de mes déchirements, jusqu'à leur
tendresse" ( Nicolas de Staël)
Ci sono pittori che si
detestano e pittori che si ammirano. E ci sono pittori che, semplicemente, si amano. Per me Nicolas de Staël (1914-1955) è uno di questi.
In due post precedenti (qui e qui) ho parlato della sua vita romanzesca, a partire dall'esilio con la famiglia aristocratica russa dopo la rivoluzione d'ottobre, prima a Bruxelles e
poi a Parigi, del periodo della miseria
durante la guerra con la morte di stenti della prima moglie, del suo
arruolamento nella Legione straniera, dei suoi viaggi, delle sue amicizie con pittori e poeti.
Un'esistenza segnata dalla voglia
violenta, bruciante di dipingere in una maniera che sia solo sua, cercando un equilibrio difficile tra pittura astratta e pittura figurativa, tentando di essere sempre "né troppo
vicino, né troppo lontano dal soggetto".
Come un funambolo che avanzi su un filo sottile, sapendo che può cadere in ogni momento .
Sempre sospeso tra entusiasmo e
disperazione, tra forza e fragilità, tra depressione e voglia di andare avanti.
Il suo punto fermo è uno solo: dipingere
Il suo punto fermo è uno solo: dipingere
"Per tutta la vita, ho avuto bisogno di pensare alla pittura, di vedere quadri, di fare pittura
per aiutarmi a vivere, a liberarmi delle mie impressioni, di tutte le
sensazioni, di tutte le inquietudini, per le quali non ho trovato altra via
d'uscita che la pittura".
Dopo un viaggio in Sicilia, ad Agrigento, agli inizi degli anni '50, sente di avere raggiunto finalmente l'equilibrio che cercava.
Ed è un equilibrio che gli costa fatica e impegno.
Tutte le influenze, da Van Gogh, a Cézanne, a Matisse, a Bonnard, si sono fuse in uno stile che è diventato profondamente suo.
Ha fatto del colore, steso in strati spessi a colpi di spatola o, più fluidamente, a pennello, il protagonista indiscusso dei suoi dipinti.
Ma per ogni tela deve anche risolvere problemi di luce, di armonia o di coerenza spaziale: "So bene quello che è la mia pittura dietro le apparenze, la sua violenza, i suoi perpetui giochi di forza. È una forza fragile nel senso del buono, del sublime. È fragile come l'amore..."
Dal 1954 lascia la
famiglia a Parigi e si trasferisce ad Antibes, forse per approfittare della luce del Sud, forse- si dice- per inseguire una fantasia d'amore per una donna appena conosciuta.
È ormai un artista affermato e i suoi dipinti si vendono bene. Avrebbe la possibilità di godere di un periodo sereno e, invece, è sempre più inquieto e turbato.
Per settimane non riesce a prendere sonno.
È ormai un artista affermato e i suoi dipinti si vendono bene. Avrebbe la possibilità di godere di un periodo sereno e, invece, è sempre più inquieto e turbato.
Per settimane non riesce a prendere sonno.
Di giorno o di notte è invaso da una vera e
propria frenesia di dipingere: settecento dipinti in poco meno di tre anni, trecentocinquanta
in sei mesi.
È capace di raffigurare nelle sue tele tutto quello che gli capita sotto gli occhi:
dettagli del suo studio, paesaggi, nature morte.
Uno dei suoi temi preferiti è quello delle barche, segno della sua voglia di libertà, ma anche del suo difficile percorso di vita: "Ho sempre amato l'infinito del mare aperto- scrive all'amico poeta René Char- Penso che la mia vita non sia che un continuo viaggio su un mare incerto"
Uno dei suoi temi preferiti è quello delle barche, segno della sua voglia di libertà, ma anche del suo difficile percorso di vita: "Ho sempre amato l'infinito del mare aperto- scrive all'amico poeta René Char- Penso che la mia vita non sia che un continuo viaggio su un mare incerto"
E sono, appunto, immagini di barche o di navi quelle che ho scelto di pubblicare.
Barche nere nell'ombra scura della notte, sullo sfondo di una spiaggia arancione, nell'attesa paziente di salpare:
Barche di un allegro e squillante rosso vivo che fanno venire voglia di partire:
Battelli che, invece, hanno già preso il largo e solcano il blu intenso di un mare profondo
o che, in uno spazio senza orizzonte e senza confini, con il loro filo di fumo nero, sembrano evocare il sogno di un bambino
Malgrado i suoi desideri di evasione, per quasi due anni, Nicolas de Staël non lascia Antibes e continua a dipingere. Senza tregua.
A volte si sfoga "Non so se avrò la forza di rifinire i miei quadri".
Oppure scrive:
"Lavoro incessantemente e credo che la fiamma aumenti ogni giorno. Spero di morire prima che si abbassi"
Quella fiamma, quell'attività frenetica, quella continua ricerca finiranno per consumarlo.
Divorato dall'ossessione della pittura, si sente sempre più stanco e senza forze.
Capisce che il filo sottile, su cui finora ha camminato, come un funambolo, si sta spezzando e ha l'impressione di non avere scampo: il 16 marzo 1955 sceglie di suicidarsi, gettandosi dalla finestra del suo studio rivolta verso il mare.
Aveva 41 anni.
Eppure in uno dei suoi ultimi dipinti la gioia della luce di un sole giallo e abbagliante sembrava invadere ogni pezzo di cielo:
Eppure in uno dei suoi ultimi dipinti la gioia della luce di un sole giallo e abbagliante sembrava invadere ogni pezzo di cielo:
QUI è il link a un articolo, in cui un altro grande inquieto, il filosofo e saggista Emil Cioran, scrive di Nicolas de Staël