domenica 27 novembre 2011

Argentina, che passione ! (2)





A come le Ande  del "Noroeste  argentino", il  "Noa".
Avevo fantasticato molto sulle Ande, uno di quei nomi, capaci di evocare, da soli, sogni di viaggi in terre lontane. 
E ora eccole: montagne altissime (arrivano a più di seimila metri), rocce e sassi con le oasi improvvise di verde delle "quebradas", le valli lunghe e strette come canyons. 


Un territorio tormentato, il Noa e con una storia sanguinosa, fino dalla conquista degli Incas che, intorno al 1460, lo  ridussero a una provincia dell'estrema periferia dell'Impero.
Poi il passaggio violento dei Conquistadores con Francisco de Aguirre, la conversione al cattolicesimo e l'annessione forzata al vicereame del Perù e, infine, per tutto l'Ottocento, le lotte per l'indipendenza argentina e  quelle civili che sconvolsero il paese.
Popolazioni indios sterminate dagli eserciti di occupazione e costrette a deportazioni forzate: la prima, la più crudele, durante la "Conquista" spagnola. Uomini, donne e bambini, obbligati a un percorso di quasi mille chilometri, per arrivare a Buenos Aires a fornire manodopera a basso costo: furono ventimila a partire e solo settecento i superstiti.
Un territorio  isolato, fino alla scoperta del turismo in tempi recenti.
E ora le contraddizioni sono forti: alberghi di lusso, tour organizzati per turisti, ristorantini con piatti tipici, negozi straboccanti, ma anche miseria e abbandono.


C come cardones i cactus giganteschi che occupano immense distese sassose e aride, insieme a pochi cespugli bruciati dal calore. 
Un paesaggio, dove ci si aspetterebbe di vedere volare i condor. 
E, invece,no.  Non sempre "el condor pasa".







C come cimiteri delle quebradas,  vere città dei morti, con casette,  piccole  cappelle colorate e ghirlande di fiori artificiali dalle tinte forti e vivacissime. 
Più colorati dei paesi dei "vivi" dall'immutabile colore ocra e polvere.





C come colori  Se esiste un dio, quello che ha creato le Ande  è un dio pittore che ha dipinto le rocce   con una tavolozza di tinte assurde, rossi, gialli verdi, violetti, a volte perfino  un tocco di azzurro. È l'artista visionario che ha creato il Gran Salar un altopiano di sale di un bianco abbacinante che appare, all'improvviso, a più di tremila metri di altezza, con intorno le cime delle Ande.



C come Cristina. Il nome, scritto nei colori argentini bianco e celeste, compare ovunque, su tutti i muri e in ogni spazio disponibile: la dimostrazione del sostegno popolare alla "Presidenta" Cristina Kirchner, che ha stravinto le elezioni  del 2011

F come Fine de l'autopista: la scritta nel cartello dell'autostrada più importante del Noroeste è da intendersi assolutamente alla lettera. L'autostrada non finisce, immettendosi in una strada normale, ma si conclude, bruscamente,  in uno slargo sterrato, chiuso da una discarica abusiva. 
La fine dell'autostrada: proprio come era annunciato.


M come MAAM, il  museo d'archeologia  d'alta montagna della città di Salta. Sono conservati  qui i Ninos de Lullaillaco, le mummie di tre bambini, due di sei  e una di dodici anni, sacrificati dagli Incas e ritrovate nel 1999 perfettamente conservati sulla cima di una  delle vette "sacre", il vulcano spento di Lullaillaco. Erano i figli dei capi delle comunità delle valli, bambini di grande bellezza, offerti dalle famiglie alle autorità di Cuzco. Venivano consacrati nel corso di una cerimonia e sposati tra di loro, in modo da suggellare le alleanze tra le famiglie aristocratiche. Poi, con un percorso che durava mesi, ritrasportati, prima nei loro villaggi, dove venivano accolti con grandi cerimonie, e, infine, sulla montagna sacra. Qui erano ubriacati e seppelliti, nel sonno, insieme a tutta una serie di oggetti devozionali,  in omaggio agli dei. I santuari erano le cime più alte, quelle oltre i seimila metri.
L'impressione dei corpi rannicchiati, ancora abbigliati con le vesti dai disegni rituali e dei volti attoniti  basta, da sola, a sconvolgere. La sensazione  è che siamo noi ora a profanarli, per averli sottratti al legame sacro e misterioso con la montagna.



M come  mercati  della Quebrada con i banchi pieni di prodotti di abbigliamento"andino" (ponchos, borse, cappelli) tutti rigorosamente falsi e  "made in  China". 
Più in disparte, al di fuori dei circuiti turistici, i prodotti "andini" spariscono d'incanto  per lasciare il posto a quelli destinati al consumo locale:  tute, t- shirt o scarpe con marchi  della Nike o della Adidas, ugualmente false e  "made in China"



R come routa nacional 40 tra Cafayate e Cachi, una strada bianca, di sassi e, a volte, di sabbia e di fango.
Centocinquantacinque chilometri senza asfalto, un milione e mezzo di dossi e cunette (calcolati per difetto). Il piacere di percorrerla in un paesaggio lunare e la soddisfazione enorme di arrivare.





V come villaggi   della  Quebrada di Hurmahuaca dai nomi indios come Tilcara, Maimarà o Purmamarca, dove le case hanno gli stessi colori delle montagne. 
Case basse, costruite a secco, spesso semidistrutte, tanto che è difficile capire se siano  ancora in costruzione oppure in abbandono. E dappertutto la polvere  che copre le vie senza asfalto. L'unico spazio verde è il giardino della grande piazza centrale, su cui si affaccia la chiesa intonacata di bianco.



V come vino, un bianco ottimo, il torrontès, ottenuto da vigne coltivate nella regione di Cafayate fino ai 2.400 metri. Fu il Conquistador Francisco de Aiguirre a introdurne la coltivazione, ripresa, poi, dai Gesuiti soltanto per i vini da messa. 
Intorno al 1830 cominciò la produzione massiccia in vaste estancias e l'apertura delle grandi "bodegas", i cui proprietari hanno i nomi di personaggi di racconti di Borges, come i Bustos o i Domingo Hernandez, ma anche quelli di emigranti abruzzesi, come i Nanni.
È il vino che ha assicurato alla zona un certo benessere e alla cittadine della valle un'aria da paesi dell'Andalusia, con case intonacate in bianco e patios ombrosi.

W come wi-fi, con la connessione internet diffusa dappertutto, ma veramente dappertutto, insieme agli immacabili  negozi di fotocopias.
Dalle città, agli altopiani, alle cime, ai paesi più isolati, wi- fi e fotocopias sono una certezza.

E i gauchos ? Ancora non li ho visti,
E il tango ? Ancora non l'ho sentito.
Ma non dispero. Il viaggio continua...

  





Tranne quella del museo, tutte le foto mi sono state fornite dal mio "companero de viaje", il mio compagno di viaggio, in Argentina e nella vita.







domenica 20 novembre 2011

Argentina, che passione ! (1)





Appunti di viaggio in ordine alfabetico  sulla prima tappa argentina: Cordoba e la Sierra

A come."Arrivare (e spostarsi) in Argentina è una bella impresa !"
La compagnia di bandiera, che ha il monopolio dei voli interni, è spesso in balia di scioperi selvaggi. Non si sa mai se e quando  si riuscirà a partire. E l'aereo, date le distanze, è il mezzo di trasporto più comune.
A come l'applauso che scoppia  irrefrenabile per ogni volo che viene annunciato, dopo ore d'attesa senza proteste. Un misto di sollievo, esasperazione e solidarietà che, forse, la dice lunga sul carattere nazionale.

B come banale dire che l'Argentina è in un altro emisfero. Bisogna ricordarselo, però, per non rischiare di partire dall'inverno europeo  abbigliati come Totò e Peppino alla ricerca della malafemmina e di trovarsi, all'arrivo, a sudare nei  trenta gradi di un caldo estivo umido e soffocante.

C come "Cordoba non me l'aspettavo così !"
Un milione e mezzo di abitanti, centocinquantamila studenti: l'università più vecchia del sud America, nata in origine come Studio generale dei Gesuiti. 


Una città antica, o, almeno,antica per questa parte di mondo,visto che fu  fondata  nel 1573 da un manipolo di quindici conquistadores spagnoli. Giovani cadetti di famiglie nobili in cerca di fortuna (il più vecchio aveva ventun'anni) accompagnati da due o tre preti: la spada e la croce, la conquista e l'evangelizzazione, un binomio abituale da queste parti.
Dell'epoca della fondazione è rimasto ben poco e la città  non conserva nulla dell'aspetto coloniale che mi ero immaginata.




Sarà  per la fortissima componente italiana  (i discendenti degli emigranti italiani rappresentano la comunità di gran lunga più numerosa) sarà la presenza della Fiat, ma l'apparenza è quella di una moderna città mediterranea di crescita recente e senza un preciso piano regolatore. Non bella, ma vivace e accogliente. Una specie di Pescara, senza mare e trapiantata nella Sierra.







E come estancias, le fattorie create dai Gesuiti per il mantenimento del Collegio Generale, che hanno connotato tutto il territorio, intorno a Cordoba. 


Una chiesa barocca, gli edifici di servizio e intorno migliaia di ettari di terreno destinati, oltre alle colture di cereali e di alberi da frutto, all'allevamento dei muli  per  le miniere del Perù. La richiesta era incessante: gli  animali  sopravvivevano alla fatica  al massimo un anno, mentre il trasporto lungo il Sendero del Rey che valicava le Ande durava sei mesi.
Dal Perù, in cambio, arrivavano l'oro e gli oggetti per l'arredo sacro: rotoli di tele dipinte con martiri di Santi, teste e mani sanguinanti  di Cristo già scolpite,  da inserire in una struttura di legno, rivestire di velluto e sistemare come immagine dell'"Ecce homo"sugli altari e anche enormi retabli intagliati e dorati, trasportati  in pezzi e da ricostruire in loco.
Una sorta di kit Ikea della devozione barocca che  sopravvive tuttora nella decorazione delle chiese.

F come "Fotocopias". Impressionante  il numero dei negozi. A Cordoba è spiegabile, forse, con la necessità di riprodurre dispense universitarie, ma è difficile capire perchè  non esista un paesino, anche il più minuscolo e sperduto, che non abbia uno o più negozi di fotocopie, addirittura più frequenti delle botteghe di alimentari. Un mistero.



G come Gesuiti. 
Onnipresenti nella Sierra fino all'espulsione, voluta dal re di  Spagna  nel 1767, per avere mano libera sui loro possedimenti e sulla manodopera indigena, fino ad allora protetta e garantita   dall'Ordine.







H come "Hasta luego", insieme a "ola" il saluto più diffuso e sempre accompagnato da un sorriso. L'accoglienza, di una gentilezza fiera e senza piaggeria, è uno dei fascini di questo paese.

O come olio, ovvero una curiosità irrisolta per una patita dell'olio come me: capire perchè, pur essendo d'oliva e pur usando lo stesso procedimento che da noi, l'olio argentino, tranne rare e costose eccezioni, abbia il gusto più vicino all'olio da carburante che sia dato di trovare.

M come un altro mistero. Sarà per la rude eredità dei gauchos, oppure per un diverso senso del pudore, fatto sta che nei bagni pubblici le toilettes per Damas e Caballeros sono sempre rigorosamente senza serratura.

P come paesaggi stupendi di colline e di distese di alberi illuminati dall'improvvisa accensione della fioritura delle jacarandas.
P come polvere - e tanta- nei paesi attraversati da strade bianche.
P come la plastica dei sacchetti, gettati dappertutto lungo i cigli delle strade, nei campi  o impigliati negli alberi.





Q come qualità della carne. Morbidissima e saporita, un concentrato di gusto, "l'idea platonica della carne", grigliata e servita senza altro condimento aggiunto.

R come riciclaggio dell'agricoltura nella provincia di Cordoba da produzione mista a monocoltura di soia. Estensioni enormi nate per  soddisfare  la richiesta del mercato cinese. Semi transgenici e modificazioni ambientali e del paesaggio, ma guadagni sicuri per i pochi latifondisti.

S come storie di un passato sanguinoso non più rimosso, ma ammesso e riconosciuto.
S come schiavitù.  Da poco studiati i "caminos de los esclavos" i percorsi dove i neri, provenienti dall'Africa e acquistati a Buenos Aires, venivano obbligati a marciare per settecento chilometri, per raggiungere le fattorie della Sierra, in cui avrebbero svolto i  lavori più pesanti.
S  come  sterminio degli indios. La  pratica del "vacío", del vuoto consisteva nel  vuotare o  "liberare" il territorio della Sierra dagli indios per installare, al loro posto, gli emigranti venuti dall'Europa.

T come turismo dei nostalgici "puri e duri"al museo del Che, la casa  della famiglia Guevara ad  Alta Gracia. Ci si può intenerire sui ricordi di famiglia, sulle foto di scuola o sulla mitica Norton, usata per percorrere, giovanissimo, le strade d'Argentina.

U come un pezzo d'Europa nell'America del sud, tanto simile da dare una sensazione di déjá vu, ma con uno scarto, come nei sogni, dove la realtà è insieme, uguale e diversa da quella della veglia.

- E le Ande, il tango, i gauchos della pampa, la Patagonia e Buenos Aires...?
- Non ho mica finito. Sto qui ancora un mese.

Il viaggio continua...





martedì 15 novembre 2011

In viaggio in Argentina




Finalmente!
Finalmente in viaggio per un mese per il mio paese dei sogni, l'Argentina.
E la percorreremo tutta, dal Nord al Sud, dalle Ande alla Terra del fuoco.
Ho voglia di vedere,di sorprendermi e di emozionarmi
Se trovo connessione (e tempo) scriverò delle mie impressioni di viaggio.


Per ora:
J.L.Borges e Astor Piazzolla che, insieme, celebrano "El Tango".

https://www.youtube.com/watch?v=udX34Xior4s




venerdì 11 novembre 2011

Antonio e Piero del Pollaiolo: in viaggio con l'arcangelo




Oggi viaggiare è facile: con l' aereo il mondo è diventato piccolo, fin troppo.
A metà Quattrocento, invece, i percorsi erano lunghi e pericolosi, soprattutto, se a viaggiare erano ragazzi.
Per proteggerli era meglio invocare la protezione di un angelo.




Nel dipinto di Antonio e Piero del Pollaiolo, alla Galleria Sabauda di Torino, un angelo dalle grandi ali spiegate, e un ragazzo percorrono una valle arida, preceduti da un cagnolino. Il ragazzo elegantissimo, in stivali, calzebraghe rosse, farsetto con maniche di broccato e cappello, tiene familiarmente sottobraccio il compagno e porta con sé un pesce.
L'angelo, vestito all'"antica" con tonaca, manto e calzari, regge una piccola scatola e indica, con un gesto, la strada da percorrere.

Per capire chi siano bisogna leggere, nella Bibbia, il libro di Tobia 
Siamo a Ninive e Tobia, diventato cieco è costretto a mandare il figlio, Tobiolo, in un paese lontano per salvare la famiglia dalla miseria.
Ha paura e prega  Dio,  che gli invia come guida un angelo, anzi, meglio ancora, l'arcangelo Raffaele.

Durante il tragitto si imbattono in un pesce enorme che sbuca fuori dal fiume e cerca di divorarli. Ma  i due lo uccidono e ne estraggono il cuore, il fegato e il fiele: l'arcangelo sa bene che saranno utili.
Incontrano una famiglia disperata perché la figlia, Sara, è stata data in moglie ben sette volte e un demone ha ucciso tutti i mariti, non appena entrati nella camera nuziale
Niente paura: Tobiolo, con l'aiuto dell'arcangelo, sconfiggerà il demone assassino, bruciando cuore e fegato del pesce e sposerà la bella Sara.
Tornano a Ninive e, col fiele che Raffaele tiene nella scatolina, ridanno la vista a Tobia.

Il racconto finisce qui.
L'arcangelo ha assolto al suo compito e Tobiolo ha compiuto la sua prova di iniziazione: è partito ragazzo ed è tornato uomo.
La storia del viaggio romanzesco, con avventure a lieto fine, demoni sconfitti e belle giovani, sembrava fatta apposta per colpire l'immaginazione dei figli dei mercanti e dei banchieri fiorentini del Quattrocento.
Spostarsi per loro era indispensabile: erano le banche e il commercio dei panni di lana e dei tessuti pregiati ad assicurare la ricchezza familiare.
Per questo, fin da giovanissimi, erano costretti a fare il loro tirocinio in città lontane, sedi delle attività mercantili o delle banche di famiglia: Parigi, Londra, Bruges...
E sicuramente sarebbero partiti più tranquilli, se  sapevano che un angelo li avrebbe protetti.

L'immagine di Tobiolo con l'arcangelo era una consolazione per loro e per i loro familiari, tanto che il soggetto era uno dei più richiesti alle botteghe dei pittori fiorentini.
I fratelli Pollaiolo furono i primi a creare, intorno al 1460, una rappresentazione che calava la storia biblica nella realtà del tempo, con un'attenzione precisa ai dettagli del paesaggio e della moda. Un'immagine in cui i ragazzini si potevano riconoscere, una specie di ex voto, per invocare la protezione divina.

Perché il cammino era lungo e pieno di insidie: bisognava valicare le Alpi e ci volevano più di venti giorni per raggiungere Parigi e più di un mese per arrivare nelle Fiandre o in Inghilterra. I ragazzi andavano a piedi e con poco bagaglio: viaggiavano leggeri perché le soste erano poche e le cavalcature erano riservate  ai più vecchi. E loro erano giovani, molto giovani,  tra i quattordici e i sedici anni.
Sapevano già leggere, scrivere e far di conto.
Probabilmente avevano la testa piena di sogni ed erano curiosi di conoscere città e paesi diversi.
Ma quello che li aspettava non era un viaggio di piacere: era un duro apprendistato e la selezione era severa.
I compagni di viaggio erano mercanti esperti che approfittavano del tragitto per insegnare tutte le sottigliezze  del commercio, ma, soprattutto, per saggiare le loro capacità. I ragazzi erano sotto esame e dovevano dimostrare di sapersi adattare e di essere pronti, svegli e intelligenti.



Soldi non ne avevano: per le loro necessità bastava una lettera di cambio, una specie di carta di credito, che permetteva di ritirare denaro ovunque ne avessero bisogno.
Anche il Tobiolo del dipinto la tiene con se: è il rotolo di pergamena che stringe nella mano.
Un particolare preciso per favorire l'identificazione dei giovani col protagonista della storia.
Una licenza, invece, i Pollaiolo se l'erano permessa nell'abbigliamento perché Tobiolo è fin troppo elegante: un  vero damerino. In realtà, così vestito, sarebbe stato una facile preda per qualunque bandito appostato sulla sua  strada.

I giovani fiorentini erano più accorti e indossavano vesti e mantelli poco vistosi. Come riparo dalla pioggia usavano un cappello a larghe tese, anziché il vezzoso cappellino, ornato d'oro, che Tobiolo sfoggia, graziosamente inclinato, sui capelli biondi.


Per fortuna che a far da guida c'era l'arcangelo Raffaele. 
Fra  i tre arcangeli - Michele, l'uccisore di Lucifero e giustiziere e Gabriele che annuncia alla Madonna la nascita divina - Raffaele era quello più accostante.
Era considerato un custode attento e in grado governare ogni intemperanza giovanile. A Firenze, la confraternita dell'arcangelo Raffaele, detta popolarmente del Raffa, aveva fra i suoi compiti quello di tenere a freno  i giovani troppo vivaci.

Insomma, per un adolescente non troppo esperto l'arcangelo era  il compagno di viaggio migliore che ci si potesse augurare.
E avrebbe avuto il suo bel daffare per difendere  il suo protetto da ogni insidia e per aiutarlo a crescere. 
Se  il ragazzo si fosse  dimostrato incapace, sarebbe tornato a casa a fare il garzone di bottega o il fattorino, il gradino più basso della carriera del mercante.
E sarebbe stato un pessimo risultato.

Se invece superava la prova, voleva dire che non aveva fatto  solo un viaggio d'affari, ma  che, come Tobiolo, aveva compiuto il suo percorso iniziatico verso la maturità.
Poteva considerarsi adulto, un uomo in grado di prendere il suo posto nel mondo.
Avere fiducia nell'arcangelo sarebbe servito e Raffaele, ancora una volta, avrebbe svolto bene il suo compito.









mercoledì 9 novembre 2011

Storie d'arte : - 3 - 2 -1 .... via !



Da oggi si possono leggere storie d'arte anche in un altro blog.Le raccontiamo noi di "Senza dedica" e  di "Scarabooks".

Cominciamo da dove tutto (o molto) prende avvio, dal Rinascimento fiorentino. E iniziamo cosi':

"Sono più d'una le località nei dintorni di Firenze..."


Poi, continua qui:







venerdì 4 novembre 2011

Hasta luego, caballero!





Mi sto preparando ad andare in Argentina per un viaggio che ho sognato da tempo.
E già mi immagino: le Ande, la Patagonia, la Terra del Fuoco, la pampa....

"Nella pampa sconfinata, dove le pistole dettano legge, il caballero misterioso...
Ecco! Basta appena nominare la pampa e, subito, mi viene in mente il caballero.
Perché sulla sua storia, io ci sono cresciuta.

È il lontano 1965, quando il caballero parte, per la prima volta, alla ricerca della bellissima Carmencita.
Se ne è innamorato, non appena l'ha vista su un giornale ed è pronto a tutto, pur di trovarla.
Si è inoltrato in un deserto infuocato, di rocce e cactus che niente ha a che vedere con la fertile e verde pampa argentina.
Licenza poetica, evidentemente, perché in Argentina, proprio, non siamo. Piuttosto in Messico.
Ma non stiamo a sottilizzare, ché il caballero ha ben altro per la testa.
Cavalca a lungo, prima di arrivare in villaggio di case bianche.
Forse è sudato, stanco, ma non demorde, non si ferma, non si riposa.
No! Perché solo una cosa gli preme: sapere dove sia l'ammaliante creatura che gli ha rubato il cuore.
Per questo spezza il silenzio col suo grido, dall'imprevedibile accento piemontese: "Carmencita, abita qui ? "

Ebbene sì! Lei è là.
Il caballero è giunto alla meta.
Gli ostacoli non sono finiti, ma lui li supererà tutti.
E alla fine i due si incontrano: lui emozionato, lei affascinante, come nel ricordo, con lunghe trecce nere e una bocca a forma di cuore.
Riuscirà a conquistarla?

Era questa la storia che seguivo con trepidazione, pronta a passar sopra al fatto che il focoso innamorato altro non fosse che un cono in cartoncino bianco, cui erano stati aggiunti una folta chioma nera, occhi ardenti, sombrero e cinturone con tanto di pistola.

Per la bella Carmencita, invece, erano bastate due trecce brune e uno sguardo maliardo.


E le loro avventure amorose, trasmesse fino al 1973, erano compresse nei due minuti del "Carosello" destinati alla pubblicità del caffè Paulista.



Carosello, allora, non era soltanto un contenitore di messaggi pubblicitari, era una raccolta di personaggi, di situazioni, capaci di entrare di prepotenza nella mia immaginazione.
E non è solo la nostalgia per i miei ricordi in bianco e nero a farmi pensare che fossero di una genialità irripetibile.
È che per Carosello lavoravano i migliori artisti del momento: attori, registi, pubblicitari, disegnatori.

Armando Testa (1917-1992) era uno di questi.
Con un segno grafico minimalista era capace di creare mondi interi.
Il caballero e Carmencita erano sue creazioni.
Straordinarie ed efficaci.
Ma, allora, la storia d'amore tra Carmencita e il caballero come finiva ?
Nessuna sorpresa. 
La conclusione era sempre la stessa e le parole le so ancora a memoria:


- Bambina sei già mia. Chiudi il gas e vieni via
- Pazzo ! L'uomo che amo è un uomo molto in vista.
  È forte, è bruno e ha il baffo che conquista.
- Bambina, quell'uom son mì

Oh yeh, yeh, yeh, yeh, yeh, oh yeh !






Un link su Carosello è qui
E qua uno su Armando Testa.