lunedì 11 giugno 2012

"La buona ventura" di Georges de La Tour: una parola di troppo








Un giovane elegante si sta facendo leggere la mano, la "buona ventura", da una vecchia zingara. Evidentemente è più ingenuo di quello che vorrebbe far credere: non si accorge, che, nel frattempo, due giovani donne lo stanno derubando. Una gli sta staccando la pesante e appariscente medaglia d'oro che porta legata a una catena, l'altra gli sta rubando il portafoglio.
Tutto si svolge in silenzio, in uno spazio ristretto e compresso. La truffa, l’imbroglio, è affidato solo al gioco delle mani e degli sguardi.

Una luce chiara, quasi spietata, illumina ogni particolare, dando alla scena un tono insieme realistico e astratto.
In alto a destra c'è la firma “G.Delatour fecit Lunevillae Lothar”, con l'indicazione precisa dell’autore e del luogo, Lunéville in Lorena, dove il dipinto fu eseguito.

Un pittore pieno di misteri il lorenese Georges De La Tour (1593-1652). Quasi ignoto per secoli, è diventato famoso al grande pubblico solo in tempi recenti.
La sua formazione è ancora da chiarire. Che sia stato influenzato dai dipinti di Caravaggio è sicuro. Non si sa, però, se li abbia conosciuti a Roma, oppure tramite i pittori olandesi e francesi che avevano soggiornato in Italia.
Nei documenti dell'epoca compare citato più spesso per il suo carattere arrogante che per la sua attività di pittore (ne ho parlato QUI)
Di lui si conoscono appena una quarantina di opere, generalmente scene notturne o al lume di candela.
Questo è uno dei rari dipinti che si svolgono in pieno giorno

Fu una sopresa per tutti, quando fu presentato, nel 1960, dal Metropolitan Museum di New York, che lo aveva appena acquistato e- si diceva-  a carissimo prezzo.
Alla notizia la stampa francese si era scatenata: come poteva un quadro simile aver lasciato la Francia?
L'allora ministro della cultura, un personaggio del calibro di André Malraux, dovette risponderne in Parlamento. Venne fuori che a concedere il visto all'esportazione era stato, addirittura, il conservatore del Louvre e che il dipinto era stato scoperto, in maniera avventurosa, solo una ventina d’anni prima.

Nel 1942, negli anni più  cupi della seconda seconda guerra, un prigioniero francese in Germania  si trova- non si sa come - a sfogliare una monografia di La Tour. Le riproduzioni gli riportano alla mente un quadro, che ha visto nel castello di suo zio.
Dopo la guerra, torna in patria e  ha la conferma della sua intuizione: non solo il quadro è ancora là, ma un amico di famiglia, un abate domenicano esperto di La Tour, gli assicura che è di grandissimo valore. La fama del pittore sta crescendo sempre di più: è il momento giusto per approfittarne e per venderlo, magari a un museo importante come il Louvre.
Le trattative, tenute segrete, andranno avanti a lungo. Alla fine, però, non sarà il museo ad acquistarlo, ma il mercante d'arte Wildenstein, che lo comprerà per una cifra da capogiro, lo porterà negli Stati Uniti e lo venderà al Metropolitan Museum.

Un capolavoro sconosciuto che ritorna improvvisamente alla luce, le vicende della guerra, un castello francese e perfino un abate domenicano: gli elementi per una storia romanzesca ci sono tutti.
Fin troppi, per alcuni studiosi.
Per uno, specialmente, Cristopher Wright, che ha scritto da poco una monografia  su La Tour e che comincia a nutrire qualche sospetto.


Alcuni particolari non lo persuadono.
Per esempio, la giubba di pelle che il ragazzo indossa e che non corrisponde affatto all’abbigliamento del tempo.

Nemmeno il mantello che la vecchia zingara porta sulle spalle lo convince: se si guarda bene si vede che nel retro, il disegno non è lo stesso che davanti. È un particolare che non si confà allo stile preciso e minuzioso di La Tour. Oltretutto, il motivo decorativo è uguale spiccicato a quello del tappeto che orna il pavimento della Madonna col Bambino, del pittore fiammingo Joos van de Cleve, un dipinto che La Tour, sicuramente, non conosceva.



È vero che il dipinto può esser messo a confronto con altri due quadri "diurni" di La Tour, due versioni di uno stesso soggetto, "I giocatori di carte", una al Kimbell Museum e l'altra al Louvre. Ma anche sull'autografia di questi, qualche dubbio c'è.
Insomma, per Wright, in tutta la faccenda c'è qualcosa che non torna, che puzza, starei per dire.
La tela viene analizzata centimetro per centimetro e, alla fine, salta fuori una sorpresa. E che sorpresa!


Sullo scialle della giovane con le treccine, dipinta in giallo, in mezzo ai ricami, c'è la più imprevedible delle parole, anzi delle parolacce, quella resa famosa dal generale Cambronne,  sì, proprio quella: "merde".
Il senso è chiaro, la traduzione inutile.
Ma che ci fa una parola simile nel quadro ?
Che sia stato La Tour? Improbabile. Un artista come lui, descritto nei documenti come un signorotto provinciale  pieno di boria, difficilmente si sarebbe lasciato andare a una simile volgarità.

E allora?
Forse si tratta davvero di un falso.
E Wright, da vero Sherlock Holmes, ha trovato anche il colpevole: il falsario altri non sarebbe che un pittore- restauratore, esperto di arte francese e fiamminga, che lavora spesso per Waldenstein: Emile Delobre (1875-1956).
La parola “merde”, visibile e nascosta allo stesso tempo, potrebbe essere uno sberleffo destinato agli studiosi. 

Un falso, secondo Wright, spiegherebbe anche l’abbandono delle trattative e la concessione del visto da parte del funzionario del Louvre, che, evidentemente, sull'affare, non ci vedeva troppo chiaro.

Tutto torna? Non proprio.
Resta il fatto che la qualità del dipinto è davvero alta.
Quale falsario avrebbe potuto dipingere così ?
Gli studiosi di La Tour e gli specialisti consultati dal Metropolitan Museum affermano, con forza, che il dipinto è autentico. 
La spiegazione- dicono- l'hanno trovata ed è tutt'altra: la parola è stata aggiunta da qualche restauratore burlone che ha lavorato sulla tela.
Uno scherzo di pessimo gusto: tutto qui. 
Tutti concordano sul fatto che il dipinto è un vero capolavoro ed è un'opera fondamentale di La Tour. Nessun dubbio: la qualità fa fede.

E la scritta?  Magari analizzarla, vedere con quale tipo di colori sia stata dipinta... 

No, la scritta non c'è più.
Al Metropolitan Museum, nell'ultimo restauro, l'hanno cancellata.






QUI è il link al libro di Cristopher Wright, The art of the forger, G.Fraser 1984 e QUI alla voce di Wikipedia in inglese, che racconta tutta la storia.

35 commenti:

  1. Interessantissima e divertente storia che ci fa capire quanti interessi culturali e economici ci sono dietro il riconoscimento di un dipinto.
    Ciao
    Anna

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    1. Le attribuzioni di un dipinto spesso non sono solo un fatto di filologia. Il mercato c'entra, eccome!

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  2. Come sempre, i tuoi racconti sono pieni di fascino. Scoprire un quadro insieme a te è sempre un'esperienza magica. :-)

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    1. Al solito, mi dimentico di essere connessa da altri account. ;-)

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    2. Paola, anche i tuoi commenti, uni e bini, possono essere un'esperienza magica :-)

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  3. Ma dove le trovi queste storie? Divertente come sempre scoprire il retroscena di opere conosciute e pensa che questo è uno dei miei quadri preferiti
    Un saluto
    Marco

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    1. Dove le trovo? A caso. Questa per esempio sulla voce inglese di Wikipedia, mentre cercavo un'altra cosa. E, come avviene con le scoperte casuali, sono quelle che mi piacciono di più.

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  4. Veramente intrigante, Grazia... mi ha fatto venire in mente un romanzo che ho appena letto, sempre sul mondo dei mercanti d'arte e sui falsi, di Martin Suter, L'ultimo dei Weynfeldt... e tu l'hai infatti raccontata benissimo questa storia, sembra la trama di un romanzo, compreso il colpo di scena finale!

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    1. Il libro di Martin Suter non l'ho letto. Lo farò non appena rientro in Italia e chissà che non mi chiarisca qualche dubbio.

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  5. Ah, ecco, prima di arrivare alla fine mi sono cecata alla ricerca delle parole sullo scialle. :)

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    1. Figurati che io, dopo ore di fatica, credevo - e ancora ci credo- di essere riuscita a decifrare le lettere "M" e "E". Ma chissà cosa ho visto!

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  6. Bellissima storia e raccontata proprio bene!! Io avrei una ipotesi: e se fosse stato proprio La Tour a scrivere la parolaccia. Da quello che tu dici mi ha l'aria di un represso e con i repressi, non si sa mai. Ci vorrebbe uno psicanalista!
    Saluti
    Sara

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    1. No ci avevo pensato. Chiederò un parere ad un'amica psicologa che mi ha già aiutato a interpretare il soggetto dell'altro quadro di La Tour che ho pubblicato. Chissà che cosa è capace di scoprire...

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  7. E chissà che un altro spunto storico, insito in quel fascinoso quadro, non sia una sorta di latente condanna dei "diversi"!

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    1. Anche questa è un'ipotesi a cui non avevo pensato. Ma il fatto che la parola sia scritta sullo scialle di una zingara potrebbe far riflettere

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  8. molto interessante! grazie del bellissimo racconto.
    Però non capisco la questione del retro della stoffa del soprabito della zingara. Se consideriamo un tessuto lavorato a più colori, il rovescio abbare come una specie di "negativo fotografico" e a me pare (guardando le immagini, l'originale non l'ho mai visto)che corrispondano i colori tra diritto e rovescio!

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    1. Hai ragione ! Ho provato a guardare la foto con una lente e mi pare che il disegno corrisponda. Un argomento in meno per Wright, o, forse, ho sbagliato io a interpretare il testo. Chiederò a un'amica inglese di aiutarmi nella traduzione e, poi, ti saprò dire in un eventuale prossimo commento. Grazie tante per l'osservazione.

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  9. Verrebbe da approfondire... Effettivamente sembra quasi un quadro di genere. La Tour, che io ricordi, crea atmosfere intime, di preferenza. Se è un falso è comunque una grande opera. Il soggetto, un furto in piena luce, mi farebbe propendere per la beffa...

    p.s.
    Chissà in quale zona dei suoi quadri firma di preferenza La Tour. Alcuni autori ne hanno una a prescindere dalla valutazione del suo peso nel quadro.
    Anche questa potrebbe essere una pista ( ma ci avranno sicuramente già pensato )

    Baci!

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    1. Giacinta, Sherlock Holmes in confronto a te non è nessuno! Ho controllato tutte le firme nella monografia di La Tour e ... sorpresa ! La firma è sempre in alto a destra però non c'è mai, come qui, l'indicazione del luogo e della regione. In genere si firma "G. (Georges, Gs. oppure Georgius )de La Tour fecit" e basta. I quadri pubblicati, però, non erano tutti. Bisognerebbe controllare, ma chissà se il Metropolitan Museum è davvero intenzionato ad andare fino in fondo alla faccenda. E, intanto, comunque, mi rileggo tutto il testo di Wright (note comprese).

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  10. Ganzissimo!!!
    Avrei una piccola osservazione da fare, riguarda la frase "Quale falsario avrebbe potuto dipingere così ?".
    Forse il paragone è improprio, ma c'era un celebre violinista che si chiamava Fritz Kreisler, il quale si divertiva a comporre falsi attribuendoli a famosi musicisti del passato. Era così bravo che riusciva ad ingannare anche gli esperti.
    Perchè quindi quella frase?
    Oltretutto ci fu quella vecchia storiella dei ragazzi di Livorno che con un Black&Decker ingannarono perfino Argan se non ricordo male...
    :)
    Un abbraccione!

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    1. E' vero, quella frase è sbagliata.
      La qualità, l'aura, di un'opera non sta solo nella bontà dell'esecuzione. E, poi, quanti falsari sono riuscviti a ingannare tutti! I ragazzi di Livorno me li rammento ancora a rifare le teste in televisione, con fior di critici e storici dell'arte esterefatti. E, poi, mi ricordo la meravigliosa pubblicità della Black&Decker, che apparve sui giornali: "Con Black&Decker si può!".
      Insomma quello dei falsi è un terreno scivoloso, in cui si inciampa facilmente!

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  11. Mi riallaccio agli approfondimenti richiesti dalla mia "gemellina" e aggiungo:
    verrebbe da investigare se colui che ha restaurato il quadro ha deciso "arbitrariamente" di cancellare la frase, oppure ne abbia discusso con colui che, del restauro, aveva la responsabilità.
    Bye&besos LaTour-risti.

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    1. La cancellazione della frase fu decisa non dal restauratore, ma dai funzionari del Metropolitan Museum. Il che a una giallista come te - mi immagino- fa dubitare che abbiano qulacosa da nascondere...Il giallo continua.

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  12. Bello, proprio bello!
    Gil

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    1. Grazie: la storia è bellissima e meritava di essere raccontata.

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  13. Fantastico. Un intrigo internazionale in piena regola.
    Propendo per l'idea del falsario geniale: figura che mi ricorda, pensa un po', nientemeno che un genio del rifacimento architettonico in stile, il buon Viollet Leduc. Ora ti chiedo: Leduc era un artista? I suoi restauri sono bellissimi, ma in verità sono dei falsi. Però nessuno li considera tali, o almeno il fatto che lo siano non lo fa escludere dall'olimpo dei grandi creatori.

    Altra annotazione. Quella parola "merde" non è una parola così estranea al mondo dell'arte del primo novecento: sa molto di dadaismo. L'età del falsario sarebbe quella giusta, nato nel 1875, negli anni 20 aveva una quarantina d'anni, più o meno: bisognerebbe saperne di più sulle sue frequentazioni e sui suoi interessi letterari ed artistici. Quella parola, Jarry l'aveva arricchita di una R, merdRe, ma sempre quella roba lì era. Disgraziati dirigenti del Metropolitan, che gli è preso di farla cancellare?

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  14. Paola, questo commento mi apre un mondo. Su Viollet Leduc, hai ragione da vendere.
    E su La Tour non avevo pensato al falsario dada. Ma ora tutto è possibile. Risveglio i nostri Sherlock e Poirot, riapro le indagini e poi vediamo ...tutto è possibile. Evvai!

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  15. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  16. Ho avuto la fortuna di vedere due opere di De la Tour esposte quest'inverno a Milano,Palazzo Marino : è un grande della pittura!

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    1. Sì, quella di La Tour è una gran bella pittura. Ma questo sarà davvero La Tour?

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  17. Pensandoci bene, mi è venuta un'ispirazione: dato che probabilmente siamo davanti a un falso, perché non farne un falso d'autore, attraverso un falso interpretativo?
    Insomma, voglio fare di questo falso La Tour un falso Duchamp.

    Primo indizio: il furto. Ricorderai che in Duchamp questo è un tema importante, ricorrente. Si fa ritrarre come un pericoloso ricercato, con una grossa taglia sulla testa. Ricorderai anche che, come ho dimostrato nel mio saggio "Caccia al Tesoro con Marcel Duchamp", il furto di Duchamp ha una direzione precisa, è un altro modo per indicare il "furto artistico", ossia il fatto che ciascun artista creatore in realtà attinge mille frammenti alle opere di chi lo ha preceduto per costruire qualcosa di nuovo.

    Secondo indizio: la mano. La zingara legge il futuro nella mano del giovanotto. La mano, come ben ricorderai, è anch'essa un elemento importante nella poetica duchampiana; è la mano dell'artista che crea, la mano da penna e da aratro, come la definiva Rimbaud. La mano dell'artista contiene e crea il futuro: dunque il giovanotto è una incarnazione dell'artista. In effetti, la veste ha un aspetto un po' particolare, ricorda il grembiule di pelle che indossavano i fabbri. Fabbro è talvolta usato come sinonimo di "artefice": chi non ricorda "il miglior fabbro"? In inglese “forge” significa “forgiare”, e “forgery” significa “fabbricare un falso”: l’artista “è” il falsario.
    Dunque nel presente l'artista ci proietta al futuro, e il futuro è nelle sue mani.

    Terzo indizio: le donne. La vecchia e la giovane: ricordi "Battesimo", il dipinto giovanile di Duchamp? Di fronte al giovanotto vi sono due donne, una vecchia e una giovane. Due età, due condizioni: la Vergine e la Sposa. Eccole qui, a fianco del nostro giovane artista che si interroga sul suo futuro. Riuscirà a trasformare la Vergine in Sposa, ossia il suo progetto nell'opera compiuta?

    Quarto indizio: la stoffa. Una macchina per tessere è fra i principali elementi della parte inferiore del Grande Vetro. La stoffa, come sai, è una metafora che sta per la narrazione, sia essa fatta con le parole che con le immagini. In questo dipinto, la stoffa più intrigante è quella che indossa la vecchia; ne vediamo contemporaneamente il dritto e il rovescio, il significato apparente e quello più riposto e segreto.
    L'opera d'arte, per Duchamp, è l'abito della Sposa, la sua apparenza visibile, sotto la quale si cela un significato riposto, difficile da raggiungere.

    Dunque il nostro falso La Tour potrebbe essere stato fatto da un falsario d’eccezione, Marcel Duchamp.
    Ne ho parlato al mio amico Sherlock, che si è detto affascinato dall’ipotesi.
    Chissà cosa ne pensa Poirot?

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  18. Interpretazione magistrale.
    Poirot è entusiasta "Parbleu! c'est impeccable!" continuava a dire e "Il a même signé!,Ha anche firmato"
    E come, dirai ?
    Ma nella "parola di troppo", ovvio.
    Seguimi bene: M è la emme di Marcel ER è la erre di Rrose Sélavy, uno dei suoi pseudonimi, D per Duchamp, ça va sans dire, e E per est, vale a dire, è.
    Paola, è stato lui
    Falso La Tour e vero Duchamp: hai materiale per un altro libro !
    Pensiamoci...

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  19. Watson guarda Sherlock, che guarda il post di Poirot. Poi Sherlock si volta e guarda Watson: caspiterina, Poirot stavolta ha fatto centro!

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  20. Grazia cara, questo dipinto è splendido.

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