martedì 31 maggio 2011

Il "Ritratto" di Rogier van der Weyden : il martello di Francesco d'Este




A Bruxelles, nel 1444, nel favoloso  palazzo di Coudenberg, allora in corso di rinnovamento, tra gli ospiti della corte di Borgogna, c'è un giovane italiano, appena adolescente. 
È stato accolto molto  bene e il Duca Filippo il Buono, generosamente, ha deciso di farlo educare insieme a suo figlio, Carlo il Temerario. 
Con lui potrà impratichirsi nel mestiere delle armi e nelle sottili arti della diplomazia.
Per un ragazzo arrivare a Bruxelles, in uno dei palazzi di Filippo il Buono, è come entrare in uno di quei  racconti di cavalieri che accendono la fantasia: la corte di Borgogna è famosa per il lusso, l'eleganza, l'amore per i tornei e per i banchetti, insomma, per la magnificenza che esibisce in ogni manifestazione. 
Molte signorie italiane la considerano un modello inarrivabile.

Il ragazzo si chiama Francesco e, al momento del suo arrivo, ha, più o meno, quindici anni. Delle meraviglie della corte di Borgogna ha sicuramente sentito parlare a casa sua, alla corte degli Este.
È il figlio illegittimo del signore di Ferrara, Leonello (ne parlo qui) che lo ha inviato all'estero per sottrarlo ai maneggi e alle malevolenze della corte.
Anche Leonello è un figlio illegittimo ed è riuscito a succedere, nella signoria, al padre Niccolò.
Essere illegittimi nella Ferrara del Quattrocento è piuttosto frequente. 
Niccolò III ha avuto numerosi figli naturali, sparsi per  tutto il territorio ferrarese.
Di qua e di là dal Po sono tutti figli di Niccolò“: afferma un detto popolare. 
La leggenda gliene attribuisce ottocento, ma, più ragionevolmente– si fa per dire- gli storici hanno corretto il numero in trentanove.
La successione alla signoria, in questo modo è assicurata e per anni passa da un fratello all'altro.
Più morigerato del padre Leonello ha avuto un solo figlio naturale, nato intorno al 1430, da una relazione con una dama di corte, nel periodo di vedovanza tra il primo e il secondo matrimonio: Francesco, appunto.
Il giovane Este si ambienta bene alla corte di Borgogna, tanto che lo si trova citato nei documenti, incaricato, ogni tanto, di qualche missione diplomatica.
Verso il 1460 viene ritratto da Rogier Van Der Weyden, artista già celebre e ben noto in Italia,  dove gli Este sono stati tra i suoi primi collezionisti.

Il dipinto è a New York, Metropolitan Museum

Francesco è effigiato di tre quarti su uno sfondo bianco avorio:  l'abbigliamento non è  sfarzoso o colorato come si usa abitualmente in Italia, dove Leonello d’Este, cambia la tinta dell'abito ogni giorno, secondo i consigli dell'astronomo di corte.
La veste indossata da Francesco è nera.
Il nero, adottato  da Filippo il Buono, in lutto per la morte del padre, è diventato il colore di moda alla corte di Borgogna e il segno distintivo dell'eleganza "minimalista"  e sobria della vera aristocrazia.

Dal collo e dalle maniche si intravede il bianco della camicia e- a mala  pena visibile- una preziosa  collana d'oro; al dito mignolo porta un  anello.
Niente da eccepire: Francesco, raffinato e misurato, si è saputo trasformare in un vero gentiluomo borgognone.
Tra le dita  stringe un altro anello. Questa volta non si tratta di un ornamento, ma di un simbolo: il gioiello può alludere alla vittoria in un torneo oppure a un pegno d'amore.
Fin qui tutto torna: un giovane gentiluomo elegante, un anello e, chissà, una promessa amorosa.
Ma c'è un elemento incongruo che attira l'attenzione: è il martello a coda di rondine  che tiene tra le mani.
Per chiarirne il significato non resta che osservare meglio il quadro.  

Nel verso- ben  evidente su fondo nero- c’è lo stemma degli Este, sorretto da due linci.
Il cimiero che lo sovrasta è sormontato da un’altra lince, ma questa volta  bendata. 
La lince, simbolo di lungimiranza, è stata l'emblema di Niccolò d'Este. 
Leonello, alla morte del padre, ha scelto di bendarla in segno di lutto e di adottarla come sua insegna  personale.

C'è una scritta: v re tout  (interpretata come v(ost)re  tout: interamente vostro). 
È una  dedica: indica  che il ritratto è un dono, un regalo d'amicizia o, più facilmente, d'amore  da parte di Francesco. 
Poi ci sono, ripetute due volte,  le lettere m, e, (cioè m(archio) e(stensis), marchese d'Este) e, infine, il nome  francisque (Francesco).



Francesco, malgrado sia illegittimo, è pur sempre figlio del marchese Leonello d'Este.  
Il riferimento al padre è evidente nel simbolo della lince bendata; mentre le lettere m(archio) e(stensis), ripetute due volte, alludono al  rango paterno e al titolo, a cui Francesco sente di avere diritto.
Ed ecco, allora, che si spiega anche il martello.
Il martello, in italiano antico, è detto "marchio", la stessa parola usata  per marchese. 
Francesco  lo tiene  tra le mani in maniera ostentata e sembra, così, ribadire la legittimità della sua rivendicazione nobiliare, particolarmente importante in una corte attenta all'etichetta, come quella di Borgogna.
In più, il martello è un antico simbolo di potere e di forza e, forse, allude a una sua carica civile o militare.
Tutto il dipinto rappresenta, dunque, la riaffermazione orgogliosa  di uno status sociale. 
È il ritratto di una persona che, donandolo a qualcuno a cui tiene, vuol confermare la nobiltà delle sue origini e del suo casato, malgrado la sua nascita illegittima.

Non sappiamo se il dono fosse accettato, né se il messaggio fosse compreso.
Le notizie d'archivio ci dicono solo che Francesco svolse ancora qualche missione diplomatica tra la Borgogna e l'Italia. 
Rientrato definitivamente in patria, finì per diventare prete e vivere appartato, godendo dei  benefici ecclesiastici che la sua carica gli consentiva, fino alla morte, nel 1482.
A Ferrara, intanto, era diventato signore l'ultimo dei fratelli, un erede legittimo stavolta: Ercole I, figlio dell'ultima moglie di Niccolò III.
Gli Este erano riusciti a conquistare il traguardo nobiliare più ambito: il titolo di Duca.
La corte estense, ormai, era pronta a  rivaleggiare, per splendore, con quella di Borgogna.




La ricostruzione tornerebbe, ma c'è un dettaglio, per cui non riesco a trovare una spiegazione.
È come se mi fosse rimasto da collocare il  pezzo di un puzzle o non riuscissi a terminare uno di quei giochi della Settimana Enigmistica che amo tanto.
Perché il martello che  Francesco tiene tra le mani è a coda di rondine? Perché proprio questo tipo di martello?
È uno strumento troppo specifico per essere solo un simbolo. Che cosa può significare?
È un dubbio che lascio aperto. Qualcuno, forse, la soluzione la sa.

Le notizie su Francesco d'Este, sull'araldica estense e sul simbolo del martello sono in M.Torboli, Un Rinascimento singolare, cat.della mostra, 2004 pp.95-97.
Sul dipinto: questa è la scheda del Metropolitan Museum di New York.




35 commenti:

  1. Intrigante questione. Si potrebbe provare a pensare qualche significato che sia intrinseco all'oggetto per la sua forma e il suo uso: mi viene in mente che il martello a coda di rondine è composto da due parti di uso opposto (una ribadisce il chiodo, l'altra lo tira via). Dunque potrebbe essere un'allusione alla nascita illegittima del giovanotto, e alla precarietà che avevano, per questo motivo, le sue aspirazioni al titolo.
    Altro dirti non so, mormora Sherlock.

    RispondiElimina
  2. Mi piacciono i tuoi post per lo sforzo che ci "costringi" a fare di guardare in un dipinto tutti i dettagli. Per esempio, qui, il martello. La questione è interessante.Io avrei pensato che fosse un simbolo cristiano poiché questo tipo di martello è quello che compare nei dipinti con la deposizione dalla croce. Neanch'io altro dirti non so. Un saluto
    M.

    RispondiElimina
  3. A me, di queste storie , oltre alla singolarità del dipinto, il viso affilato , le mani sottili e la bellezza dell'insieme, piacciono questi dettagli che catapultano nella vita dell'epoca. Il proverbio sui figli di Niccolò, che mi ricorda un detto (Accident'a Pio Nono) che si ripeteva in campagna senza più sapere chi fosse Pio Nono, il dettaglio delle vesti di corte suggerite dall'astrologo...

    RispondiElimina
  4. Anche a me piace seguirti nella descrizione di un dipinto. Che sia bello lo vedo da sola quello che non vedo da sola sono i dettagli, i particolari da interpretare.Sono d'accordo con Vitamina, su quello che mi piace sentire raccontare. Per il martello non saprei, so solo che viene usato per lavori di falegnameria. Non so se questo abbia a che fare con Francesco Este. Ciao
    Anna

    RispondiElimina
  5. Sono ferrarese e sono contenta di scoprire che c'era un legame tra la mia città e una corte importante come quella di Borgogna ( di cui ho letto nel libro di Huzinga). Apprezzo la maniera piacevole con cui scrivi e ti ringrazio per avermi fatto conoscere meglio Francesco d'Este.Un saluto
    Carla

    RispondiElimina
  6. Non capisco granché di martelli, ma quello rappresentato nel quadro, così sottile e con la testa così piccola, mi fa pensare a un martello da cesello, da orefici (per quanto... la coda di rondine non si spiegherebbe).
    Come al solito, leggendoti, ho sognato un po'.
    Che è sempre cosa buona e giusta.
    Abbracci

    RispondiElimina
  7. Ciò che hai riportato a proposito di Lionello d’Este che cambiava la tinta dell'abito ogni giorno, secondo i consigli dell'astronomo di corte, mi ha davvero ricondotto a quella dimensione cortese, frivola quanto si vuole, ma intrigante. Vorrei poterti aiutare per il martello ma non mi viene in mente se non qualche deduzione avventata che non mi pare meriti di essere trascritta.
    Splendido post, come al solito.
    Un abbraccio

    RispondiElimina
  8. Caro Poirot, il mio amico Watson oggi è stato molto silenzioso. Non che ci sia nulla di strano in ciò, a dire il vero: una cosa che apprezzo particolarmente, della sua amicizia, è la sua capacità di rimanere tranquillamente in silenzio per ore ed ore. Quello che mi ha stupito è stata piuttosto la domanda con cui questo piacevole silenzio si è interrotto. "Che lei sappia, caro Holmes, quel tipo di martello è sempre stato chiamato così? voglio dire, martello a coda di rondine?" Non ho saputo rispondere, a dire il vero. Lei ne sa qualcosa?
    Sono certo che la cosa non le è ignota.
    Un saluto cordiale

    Suo devoto

    Sherlock

    RispondiElimina
  9. Ciao Grazia
    Mi ha fatto piacere leggerti e vedere che sei passata anche da mia figlia.

    Spero di riuscire a lasciare il commento perché è da un po' che ho problemi con blogger. Non capisco quale sia il problema...

    A presto e saluti cari
    Cinzia

    RispondiElimina
  10. Cato Sherlock,

    sto cercando di farmi dire qualcosa da Grazia, a proposito della vetustà della denominazione dell'oggetto in questione: ma la mia cara amica dev'essere in tutt'altre faccende affaccendata. oibò.
    Appena la scovo le faccio sapere.
    Ma perché il suo amico Watson le ha posto tale questione?

    RispondiElimina
  11. Egregio Poirot, il motivo è il seguente. Se il martello è simbolo di marchesato, titolo nobiliare, il fatto che la sua foggia sia "a coda di rondine" lo mette in relazione con il grazioso uccello migratore che noi tutti amiamo. La rondinella vola via ai primi freddi, torna solo quando si sta bene, al sole della primavera. Dunque il marchesato, e in genere il titolo nobiliare, ossia gli onori mondani, sarebbero definiti come peregrini, mutevoli a seconda delle stagioni e degli umori. Al martello si contrappone, retto dalla stessa mano, il piccolo anello d'oro. Se esso sta per un pegno d'amore, si potrebbe dedurre che, nel gesto di questo giovane dallo sguardo malinconico e sognatore, la durevolezza splendente dell'oro è messa in contrapposizione al mutare volubile delle sorti umane. Insomma, secondo Watson il messaggio per l'amata sarebbe del tipo: ti amerò sempre, nella buona e nella cattiva sorte".
    Oltretutto il giovane uomo si mostra sprezzante delle vanità ostentatorie, ma anche conscio del proprio valore: la collana d'oro è infatti massiccia, di grande pregio, ma egli la tiene nascosta sotto l'abito.

    Però a questo punto c'è un'altra cosa che fatico a capire: l'anello al mignolo. Insomma, mio caro amico, il fatto è che comunque la si metta ci si trova, a un certo punto, coi piedi scoperti.

    Un saluto cordiale dal suo devoto

    Sherlock

    RispondiElimina
  12. Caro Sherlock solo ora ho appreso del suo messaggio e del quesito,invero stupefacente, di Watson.Ignoro tutto del martello a coda di rondine anche se,spinta dalla necessità, ho consultato anche i cataloghi di Brico e quelli per falegnami on line.
    Ma ,scusi la ripetizione, perchè il suo amico Watson le ha posto una tal questione ( che fa anche rima ) ? Crede che abbia a che fare non con lo strumento ma col volatile che ogni primavera riempie i nostri cieli?
    Mi creda sempre sua umill.ma

    RispondiElimina
  13. Veramente telepatici i nostri investigatori.I loro messaggi si incontrano nell'etere.Il volatile migratore potrebbe essere una chiave,ma un'amica romantica e perspicace suggerisce un'altra soluzione.
    Il messaggio del dipinto è diretto dal malinconico giovane alla donna amata di sicuro nobile e altolocata che - e qui occorre fare attenzione - ha, come il martello, il potere di configgere o di togliere dal cuore il chiodo fisso dell'illegittimità. Che ne dice, Sherlock? Cherchez la femme ?

    RispondiElimina
  14. Un'altra tua affascinante pagina di storia e di arte, che una volta di più ho assaporato in pieno!

    RispondiElimina
  15. Una marchesa volubile... mmhhh... chi mai lo saprà? Certo, la donna va cercata in ogni caso, caro Poirot-Grazia.
    Un chiodo conficcato nel cuore di Francesco, un amore sincero e duraturo da parte di un uomo modesto ma consapevole di sé, e poi la storia della sua vita, che lo porta a prendere i voti abbandonando amore e potere: quella collana d'oro nascosta sotto un abito severo sembra una premonizione del suo destino.

    RispondiElimina
  16. Francesco offre un anello con rubino, che era detto "la pietra dei re"; simbolo di regalità, di vittoria, di coraggio, di amore appassionato, di felicità. Molto vicino al diamante nella scala delle durezze, nel Medioevo era pietra riservata ai sovrani; posto sulla corona, rappresentava il sangue del martirio di Cristo. In amore, il rubino protegge contro l'infedeltà.

    Francesco indossa un anello con diamante: simbolo di fermezza, di volontà incorruttibile, di fedeltà e armonia fra coniugi. Il diamante è invincibile, segno di perfezione e di amore assoluto ed eterno.
    Entrambe pietre rare e fra le più preziose, appannaggio di sovrani e principi, ma anche portatrici di messaggi di amore intenso e duraturo.
    Un diamante sotto un martello è simbolo di fermezza e solidità di carattere. Simbolo di costanza, il diamante era detto, in Francia, "pietra della riconciliazione", poiché allontana la collera. Nel Rinascimento simboleggiava la costanza dell'animo, l'equanimità, la buonafede e l'integrità del carattere, il coraggio davanti alle avversità.

    RispondiElimina
  17. Cara Grazia e cara Paola Delfina, devo proprio confessarvi che i vostri scambi "e-post-olari" (neologismo da me testé coniato) sono molto interessanti. Se fossi un editore (una delle cose in elenco della mia next-wish-life) avrei già pubblicato un saggio a vostra firma OB-BLI-GA-TO-RIO come libro di storia dell'arte per le scuole superiori e sotto forma di romanzo per gli altri. Il titolo?! Ci sto pensando, conio solo un neologismo al giorno (sarà l'età?) Bye&besos

    RispondiElimina
  18. @Nela-San : un romanzo "e-post-olare" magari!
    Paola- Sherlock è davvero imbattibile e ne ha già scritto uno stupendo su Duchamp svelando enigmi su enigmi

    Intanto, come fido Watson o - visto che sono in Belgio- come Poirot accetto l'interpretazione delle pietre preziose ( acuto, l'amico Sherlock) e in più rilancio, segnalando che il diamante era l'impresa personale di Lionello e di molti degli Este ( il palazzo dei diamanti a Ferrara richiama uno degli emblemi della famiglia). Nel suo ritratto- dichiarazione d'amore ( cherchez la femme) Francesco esalta la costanza del proprio carattere ma non rinuncia a ricordare la nobiltà della famiglia (incorreggibile, vero ?)

    RispondiElimina
  19. Ma chi sarà stata mai la dama amata dal (neanche più così giovane, a trent'anni, per l'epoca) Francesco?

    RispondiElimina
  20. Fosse mai quella del ritratto di van der Weyden ora a Washington, con la bocca sdegnosa, la fronte rasata e il velo ?
    Un bel caratterino ce lo doveva avere e poi Francesco un adone non doveva essere nemmeno a vent'anni. Hai voglia a esser marchese!
    Questa storia e questa donna, anzi femme, merita un approfondimento.Un post ?

    RispondiElimina
  21. Ma scusa, tu che conosci, avevano davvero queste facce alla Veronica Pivetti a quell'epoca?
    LDA

    RispondiElimina
  22. Ah ah, LDA, vuoi vedere che la Veronica ciaveva gli ascendenti Estensi?

    RispondiElimina
  23. @LDA, Paola: e se fosse la pettinatura ?

    RispondiElimina
  24. Appassionante come tuo solito questo post, cara Grazia, ma anche esilarante il duetto fra te e Paola Delfina.
    Questo è un blog eccezionale sotto tutti i punti di vista.
    Ciao :)
    Lara

    RispondiElimina
  25. @Grazia: mica solo la pettinatura, dai, quel naso, ehm, aquilino mi pare sia molto pivettesco. Pivettimorfo. Pivettiforme. Come dire?

    @Lara: menomale che ci trovi spassose nei nostri "duetti investigatorii", temevo di aver provocato effetti soporiferi:-)

    RispondiElimina
  26. Non so se avete notato quant'è carino il modello della camicia, con quel collettino alto stondato... la copierei.

    RispondiElimina
  27. @Paola:perchè la finta modestia con cui nasconde la collana d'oro masiccio a tre fili? Vero minimal- chic. Brutto, ma tanto fine :come diceva mia mamma.
    Per domani mi è scappato un post su Magritte, ma poi arrivo con la"belle dame sans merci", quella col labbro tumido, e allora sì......

    RispondiElimina
  28. "Brutto, ma tanto fine": frase che avrebbe potuto dire, ridendo con l'angolo della bocca, la mamma di Lorenza-Vitamina.

    Secondo me la coda di rondine del martello/marchesato e la collana preziosa seminascosta sono collegati. Il marchesato/uccello migratore va e viene, appartiene all'aleatorietà delle fortune umane: ma il valore intrinseco della persona (simboleggiato dalla collana d'oro sotto la veste) può essere elevato anche sotto un abito poco appariscente.
    Non credo che questo Francesco avesse la fissa del titolo, ho l'impressione che invece volesse cercare di volare oltre, sebbene naturalmente, essendo uomo del suo tempo, non poteva - come si dice? - sputarci su più di tanto. Il fatto che in seguito abbia preso i voti farebbe proprio pensare a una personalità del genere.

    RispondiElimina
  29. @ Insomma ,Paola, va a finire che il pivettiforme aveva una grande anima.
    È possibile: questa interpretazione della collana come un valore da non ostentare quasi quasi mi convince.E allora, davvero, il martello oltre che all'aleatorietà delle umane sorti potrebbe richiamare un simbolo religioso, l'attributo iconografico di Nicodemo nella Deposizione.Che già avesse la vocazione ? Che la bella dal labbro tumido non c'entri nulla? Lo vedremo alla prossima puntata.....

    RispondiElimina
  30. E se il martello fosse legato alla simbologia di Vulcano, il brutto fabbro divino? il giovinotto è brutto, come quel dio, ma ha cuore appassionato (la camicia che spunta appena è di un bel rosso porpora) e vale oro (la collana che sbuca da sotto una veste semplice, quasi dimessa). Non sono le apparenze che contano, ma i meriti della persona.

    RispondiElimina
  31. Buongiorno. Volevo sapere se questo blog è ancora operativo perchè, oltre ai complimenti, vorrei rivolgere una domanda.

    RispondiElimina
  32. Non trovo nessuna fonte da cui risulti che martello in italiano antico si diceva marchio. Me ne può citare una?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Dal latino marcus (martello); trova tutto nell’articolo di M.Torboli che ho citato nella nota bibliografica.

      Elimina