mercoledì 1 ottobre 2014

Il calendario di pietra: ottobre




"Dixe ottobre, e' spillo lo vino/vago cercando qual è il più fino/vendo quello a rio sauore (di cattivo sapore/ e per mi bevo lo migliore" (Ballata dei Mesi, XIV secolo)



Eccoci ormai al decimo mese dell'anno, l'ottavo, secondo il calendario romano da cui ha preso il nome: ottobre. 

Negli anni successivi alla Rivoluzione francese, ottobre era diviso tra due mesi: Vendemmiaio fino al 22 e, poi, Brumaio. 
Sono nomi questi che descrivono bene il carattere di questo periodo dell'anno, in cui un autunno ancora pieno di sole può sfumare, d'improvviso, nelle nebbie che preannunciano l'inverno, mentre nel paesaggio, predominano i colori caldi e dorati del rosso e del giallo delle foglie. 

Nei Cicli dei Mesi degli inizi del XIII secolo, di cui pubblico, quest'anno, le immagini, manca, per questo mese, la formella della cattedrale di Ferrara ed è rimasta solo la raffigurazione di Santa Maria della Pieve ad Arezzo. 
Nei campi, ormai, la vendemmia quasi ovunque è terminata, i frutti sono stati raccolti  e  i contadini cominciano a prepararsi per le stagioni a venire. 
Ottobre è il momento della semina.



Il giovane contadino sbarbato delle rappresentazioni precedenti lascia spazio ora a un uomo maturo con una lunga barba, che, per difendersi dai primi freddi, indossa robusti stivaletti, una tunica pesante e un mantello. 

È raffigurato proprio nell'atto di gettare i semi, che tiene stretti nel pugno chiuso: il gesto è quello tradizionale della semina a spaglio, che consiste nello spargere le sementi con la mano nel terreno già preparato.
Nessun altro elemento è presente nella scena, dove solo la posizione delle gambe dell'uomo, completamente assorto in se stesso, suggerisce un lento avanzare. 
Si avverte quasi il rispetto dell'ignoto artista per uno dei momenti più importanti dell' attività della campagna, a cui veniva affidata tutta la speranza di una buona annata futura.
Tutto si concentra in quel gesto misurato e composto, un gesto che, nella dignità e nella essenzialità della raffigurazione, assume una valenza quasi sacra. 
E che nella tradizione più antica era accompagnato dalla benedizione dei solchi e dalle preghiere.

Come un rito austero e solenne che si è ripetuto immutabile nel corso del tempo. Tanto da poter essere descritto- sempre uguale a distanza di secoli- in una delle più belle poesie che, almeno nella mia generazione, si usava imparare a memoria a scuola: quella dedicata da Gabriele D'Annunzio ai "Seminatori". 


Van per il campo i validi garzoni,
guidando i buoi dalla pacata faccia,
e, dietro quelli, fumiga la traccia
del ferro aperta alle seminagioni.

Poi, con un  largo gesto delle braccia, 
spargon gli adulti la semenza; e i buoni
vecchi, levando al cielo le orazioni,
pensan frutti opulenti, se a Dio piaccia.

Quasi una pia riconoscenza umana
oggi onora la terra. Nel modesto
lume del sole, al vespero, il nivale

tempio dei monti innalzasi: una piana
canzon levano gli uomini e nel gesto
hanno una maestà sacerdotale.






4 commenti:

  1. Mi piace molto l'autunno, soprattutto se comincia così, con una bella immagine e una poesia.

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  2. Mi accodo a Silvia... bello quando s'inizia con la poesia. Ed è bello che tu ridia visibilità ai "libri di pietra".

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  3. A me l'autunno invece mette sempre molta malinconia..preferisco di gran lunga la primavera! :)

    un caro saluto

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  4. Grazie per i commenti e buon autunno a tutti: se la stagione continua così sarà bellissimo!

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