Prima di Gentile Bellini nessuno aveva effigiato il Sultano Maometto II.
Le immagini che circolavano in Europa del "Gran Turco" erano opera di pura fantasia. Quello di Bellini è il primo ritratto ufficiale, realizzato alla maniera occidentale.
Malgrado le ridipinture e il cattivo stato di conservazione resta una testimonianza straordinaria.
G.Bellini, Ritratto di Maometto II, Londra,National Gallery |
Il Sultano, visto di tre quarti, è inquadrato entro un'arcata, chiusa, in basso, da una balaustra, decorata da un drappo ricamato e ornato di gemme.
L'arco lo isola dallo spettatore e lo rende, in qualche modo, lontano ed estraneo.
Le due iscrizioni, ai lati della balaustra, forse ritoccate in epoca successiva, ricordano la data, 1480, e i nomi del pittore e di Maometto II.
Il Sultano indossa un caffettano rosso, foderato di pelliccia e un turbante bianco "a bulbo". La fisionomia è accurata: la barba rossiccia, gli zigomi pronunciati, le palpebre cadenti e il lungo naso aquilino sono dipinti con precisione e minuzia.
Il rango è evidenziato dalle due file di tre corone sovrapposte ai lati della nicchia e dalla corona ricamata sul drappo.
Nel dipinto si intrecciano la tecnica della ritrattistica occidentale e il fascino della personalità del Sultano.
Non doveva esser facile per un pittore veneziano accettare di partire per la corte ottomana. Eppure Gentile Bellini (1429-1507) si era dovuto imbarcare, con immaginabile trepidazione, su una galea diretta verso il Corno d'Oro, il 13 settembre del 1479.
Erano passati ventisei anni da un avvenimento che aveva riempito di sgomento e di orrore tutta Europa. Il 29 maggio 1453 Costantinopoli, l'antica Bisanzio, era caduta in mano turca, conquistata da un Maometto II, allora appena ventunenne, grazie alla sua straordinaria capacità di stratega.
L'impero romano d'oriente era stato espugnato in un bagno di sangue
L'occidente doveva fare conti con una nuova potenza: gli "infedeli" avevano occupato il trono dei bizantini, dei Paleologhi.
Venezia aveva tentato, per sedici anni, la carta della guerra per poi, inevitabilmente, negoziare una pace e per ricominciare a intessere nuove relazioni: trattare era necessario per salvaguardare le rotte verso l'Asia e i legami commerciali con il nuovo impero.L'occidente doveva fare conti con una nuova potenza: gli "infedeli" avevano occupato il trono dei bizantini, dei Paleologhi.
I rapporti erano ripresi e il governo della Serenissima aveva accettato, di buon grado, la richiesta di Maometto II, interessato all'arte europea, di inviargli un "buon depentor che sapia retrazer".
Di buoni pittori che sapessero far ritratti a Venezia ce n’erano molti.
Il migliore però era Gentile Bellini.
Il migliore però era Gentile Bellini.
Chissà se l’artista, allora cinquantenne, sarà stato lusingato oppure impaurito, quando era stato prescelto per una missione che era, insieme, artistica e diplomatica.
Certo il compenso era allettante e difficile da rifiutare.
In cambio, aveva avuto la conferma della concessione della senseria del Fondaco dei Tedeschi, ricevuta qualche anno prima.
L' incarico non era davvero faticoso, visto che l'obbligo era soltanto quello di dipingere il ritratto di ogni doge eletto.
E, poi, era il riconoscimento della sua qualità di ritrattista, il più quotato della città.
In cambio, aveva avuto la conferma della concessione della senseria del Fondaco dei Tedeschi, ricevuta qualche anno prima.
L' incarico non era davvero faticoso, visto che l'obbligo era soltanto quello di dipingere il ritratto di ogni doge eletto.
E, poi, era il riconoscimento della sua qualità di ritrattista, il più quotato della città.
Alla corte ottomana erano di gusti difficili: lo scultore Bartolomeo Bellano era stato rimandato indietro quasi subito, bollato con la qualifica di"ineptus artifex".
Gentile, invece, riuscì a rimanere.
Costumi diversi, lusso, modi di vivere differenti: la curiosità di un pittore doveva essere tanta!
Gentile riempì fogli e fogli di schizzi con i giannizzeri, gli scribi o le schiave dell’harem...
Gentile riempì fogli e fogli di schizzi con i giannizzeri, gli scribi o le schiave dell’harem...
Aveva capito da subito come si doveva comportare e aveva stretto con il Sultano un legame, se non di amicizia, almeno di reciproco rispetto.
La vita nel Serraglio era opulenta e affascinate, ma non priva di rischi.
Finito il suo compito Gentile si affrettò a tornare nella più confortante e sicura Venezia, nel gennaio del 1481.
Diciotto mesi era durato il soggiorno a Costantinopoli.
Gli aveva fruttato un lauto compenso e una catena d'oro massiccio, a dimostrazione del gradimento.
Gli aveva fruttato un lauto compenso e una catena d'oro massiccio, a dimostrazione del gradimento.
In cambio avrebbe consegnato ai posteri l'effigie di Maometto II.
Le vicende successive del dipinto sono avvolte nel mistero, anche se tutta una serie di testi, di cataloghi di mostre e perfino un libro giallo (di Jason Godwin), ne ricostruiscono (o ne reinventano) la storia.
Del ritratto si perdono le tracce già con il successore di Maometto II, Bayzid II, che non condivideva la passione del padre per l'arte occidentale.
Nel 1885 fu ritrovato a Venezia da un collezionista inglese e poi ceduto alla National Gallery di Londra.
Il prestigio del personaggio e il richiamo favoloso dell'impero ottomano assicurarono, da allora, la fama del dipinto.
Il prestigio del personaggio e il richiamo favoloso dell'impero ottomano assicurarono, da allora, la fama del dipinto.
A partire da Marcel Proust, che, nella "Recherche", presta all’amico Bloch "le sopracciglia circonflesse, il naso ricurvo, gli zigomi sporgenti" del ritratto del Sultano e ne fa uno dei dipinti più amati da Swann.
Il ritratto è affascinante; è la prova di un artista che tenta di conciliare due diverse maniere di rappresentazione: la veridicità del volto e l’aulicità, quasi da icona, dell'ambientazione.
Ma rappresenta anche la testimonianza visibile di un momento di contatto, di un periodo breve e irripetibile in cui un pittore, era stato il ponte tra due mondi.
Bello il post e opportuno per evidenziare incroci di culture . Tutto lo sfondo mi sembra tratto da miniature persiane, mentre il volto è tipicamente occidentale. Bellini come ogni grande artista sa cogliere il meglio da ogni cultura e come fosse un ortolano sa incrociare e innestare motivi per trarne qualcosa di nuovo e di diverso. Ti ringrazio per aver raccontato questa storia e , forse, oggi per la Settimana della Cultura ti sentirò direttamente raccontare a Bologna in Pinacoteca.
RispondiEliminaUn saluto
M.
Che belle storie che ci racconti !! Io non conoscevo questo ritratto e non sapevo niente di Gentile Bellini e di Maometto II.Purtroppo ho fatto male la storia e so molto poco, anzi se hai qualche testo da suggerire su questo periodo te ne sarei grata.
RispondiEliminaE'sempre molto utile leggere il tuo blog
Ciao
Anna
Grazie cara Grazia, bella scelta. Bellini è un grandissimo protagonista dell'arte italiana, secondo me anche lui, come un po' Tiziano ha "pagato" le conseguenze del monopolio fiorentinocentrico del Vasari. Mi pare infatti che non sia inferiore a un Raffaello. A Raffaello somiglia un po' per la capacità di appropriarsi di modelli e stili diversi fondendoli in uno stile personale e inimitabile. Tu che ne pensi?
RispondiEliminaCome sempre, a me non rimane che ringraziarti per queste conoscenze che ci trasmetti. In particolare ho trovato affascinante questo incontro di culture ben intrecciate nel medesimo ritratto.
RispondiEliminaA presto!!!
Lara
Starei delle ore a leggerti.
RispondiEliminaPeccato che per ora Blogger non preveda una funziona audio: sentirti raccontare questa storia, con la tua voce, sarebbe davvero un'esperienza.
Quanto al quadro, trovo irresistibile lo sfondo nero e la scelta cromatica: è davvero un ritratto opulento, sontuoso e affascinato, oltre che affascinante.
Un abbraccio
Questo racconto è straordinario e l'idea del capolavoro che getta un ponte tra due mondi mi rimanda all'epoca attuale, tanto meno densa e disponibile, malgrado le parole d'ordine e il politicamente corretto. Gentile Bellini forse non vi è andato volentieri a Costantinopoli ma da lì ha appreso e lì ha dato qualcosa.Una storia che ci puo' insegnare e anch'io ti ringrazio per averla raccontata.
RispondiEliminaLuca
Il ritratto lascia davvero immaginare un contatto tra due dimensioni culturali e due piani, quello mitico e quello reale. Immagino, grazie a te, Bellini aggirarsi curioso e guardingo nella Istanbul appena islamizzata e fermarsi a contemplare la luce della luna che accende di argento il corno d'oro. Bellissimo post.Un bacio.
RispondiEliminaA pensarci bene, dunque, sono gli artisti e la loro capacità di immaginare ad aprire varchi nelle impenetrabili mura delle differenze religiose e culturali, nonchè delle rivalità economiche.
RispondiEliminaFu un artista colui che trasformò l'arco da caccia in strumento musicale, fu un artista-architetto colui che s'inventò il ponte ad arco.
La fantasia, quando è davvero tale, compone artisticamente ogni diversità e proietta in un futuro di trasformazione ed evoluzione.
Piacevolissimo post, grazie davvero.
Un abbraccio.
Cara Grazia, ho fatto involontariamente uno strafalcione, pensavo Giovanni e non Gentile. Oibò! Quanto detto sopra vale per Giovanni.
RispondiEliminaCome dice Ruhevoll nel suo commento spetta agli artisti costruire ponti. La Serenissima Repubblica di Venezia cinque secoli fa l'aveva capito. Cosa aspettiamo noi ?
RispondiEliminaIl tuo racconto di un Gentile Bellini incerto tra curiosità e paura mi piace molto perché non sono solo i coraggiosi che aprono nuove strade.
Un saluto
Sara
@ Marco:mi piace l'idea di un Giovanni Bellini ortolano che sa incrociare piante diverse per trarne il meglio.Non è così per tutti gli artisti? E non è questo di cui ancora avremmo bisogno ?
RispondiElimina@ Anna : un testo molto approfondito da leggere è il catalogo di una mostra che si è tenuta a Boston e a Londra . Gentile Bellini and the East, Londra National Gallery, aprile- giugno 2006
@ Paola : E' vero che il Vasari ha dato più importanza a Firenze e che tutta la bottega dei Bellini ( da Jacopo , a Gentile a Giovanni) ha finito per soffrirne.
@ Lara : grazie !Il ritratto è un intreccio di culture meraviglioso e, per certi versi, esemplare.
@ Duck : Grazie anche a te. IL fondo nero del ritratto fa risaltare meglio sia il volto che la decorazione, tratta forse dalle miniature orientali. Credo che la personalità di Maometto II fosse tale da affascinare chiunque.
@ Luca . è vero che il ritratto rimanda all'epoca attuale e che c'è sempre bisogno di "contaminazioni" culturali e di ponti gettati tra una sponda e l'altra.
RispondiElimina@ gacy.nta : anche a me è piaciuto immaginare un Bellini maturo combattutto tra la curiosità e la paura. Le notti di luna sul Corno d'oro devono per un po' avergli fatto scordare Venezia (forse).
@ Ruhevoll: mi piace l'idea di un artsita che trasforma l'arco in strumento musicale, come mi piace l'idea di Gentile Bllini che arriva alla temibile ( anche se sontuosa) corte ottomana, armato solo di un album di disegni del padre da offrire al Sultano e che accetta ( e disegna) con curiosità e apertura mentale quello che succede intorno a lui.
@ Paola : prima o poi verrà il turno anche di Giovanni ( e di Tiziano)
@ Sara : non soltanto i coraggiosi aprono nuove strade : è verissimo.A volte basta un artista impaurito e di mezza età a far circolare idee e pensieri nuovi da una parte all'altra del mare.
Un racconto così partecipato ed accurato non é facile rinvenirlo. Aggiungo solo, a margine, che quello, se ho capito bene certe mie letture, era il periodo in cui Venezia cercava di evitare ad ogni costo uno scontro armato con i Turchi.
RispondiEliminaGrazia cara questo dipinto è meraviglioso e poi le tue parole..poesia!
RispondiEliminaNon posso far altro che ringraziarti,
un bacio
Neanch'io sapevo niente di questa storia interessante del ritratto e di Gentile Bellini.La storia dell'arte raccontata così mi interessa e mi piace.
RispondiEliminaGrazie
Laura
Non sapevo in quale epoca fosse vissuto Maometto. Ignoravo che risiedesse in Turchia. Non sapevo che un artista italiano avesse vinto l'appalto per farne il ritratto. Non sapevo nulla di Bellini che, per me, era il nome di un compositore lirico.
RispondiEliminaChe ti devo dire? Che se il post fosse stato scritto in modo diverso, accademico o spocchioso, continuerei a ignorare il tutto. Quindi, grazie.
CSTLDA
Queste storie mi piacciono moltissimo , quando un bel quadro o comunque un'opera d'arte vengono raccontati nella loro genesi sono ancora più affascinanti , sembra di aprire una finestra sul passato.
RispondiEliminaQuando si dice "partire per l'ignoto". Io nel mio post pensavo a Marco Polo, ma non sapevo fosse accaduto qualcosa di simile anche se con distanze più ravvicinate al pittore Bellini. Mentre leggevo il tuo post mi dicevo che quel dipinto aveva qualcosa di familiare, che mi hai svelato, accennando al giallo di Goodwin. Ne "Il Ritratto Bellini", suo terzo romanzo della serie con Yashim Tgalu, "detective" eunuco di corte nella Istanbul Imperiale, la copertina ritrae proprio questo dipinto. Non so come scrive l'autore britannico (mai letto), ma tu, di sicuro, narri il tutto in modo molto affascinante.
RispondiEliminaBye&besos