sabato 5 marzo 2011

Goya, 3 maggio 1808



Nel mio manuale di storia di terza liceo per illustrare le guerre napoleoniche  c'era la foto di questo dipinto di Goya (1746-1828). 
È un quadro notissimo ed è quello che mi viene in mente ogni volta che si parla di rivolte, di uccisioni e di repressioni. 
Di tutti gli atti di guerra, per quanto la storia li possa spiegare, rimangono nella memoria solo le immagini della paura, della sofferenza e dell'orrore. 
E questa è una delle immagini più famose ed emozionanti, capace di saltare ogni mediazione, ogni filtro e di colpirci nel profondo della nostra sensibilità.





È una scena senza eroismi, senza vincitori, senza trionfalismi. 
Il cielo è scuro non ancora illuminato dal chiarore dell'alba e, sullo sfondo, si intravedono le case e le chiese di Madrid. Sulla sinistra un mucchio di cadaveri e la terra color ocra intrisa di sangue.
A destra una fila di condannati che avanzano impauriti. 

C'è un'unica fonte di luce, una grande lanterna posta a terra, che illumina solo le vittime. 
Rimangono in ombra i soldati, rappresentati, in primo piano, impeccabilmente vestiti, ma tutti di schiena, perfettamente allineati e con i fucili puntati, come una massa anonima e oscura, senza differenze individuali.
Ogni vittima, invece, è raffigurata in maniera differente, con espressioni e atteggiamenti diversi: c'è chi ha i pugni serrati, chi tiene la testa bassa, chi si copre il volto e chi prega, a mani giunte, come il frate chino sopra i cadaveri.

Tutta la composizione culmina nella figura al centro, un uomo con i pantaloni gialli e una camicia bianca,  in cui sembra concentrarsi tutta la luce: ha gli occhi sbarrati dal terrore e le braccia alzate come un Cristo in croce. 
Per rendere più evidente l'allusione Goya arriva a dipingere una ferita che rievoca le stimmate sulla mano destra e un alone luminoso (come un'aureola) intorno alla figura.

L'uomo non è né un santo né un eroe, ma un povero-cristo qualsiasi, forse uno di quei contadini senza nome che furono le vittime più numerose del massacro. La sua angoscia, la sua paura è percepibile, senza conforto. Quegli occhi sbarrati di fronte al plotone di esecuzione, di fronte alla morte, si incidono dentro di noi, facendoci sentire spettatori impotenti di una violenza che non possiamo fermare.

Il quadro di grandi dimensioni (più di tre metri) fu eseguito  nel 1814, quando Ferdinando VII era già ritornato in Spagna e aveva restaurato il potere, ma si riferisce a un evento di sei anni prima.
Nel 1808 la Spagna era stata conquistata dalle truppe napoleoniche. 
Il popolo di Madrid si era ribellato e un ufficiale francese era stato ucciso.
Il generale Murat aveva ordinato una rappresaglia e quattrocento civili arrestati a caso (artigiani, commercianti, mendicanti, ma soprattutto contadini diretti al mercato e rimasti intrappolati in città) erano stati fucilati la mattina del 3 maggio 1808.

Goya  allora aveva sessantadue anni ed era un artista affermato, nominato da tempo pittore ufficiale della corte spagnola. 
Al momento degli scontri e della repressione era a Madrid e  vi aveva assistito, spiando col cannocchiale da una finestra di casa sua e andando di nascosto sui luoghi a disegnare degli schizzi sul suo taccuino.
Ma è solo a distanza di tempo che può' raffigurare l'orrore di quello che ha visto e che è ancora presente sotto i suoi occhi.

Per rendere l'effetto di un'“istantanea", di un  dipinto eseguito quasi di getto, sull'onda dell'emozione, Goya usa, come solo un grande artista sa fare, tutti i mezzi più sofisticati della pittura, preferendo pennellate veloci, sommarie che accentuino l'intensità drammatica della scena.
Ma, pur rispettando la verità  e la forza  delle sensazioni, riesce a dare al dipinto un significato universale che trascende il singolo episodio. 

La vicenda storica o i valori di patria e patriottismo passano in secondo piano e quasi spariscono.
Quello che rimane è una rappresentazione, senza confini e senza tempo, della violenza,  del terrore e dell'ingiustizia di ogni guerra.






19 commenti:

  1. E' vero che questo è un quadro noto e io l'avevo visto anche se non mi ero mai soffermato a riflettere come ho fatto ora , guidato dalle tue parole.Per questo profondamente ti ringrazio,
    M.

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  2. Anch'io, come sempre, ti ringrazio per queste riflessioni che ci permetti dai fare, entrando così bene nei dettagli delle opere.
    E' un grande insegnamento quello che trasmetti.
    Un dolce abbraccio cara Grazia e buona giornata!
    Lara

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  3. Quello che mi colpisce delle tue intelligenti riflessioni è come Goya abbia usato tutti i mezzi possibili per farci emozionare e provare lo stesso orrore che lui ha provato. Non è un'istantanea, come dici, ma ci fa lo stesso l'effetto di essere là in quel momento. Grazie per aver pubblicato questo dipinto
    Anna

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  4. Questo quadro mi ha sempre fatto star male.
    C'è un'inermità, un senso di profonda ingiustizia patita e perpetrata, quell'assurdità illogica e spaventosa della violenza dell'uomo contro l'uomo. Ma di quadri così abbiamo bisogno, credo. Sono moniti necessari, purtroppo.

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  5. Anch'io ricordo di questo quadro nei miei libri di scuola. Non mi sono però mai soffermata ad una analisi così approfondita e per questo ti ringrazio tanto.

    un caro abbraccio

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  6. Frequento spesso il tuo blog che mi piace per l'intelligenza, il senso dell'umorismo e la misura ma finora non avevo mai commentato; ne sento la necessità ora perchè anch'io ho dei ricordi scolastici di questo dipinto ma mi sembra importante che tu l'abbia riproposto in un momento di guerre "giuste" e di guerre travestite da missioni di pace. Goya è un grande artista se ci induce ancora a riflettere
    Ti ringrazio
    Gabriella

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  7. le stigmate io non le vedo, forse perché ho un monitor della mutua. E l'alone, se c'è, è sicuramente spiegabile con il bianco della camicia che riflette la luce. Ergo, il poveraccio che si fa ammazzare alle Fosse Ardeatine di Madrid, per me ha il diritto di rimanere un non credente fino al terzo grado di giudizio. O fino al giudizio universale. In quest'ultimo caso avreste ragione tu e il Goya. :)

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  8. Hai svolto delle considerazioni veramente toccanti. E Goya, per come l'ho capito io, é il grande artista superbo anche nel cogliere le atrocità della storia, come sottolinei tu.

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  9. Ciao,bellissimo post,sia per come è descritto il dipinto sia per come è presentato.
    Buon fine settimana.

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  10. @Marco, Lara , Duck,Iulia, Adriano Maini,Achab : è vero è un quadro che fa star male ed è, appunto, merito di un grande artista come Goya trasmetterci il suo dolore e la sua sofferenza. Grazie a voi di condividere con me le riflessioni che il quadro ci consegna.

    @ Anna : l'abilità di Goya è proprio quella di far sì che un quadro estremamente sofisticato dal punto di vista dei mezzi pittorici possa sembrare eseguito "in diretta". Lo stesso avviene con i suoi schizzi trasferiti nelle incisioni sui "Disastri della guerra"

    @ Anonimo : è vero è una rappresaglia come quella delle Fosse Ardeatine o come quelle che tutti gli eserciti ( italiani compresi) hanno sempre fatto. Secondo me l'evocazione delle stimmate e dell'aureola non vogliono dire che la vittima fosse "un credente" ma che il dolore di ogni vittima inerme è "sacro" come quello di Cristo.

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  11. @ Gabriella : il dipinto di Goya è senza tempo ed è una condanna della guerra , di ogni guerra per questo anche oggi è attuale e ci sconvolge.

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  12. Sono arrivata nel tuo blog da Google. Anzitutto mi complimento per l'eleganza della tua scrittura e poi ti volevo dire che anch'io apprezzo la scelta delle immagini che hai fatto, soprattutto di questa che mi sembra necessaria e non tanto lontana dalle immagini di guerra che alle volte ci arrivano dalla televisione.
    Anna Maria

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  13. Scusami ma mi piacerebbe saperne di più delle incisioni di cui mi parli. Credo che l'effetto possa essere ancora più dirompente che in questo dipinto; eventualmnete ti contatto in privato
    Grazie

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  14. Ciao, anche io trovo molto interessante il tuo blog, per ora ho visto solo Goya . Mi piace tanto , ho avuto il piacere di vedere le sue opere in uno dei miei pochi viaggi giovanili al Museo del Prado . A presto.Lorenza o Vitamina.

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  15. Molto bello il commento. Complimenti per avercelo ricordato

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  16. Carissima, mi sembra che tu abbia superato te stessa, un pezzo veramente emozionante (e non è solo merito di Goya). Lavoro anche a quest'ora, sforzandomi di non finire gli ultimi cioccolatini Wittamer (che sono fantastici). Non vedo l'ora di fare un po' di vacanza: che ne dici se il quadro della prossima settimana fosse d'evasione? Adesso son troppo stanca ma domani ci penso e poi ti scrivo. Un grande abbraccio

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  17. E' sempre un piacere leggere i tuoi commenti critici relativi a notissimi capolavori.Le tue descrizioni puntuali e competenti suscitano in me emozioni ormai lontane e però mai dimenticate.
    Ritengo che la "lettura" delle opere d'arte sia un dono che non molte persone posseggono.
    Grazie!
    Ti abbraccio Lecoq

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  18. Cara Grazia,
    finalmente eccomi di nuovo a lasciare un commento, anche se malamente rabberciato, ad un tuo ennesimo splendido post che parla d'arte.
    Quello che mi ha sempre impressionato di questo dipinto è il senso di "fabbrica" della morte che lascia dentro di noi. La fila dei condannati è infinita, come una teoria di bottiglie o barattoli in una catena di montaggio, che inesorabilmente passano attraverso la fase dell'etichettatura.
    Qui la macchina della morte è rappresentata dai soldati, tutti grigi e tutti uguali, come pistoni di un sistema meccanico che non fanno distinzione tra un obiettivo ed un altro, ma funzionano inesorabilmente, nonostante producano morte.
    Credo che Goya abbia voluto rappresentare la meccanica di annientamento disumanizzato della guerra, dove la figura anonima del soldato, sempre uguale ad un altro soldato, è quasi priva di anima e ridotta a mero strumento di distruzione, si carica l'arma, si prende la mira, si preme il grilletto e... avanti un altro. La disumanità della guerra delle armi da fuoco è macelleria e null'altro, ben lontana dal corpo a corpo eroico dell'Iliade, nessun eroe, nessun confronto tra corpi splendenti al sole e coperti di polvere, ma solo vittime impossibilitate a reagire e carnefici, neanche più umani e che neanche si tolgono lo zaino dalle spalle, il carico non gli impedisce di eseguire la loro opera, non vale la pena presentarsi spogliati del proprio fardello, quella di sparare è un'azione veloce, rapida e poco faticosa, non c'è sudore, non c'è scintillio di spade al sole o al chiaro di luna, c'è solo la forza dell'arma che colpisce inesorabilmente e senza anima chiunque si ribelli al potere. Questa, nonostante il sangue che si sparge sulla terra colore del miele, è un'azione pulita e veloce, meccanica e ripetitiva, lo sbigottimento dell'uomo in piedi non è quello di un uomo di fronte a un altro uomo ma è quello del ragazzo con la busta in mano di fronte al carro armato di piazza Tien'anmen.
    L'arte si rinnova sempre cara Grazia, racconta la realtà eterna dell'uomo, racconta la storia e con la medesima forza il presente, in ogni nota, come solo l'arte sa fare, non c'è cronaca, non c'è televisione che possa solo lontanamente raccontare al medesimo modo l'eterna crudezza del mondo e l'inerme sgomento di un uomo di fronte alla stupidità di un altro uomo costruttore di morte.
    Jules, ecc.

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  19. @ Anna Maria : grazie per i complimenti. E' vero l'arte sa essere più universale delle immagini di attualità che ci arrivano con violenza dai nostri telegiornali.

    @ Vitamina: pensa che io ho visto il Prado e Goya tanti (troppi) anni fa e avrei voglia di rivederlo.

    @ Soffio, @ Barbara: grazie, il merito é tutto di Goya

    @ Lecoq :grazie per il complimento; E' vero che per alcuni capolavori la lettura é più facile. Basta guardarli e sono loro che ci guidano

    @ Jules : il tuo commento é al solito bellissimo e pieno di spunti. E' vero la violenza dei soldati é peggiore proprio perché anonima, perché la loro umanità non c'é più. Non c'é nessun eroe e forse tutti sono vittime della disumanità della guerra.
    Dai commenti precedenti, dalla commozione che il dipinto ancora suscita si capisce che hai ragione : l'arte, l'arte vera, racconta meglio di qualsiasi cronaca o qualsiasi reportage televisvo;
    Grazie, come sempre, per le tue parole

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