Gli ultimi giorni di viaggio, dalla fine del mondo, la Terra del Fuoco, al centro del mondo, o almeno dell'Argentina, a Buenos Aires.
A come arrivare a Ushuaia, dove finisce la terra australe e si uniscono le acque degli oceani, immaginando distese enormi e solitarie e trovare una città di sessantacinquemila abitanti, un traffico che nemmeno sulla tangenziale di Bologna nelle ore di punta e negozi di souvenir e di abbigliamento sportivo più fitti degli "Outlet" della Via Emilia: la" fine del mondo" versione 2011.
Basta, però, allontanarsi un po' e fare un giro in barca nel canale di Beagle per scoprire il verde delle acque gelide e la luce lunghissima dei giorni del solstizio d'estate. E ritrovare, nel silenzio e nella vastità dello spazio, la possibilità di fantasticare sulle vicine tempeste di Capo Horne.
B come Buenos Aires
Poco più di quaranta milioni di abitanti in Argentina, tredici milioni nella capitale.
Buenos Aires- si dice - è per il Sud America quello che Parigi è per l'Europa. La città della cultura, dell'arte, dell'eleganza. Saranno pure arroganti gli abitanti, convinti di essere al centro del mondo, ma Buenos Aires rimane un punto di riferimento imprescindibile.
Nessuna citta in tutta l'America latina- tutti lo ammettono - le sta alla pari per bellezza
Un'urbanistica studiata, palazzi ottocenteschi e grandi avenidas simili ai boulevards parigini.
Più di centocinquamila alberi fatti piantare, alla fine dell'Ottocento, lungo tutte le strade, dal geniale architetto e paesaggista francese Charles Thays.
Una città europea.
Se ci sono fisionomie indios, sono quelle dei nuovi immigrati (dalla Bolivia, dal Paraguay o dal Perù...) che hanno sostituito la vecchia immigrazione dall'Europa.
Una città di contrasti, dove l'enorme favela di Villa 21 costeggia il quartiere elegante del Ritiro, e dove, nella periferia, preme la miseria dei nuovi arrivati
B come Boca, il barrio all'imboccatura del fiume, dominato dallo stadio immenso, in cui gioca la squadra di calcio più amata, il Boca junior.
Gli immigrati italiani, soprattutto liguri, si stabilirono qui e lasciarono un'impronta fortissima, tanto che i tifosi del Boca si chiamano ancora "Xeneises", i genovesi.
Le case fatiscenti, all'ombra dello stadio, accolgono, ora, i nuovi immigrati.
Dappertutto miseria, strade sporche e paura.
La facciata del quartiere, però, è una cartolina turistica: le due vie del "Caminito", con le case di lamiera colorata, ristoranti e caffè.
I visitatori arrivano a frotte: si balla il tango, si mangia la parilla e si celebrano, ovunque, tra turismo e verità, i miti di Maradona, Eva Peron e Carlos Gardel.
B come Borges. Uno dei miei scrittori preferiti: impossibile sfuggire alla suggestione di ritrovarlo nella casa dell'infanzia, nella sua biblioteca, nei suoi caffè o nell'ultimo appartamento di calle Maipù. Certo Buenos Aires è cambiata: nel quartiere più amato, Palermo, le boutiques e i bar alla moda hanno sostituito le osterie, in cui si ritrovavano i gauchos arrivati dalla pampa. Inutile cercare la prigione dove don Isidro Parodi risolveva i suoi misteri, rintracciare la casa dell'aleph o identificare la biblioteca che ha la forma dell'universo.
Il giardino dei sentieri che si biforcano, il labirinto dei suoi scritti, però l'ho trovato: è la città stessa, con la sua pianta a scacchiera e le sue strade parallele che si aprono su piazze alberate, da cui si diramano altre strade, che si aprono su altre piazze alberate, all'infinito...
C come cimitero della Recoleta nel cuore del quartiere di lusso, con le pompose capelle funerarie dei padri della nazione. Ma è solo di fronte a una che i visitatori si fermano si fanno fotografare, sostano e pregano: è la cappella della famiglia Duarte, la tomba di Evita.
D come la decorazione lussureggiante dei palazzi ottocenteschi, dal centro ai quartieri popolari.
Purtroppo sempre più rari e sostituiti dagli immobili anonimi della speculazione recente.
Purtroppo sempre più rari e sostituiti dagli immobili anonimi della speculazione recente.
F come fiume. Buenos Aires è nata su un estuario, grande come un mare e con un porto che ha fatto la sua la fortuna, tanto che gli abitanti si chiamano ancora porteňos. Ma non ha l'aria di una città di fiume o di mare. Il rio della Plata lo si percepisce appena, come una presenza lontana e distante e, quando lo si scorge, maestoso e largo da non vederne la fine, è quasi una sorpresa.
N come Natale a 37 gradi, con tutto l'apparato di abeti decorati, neve finta, babbi Natale sudati e renne presumibilmente spossate dall'afa. Enormi panettoni per il cenone della vigilia incombono nelle vetrine di tutti i supermercati.
T come Teatro Colòn, tremila posti, foyer decorati in marmi e stucchi, vetrate importate da Parigi, una sala dall'acustica perfetta.
Il sogno di grandezza della città.
Nella piazza di fronte i piccioni aspettano, all’ombra dei leggii, il prossimo concerto.
T come Tortoni, il caffè dove prendere un doble e una media luna, serviti da camerieri dalla divisa impeccabile e immaginare, in un tavolino appartato, Borges e Cortàzar che conversano fittamente tra di loro.
Ci sarebbe ancora tanto da dire: la piazza de Mayo, la Subte (la metropolitana), calle Florida, il cinema. Non basterebbero le lettere dell’alfabeto, né lo spazio di un post.
Ma almeno "Una frase, un rigo appena", per dirla col titolo di un romanzo di un altro porteňo, Manuel Puig, è d'obbligo:
T come tango.
Suonato nel mercato di San Telmo, dove tra le case colorate, ad ogni angolo, un vecchio cantante, panama in testa e immancabile sigaretta tra le dita, si spaccia per l'erede di "Carlito" Gardel.
Ballato nel chiuso delle milonghe o all'aperto, nel parco di Belgrano.
Non importa se vecchi o giovani, belli o brutti, argentini o stranieri.
Basta (per le signore) portare con sé un paio di scarpe da tango, lasciarsi trasportare dalla musica ed è fatta. Coppie improbabili di vecchi tangueros e giovanissime ragazze, ballerini cinesi, eleganti signori di mezza età: tutti stregati dalla magia del tango.
E ora ?
"Nessuno ci toglierà quello che abbiamo ballato...": dicono da queste parti.
Nessuno ci toglierà le mille sensazioni di un paese che, nel ricordo di un'amica, ci è diventato ancora più caro.
Siamo appena rientrati io e il compaňero e già abbiamo nostalgia e voglia di ritornare, anzi, per citare Gardel, di " Volvèr".
Argentina, adios, o meglio, arrivederci!
E a tutti ovviamente:
“Feliz navidad”
Altre foto saranno pubblicate QUI dal companero, come "Lo zio di Leo", sotto l'etichetta "Argentina" e "Chile".