Nel 1994 Hugo Pratt decide di fare un lungo viaggio nel Pacifico: uno dei suoi desideri è quello di rendere omaggio alla tomba di Robert Louis Stevenson, lo scrittore che ama da sempre e verso cui sente di avere un debito di gratitudine.
I suoi racconti, la sua fantasia e il suo desiderio di avventura gli hanno ispirato molti dei suoi romanzi a fumetti e hanno contribuito a dare vita a un personaggio come Corto Maltese.
Per questo si ferma a Upolou nelle isole Samoa.
Stevenson è uno scrittore già famoso, quando, nel 1890, si è trasferito là con la moglie e i due figli di lei per sfuggire alla tisi che lo sta divorando.
A Samoa il clima caldo è l'ideale per la sua salute, mentre i collegamenti settimanali con l'Australia, gli consentono di mantenere le relazioni con i suoi editori e con gli amici.
È sicuro che là si troverà bene, tanto che ha acquistato una vasta tenuta a Vailima, sulle colline di Apia, la piccola capitale dell'isola e vi ha costruito una grande casa bianca.
Scrive a un tavolo del salotto, dove ha fatto costruire un grande cammino, l'unica traccia della nostalgia che ancora nutre per la sua gelida Scozia.
Con gli isolani ha stabilito, da subito, una grande intesa: subisce il fascino delle loro usanze e ne ha un profondo rispetto.
Lo si vede spesso, esile, con gli occhi vivaci e i baffi ben curati, percorrere a cavallo l'isola, vestito di bianco e con gli immancabili stivali ai piedi, sempre pronto a fermarsi per un saluto.
Si sa che è particolarmente attento a tutelare i diritti dei Samoani e che approfitta della sua fama per inviare in Europa frequenti missive per informare l'opinione pubblica e proteggere la popolazione dalle mire delle potenze occidentali.
A Samoa tutti gli sono grati: lo hanno soprannominato, con affetto, Tusitala, il narratore di storie. Non si sa come, ma suoi racconti sono arrivati ad affascinare anche loro.
Quel 3 dicembre del 1894 non sembra un giorno diverso dagli altri.
Stevenson ha appena finito un capitolo del libro che sta scrivendo, il "Weir di Hermiston", quando si accascia su una poltrona per un malore che pare, da subito, molto grave. Le cure del medico sono inutili.
Muore a quarantaquattro anni nella casa che tanto ama e, con intorno, tutti i suoi familiari.
Da tempo ha espresso il desiderio di essere sepolto sulla cima del monte Vaea, il luogo sacro che domina l'isola e che si può vedere dalla finestra della sua biblioteca. Arrivare fin lassù, però, sembra impossibile: non c'è nessun sentiero e le pareti sono troppo scoscese.
I familiari non sanno come fare, ma ecco che qualcosa di imprevedibile succede.
Non appena la notizia della morte di Stevenson si sparge cominciano ad arrivare a Vailima non solo le autorità e gli amici, ma- prima lentamente e poi sempre più numerosi- i capi dell'isola e i loro guerrieri, fino a formare una vera e propria folla. Qualcuno ne conta addirittura quattrocento.
Lo vegliano, cantando antichi canti e pronunciando, nella loro lingua lenta e cadenzata, le tradizionali frasi dell'addio. Hanno portato con sé quello che hanno di più prezioso, gli "ie tonga", i tappeti di stuoie intrecciate, di cui si servono per le cerimonie sacre e che rappresentano, per loro, ricchezza e posizione sociale. Con quelli ricoprono la bara.
Sono venuti tutti per il loro Tusitala e sono disposti a scalare il monte Vaea. L'impresa non è facile: il caldo è soffocante, le rocce sono scivolose per la pioggia. La vegetazione fitta e i tronchi degli alberi caduti ostacolano il cammino.
Durante tutta la notte, al lume delle torce, riescono ad aprire un primo ripidissimo sentiero: il giorno dopo, si fanno faticosamente strada verso la cima, a tappe forzate, portando a turno, a spalle, la pesante bara di legno, cadendo e rialzandosi più volte, ma sempre proseguendo con ostinazione.
Li segue il corteo dei familiari e degli amici.
Quando arrivano sulla vetta, in uno spiazzo da cui si intravede il mare, circondato da precipizi e da cascate, calano nella terra il feretro cosparso di fiori.
Sudati, stanchi e silenziosi quei guerrieri seminudi e coperti di strani tatuaggi, hanno offerto a Tusitala il più commovente degli omaggi. In quell'isola sperduta, quelli che più d'uno chiama, con una punta di disprezzo, i selvaggi, hanno reso l'onore più grande alla fantasia e al genio di uno scrittore.
Più tardi, la tomba sarà coperta da una lapide con i versi che Stevenson stesso aveva indicato: "Egli riposa qui, dove desiderava riposare.
Dal mare è tornato a casa il marinaio. Dalle colline è tornato il cacciatore".
Quando Hugo Pratt arriva a Upolou il sentiero che conduce alla tomba è del tutto ricoperto dalla vegetazione. "Ho dovuto scalare tronchi enormi, cadere nel fango, ma non ci sono riuscito: racconta.
La tomba di Stevenson l'ho vista dall'alto, da un elicottero neozelandese che mi ci ha fatto volare sopra. È un appuntamento che mi è rimasto nel cuore perché sono sicuro che lassù il profumo del mare è più intenso, i colori sono più vivi, la realtà è più netta e la fantasia è più vicina".
Hugo Pratt racconta la storia di Stevenson e di Samoa nel suo bel libro "Avevo un appuntamento" Edizioni Socrates 1994.