Un abbagliante pendente, databile al IX secolo, in
filigrana d’oro con, al centro, nella parte anteriore, uno zaffiro ovale, tagliato
a cabuchon, dal quale si vede, in trasparenza, una reliquia.
Intorno, inserite nell'oro, lavorato a filigrana e
granulazione, su tutt'e due le facce, ben cinquantatré pietre preziose montate
in funzione della loro forma e del loro colore, tra cui si riconoscono perle, granati, ametiste
e smeraldi.
Sul verso si ripete lo stesso tipo di decorazione, ma lo zaffiro originale è rimpiazzato da un vetro più scuro:
Un
gioiello, straordinario, la cui scia dorata attraversa tutta la storia
d'Europa, a tal punto che le sue vicende potrebbero essere la trama di un film,
in cui scene e costumi cambino continuamente.
Il primo atto si apre nell'anno Mille ad Aquisgrana,
nella Cappella Palatina.
Ottone III, imperatore del Sacro Romano impero, è arrivato lì
per esumare il corpo di Carlo Magno, morto in una fredda notte d'inverno di due
secoli prima.
La scena che gli si presenta davanti è impressionante: il corpo
del grande Carlo sembra ancora intatto, seduto, con la schiena eretta, la
corona e lo scettro e, come avviene per i Santi, pare emanare un profumo
intensissimo.
Tutti ne sono turbati, ma Ottone III non ha esitazioni: dopo aver
prelevato alcune reliquie porta via con sé il medaglione che Carlo Magno
aveva sul petto (per chi voglia approfondire qui è un link).
Un gioiello preziosissimo che si diceva fosse un regalo del
favoloso califfo di Badgad, Harun al-Raschid (niente di meno che il futuro
protagonista delle "Mille e una notte").
L'ambasceria, inviata da Carlo
Magno, era tornata ad Aquisgrana carica di regali di uno splendore mai visto:
le chiavi del Santo Sepolcro, una scimitarra dorata, un orologio a acqua,
tappeti, tessuti, scimmie, leopardi e perfino l'elefante di cui ho parlato qui.
Tra quei doni
c’era anche un magico medaglione ornato da uno zaffiro, la pietra a cui si
attribuiva il potere di vincere ogni inganno.
Devozione e superstizione
all'epoca si mescolano: Carlo Magno si convince che l'influsso benefico della
pietra sarà accresciuto dalle rarissime reliquie del latte e dei capelli della
Vergine che fa inserire al suo interno.
E ne fa il suo talismano.
Lo porta sempre
con sé, legato al petto con due lacci di cuoio, fino a pretendere che sia sepolto con lui.
Dopo il recupero da parte di Ottone III, per secoli del talismano si perdono tracce: probabilmente rimane custodito, tra le oreficerie e i vasi sacri del tesoro della Cattedrale, mentre il suo ricordo sfuma nell'alone indistinto della leggenda.
Ma ecco che, d'improvviso, torna alla luce.
Il secondo atto si apre nella Cattedrale di Aquisgrana illuminata a giorno dalla luce delle candele.
Il secondo atto si apre nella Cattedrale di Aquisgrana illuminata a giorno dalla luce delle candele.
Siamo nell'ottobre del 1804 e
Giuseppina Bonaparte è arrivata da Parigi, per fare- nella città di Carlo
Magno- le prove generali della nuova etichetta imperiale, con un un tour de
force di ricevimenti, di mondanità e di cerimonie religiose.
Ed è proprio nel corso di un
Te Deum nella cattedrale, che il talismano fa la sua splendente ricomparsa.
È il vescovo stesso a
offrirlo a Giuseppina, come ringraziamento a lei e, soprattutto, al suo augusto
consorte, per aver restituito alla chiesa le reliquie confiscate durante la
Rivoluzione.
Sarà per la bellezza dell'oro
e delle pietre o per l'aura del mito di Carlo Magno, ma, da allora in poi,
Giuseppina da quel medaglione non si separa più.
Tanto che alcuni giurano di
averglielo visto al polso, quasi fosse un braccialetto, qualche mese dopo, nel
giorno della sua solenne incoronazione a Imperatrice.
Testimone del
suo momento di gloria, il talismano rimane con lei anche nei
tempi bui, quando, dopo il divorzio da Napoleone, si ritira alla
Malmaison.
E per anni quel gioiello barbarico
spiccherà nel suo portagioie, come un'elemento alieno, tra le sottili filigrane
dei suoi diademi e delle sue collane neo-classiche.
Alla sua morte, Giuseppina lo lascerà all'amata figlia Ortensia, che, a sua volta, lo donerà al figlio. Anche stavolta si tratta di un imperatore: Napoleone III.
Il terzo atto prevede un nuovo cambio di scena.
Alla sua morte, Giuseppina lo lascerà all'amata figlia Ortensia, che, a sua volta, lo donerà al figlio. Anche stavolta si tratta di un imperatore: Napoleone III.
Il terzo atto prevede un nuovo cambio di scena.
Siamo nel
sobborgo londinese di Chislehurst nella camera da letto di Napoleone
III, in esilio in Inghilterra dal 1870, dopo il crollo del suo Impero.
Il talismano poco o nulla ha
potuto contro la mala sorte.
Ma la moglie, la
religiosissima imperatrice Eugenia, convinta, malgrado tutto, dell'influsso
benefico del gioiello, è riuscita a portarlo fortunosamente in Inghilterra,
sottraendolo a ogni tentativo di confisca.
Lo ha voluto con sé quando ha dato alla luce l'erede con l'idea, forse, di trasmettergli quel potere imperiale che pensava fosse legato al medaglione.
Lo ha voluto con sé quando ha dato alla luce l'erede con l'idea, forse, di trasmettergli quel potere imperiale che pensava fosse legato al medaglione.
E ora che le sue ambizioni
sono finite lo custodisce, nella camera del marito in un reliquiario a
tempietto che ha commissionato a un orefice alla moda.
E, finché può, non intende privarsene.
In realtà, le peregrinazioni del talismano non finiscono qui: manca ancora l'ultimo atto.
E, finché può, non intende privarsene.
In realtà, le peregrinazioni del talismano non finiscono qui: manca ancora l'ultimo atto.
Siamo finalmente ai giorni nostri e in una sala del palazzo del Tau, annesso alla cattedrale di Reims, a cui l'imperatrice Eugenia lo ha donato dopo la morte del marito, il prezioso talismano si offre, nella sua vetrina, alla curiosità dei visitatori e, magari, si presta pure a qualche selfie.
Ma guai a confonderlo con un qualsiasi, sia pur
bellissimo, pezzo di oreficeria.
Basta ripensare
alla mani imperiali che lo hanno sfiorato e alla fama che lo ha accompagnato nel
corso dei secoli, per ritrovare ancora intatta, nel baluginio dell'oro e
delle gemme, la sua antica magia.