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venerdì 26 luglio 2013

Tempo d'estate: "A bigger splash" di David Hockney




In questi giorni bollenti di anticicloni dai nomi infernali e di un inaspettato caldo bruxellese, ho deciso di lasciare  in disparte i miei soliti racconti d'arte per rivestire il blog della leggerezza di immagini estive.
Dopo i colori squillanti della “Red canna” di Georgia O’Keeffe (qui), è ora il turno di una pausa rinfrescante col tuffo nella piscina più famosa dell’arte contemporanea, quella di  "A bigger Splash" di David Hockney, ora alla Tate Gallery di Londra.


Un dipinto notissimo, riprodotto un infinità di volte, una grande tela che ha il formato di un quadrato quasi perfetto (2,42x2,43).
Una giornata soleggiata, un cielo blu e senza nuvole, due palme, una villa a un piano con una porta vetrata  e una sedia vuota. 
Tutto parrebbe immobile e silenzioso, se un trampolino in primo piano e un grande schizzo d'acqua nella piscina non facessero pensare che qualcuno si sia appena tuffato.
Tutte le tinte, comprese quelle ocra e rosate dell'edificio, parlano del caldo dell'estate.

Siamo nel 1967 e David Hockney è da poco andato a vivere in California, il paese dal cielo eternamente blu, come quello descritto, appena l’anno precedente, nella canzone dei Mamas and Papas.
Quella "California dreamin’ "che ha scalato ogni  classifica e che si ascolta dappertutto: il testo fa immaginare un luogo di sole e di dolcezza.

Quando David Hockney, nel 1961, è arrivato da Londra negli Stati Uniti ha ventiquattro anni ed è alla ricerca non solo di quella luce abbagliante che ha visto nei film  ma, soprattutto, di libertà e di tolleranza. 
Ha deciso di trasferirsi in America per vivere la propria omosessualità, senza le difficoltà e i pregiudizi che ha subito in Inghilterra ed è sbarcato a New York con i suoi capelli decolorati e la sua eleganza eccentrica da dandy, portando con sé tutta la sua voglia di dipingere. 
Due anni dopo, si è trasferito in California, "dove c’è sempre sole e la gente è più rilassata":-così, almeno, scrive nel suo diario.
"Quando sono arrivato non avevo idea se ci fosse un qualche tipo di vita artistica, ma questa era l'ultima delle mie preoccupazioni".
In realtà, l’ambiente che trova è ricco di incontri e di stimoli. Quel posto gli piace davvero.
Anche se vive gran parte del tempo a Berkeley, dove insegna all'università,  per lui la California rimane  quella di Los Angeles, con le sue ville, la sua aria di eterna vacanza, le sue palme.
E anche le sue piscine, che sono diventate il segno distintivo del paesaggio e di una maniera spensierata di vivere. 
Ed è proprio a quella California che Hockney dedica il suo dipinto.

Basandosi sulla foto pubblicitaria di un libro per costruttori di piscine, elabora un quadro che diventa, da subito, il simbolo di uno stile di vita. 
Il turchese dell’acqua domina la composizione, insieme all'azzurro  del cielo, mentre  il giallo della linea obliqua del trampolino serve a dare un'impressione di profondità.  
La villa, le palme dagli esili fusti e la sedia da regista ci ricordano che siamo a Hollywood. 
Se ci lasciamo prendere dalla suggestione cinematografica, il quadro può sembrare il fotogramma di un film, l'illustrazione del brano di una sceneggiatura, con il protagonista, forse un attore o un ricco produttore, che si è appena tuffato, nell'ora, in cui il sole è più alto.
Un uomo: mi immagino. Non so perché, ma penso che una donna avrebbe lasciato più tracce del suo passaggio, magari un cappello o un paio di occhiali da sole sul bordo della piscina. 
Invece tutto è vuoto e immobile: l'unico movimento è nello spruzzo che increspa l'acqua.

I colori, applicati con l'aiuto di un rullo, (solo i dettagli come la palma, erba, il riflesso della finestra o la scia bianca  sono dipinti con pennelli sottili) danno l’idea della foto di una rivista in carta patinata.
L'immagine di un piccolo mondo perfetto che potrebbe sembrare l'antitesi della malinconica visione della solitudine delle città americane, dipinte, qualche anno prima, da Edward Hopper.

Qui, invece, è inutile cercare significati nascosti e chiedersi cosa ci sia davvero dietro il sogno.
In fondo quello che Hockney vuole fissare sulla tela è solo il tempo breve di un istante. Il fascino del dipinto sta tutto nella vitalità, nella facilità, nella solarità  della pittura.
Tutto il resto, le inquietudini  le difficoltà del vivere o le disillusioni, devono rimanere al di là della cornice.

Ben più di quarant'anni sono trascorsi, la California, ormai, non è più il luogo di un sogno, ma il quadro è ancora capace di catturarci nella trappola dei suoi colori.
Basta davvero poco per abbandonarsi e immaginare di tuffarsi in quella piscina azzurra, lasciando, che, dietro di noi, tutti i pensieri evaporino come gocce d'acqua al sole, nella scia bianca di un grande splash.





Qui la colonna sonora non può  essere che "California Dreamin'" dei Mamas and papas (qui) oppure- se proprio si vuole- "Sognando la California, l'inevitabile versione italiana dei Dik Dik (qui).

Per quanto riguarda il "sogno americano", in uno dei più bei blog che seguo, "Nine hours of separation" (qui è il link), si parla anche (e non solo) delle contraddizioni della vita nella California di oggi.