"Se noi vedessimo la realtà con quegli occhi, ci coglierebbero le vertigini"
(H. Focillon)
Può un dipinto contenere l’universo, può un pittore dipingere tutto quello che gli si presenta sotto occhi, senza dare priorità, senza fare una scelta tra l’infinita varietà dell’universo sensibile?
Sì, se il pittore è Jan Van Eyck (1390 circa-1441) e il quadro è la Madonna del canonico van der Paele, del Groeninge Museum di Bruges:
Siamo nel 1436 e in Italia si è già bruciata la meteora fulminea e folgorante di Masaccio, morto qualche tempo prima ad appena ventisette anni, dopo aver cambiato per sempre, grazie all’uso della prospettiva matematica, la maniera di raffigurare il mondo (ne abbiamo parlato qui)
Quella di van Eyck è una rivoluzione altrettanto radicale: nei suoi dipinti, però, non è l’uomo a osservare il mondo e a rappresentarlo a sua misura, ma è il mondo esterno a entrarvi prepotentemente con tutta la sua varietà.
La scena sacra con il canonico Joris van der Paele, presentato alla Madonna da due Santi, è ambientata nell’abside della chiesa di san Donaziano, a Bruges, con la luce chiara che entra dalle finestre e il pavimento coperto da un sontuoso tappeto.
È una “Sacra conversazione”, una sorta di visione, di colloquio interiore tra la Madonna, i Santi e il committente, ma è resa con una tale attenzione al dettaglio da diventare tangibile e reale.
Ed è disseminata di particolari da scoprire poco a poco, tanto che i volti dei protagonisti o il più minuto decoro di un tessuto, finiscono per avere la medesima importanza.
Ed è disseminata di particolari da scoprire poco a poco, tanto che i volti dei protagonisti o il più minuto decoro di un tessuto, finiscono per avere la medesima importanza.
È come una serie di scatole cinesi, una “mise en abime”, dove ogni singolo frammento ne rivela altri, tutti trattati con la stessa assoluta esattezza e dove valore simbolico e realtà si mescolano indissolubilmente.
Basta osservare da vicino il trono, su cui siede la Vergine, per scoprire che le figure ai lati, non sono motivo ornamentali, ma le rappresentazioni di due scene sacre, "Caino e Abele" e "Daniele e il leone", che alludono alla Passione di Cristo.
La Madonna, dai lunghi e fini capelli biondi, tiene, tra le braccia, il Bambino che gioca con un pappagallino.
Anche qui realtà e simbolo si mescolano: il pappagallo è uno quegli uccellini che, trattenuti con una corda, erano riservati ai giochi dei bambini, ma simboleggia anche l’Annunciazione perché il suo verso ricorda la parola “Ave”.
Nel piccolo mazzo di fiori che la Madonna regge tra le mani, i fiori bianchi sono il simbolo della sua purezza verginale, mentre quelli rossi preannunciano il sangue della Crocifissione
San Donaziano, il santo vescovo, cui è intitolata la chiesa, è abbigliato con un ricco piviale azzurro a disegni dorati e ha, in mano, il pastorale sormontato da una croce dorata e un candeliere con le candele accese, che evocano la fede cristiana.
San Giorgio, il santo protettore del canonico, si toglie l’elmo in segno di deferenza, con un gesto di cortesia cavalleresca.
Tra i bagliori metallici della sua fulgente corazza si intravede il riflesso rosso del manto della Madonna.
Nel ritratto di van der Paele la pittura di van Eyck rivela tutta la sua capacità di descrivere, non solo le fattezze, indagate in ogni loro minima imperfezione, ma anche l'espressione di uno stato d’animo di raccolta e silenziosa meditazione.
L’anziano canonico, vestito con una semplice tunica bianca, era un facoltoso mercante di pesce che ha raggiunto una importante carica ecclesiastica. Per questo ci tiene a mostrare il libro e gli occhiali, completi di custodia in pelle, che testimoniano la sua nuova qualità di erudito.
Tutti i dettagli, su cui si è posato lo sguardo del pittore, sono immersi in una luminosità chiara e omogenea.
Van Eyck, per raffigurarli, usa la tecnica della pittura a olio, di cui, secondo Vasari, sarebbe l’inventore: i colori a olio, più brillanti e vividi di quelli a tempera, seccano più lentamente e consentono di creare velature sottilissime che restituiscono non solo l'incidenza della luce, ma anche la consistenza dei singoli oggetti.
Van Eyck lo ha compreso benissimo
Come se fosse un tessitore, sa dipingere la differenza percettibile delle stoffe. i nodi più ruvidi del tappeto, la morbidezza vellutata del damasco del piviale del San Donaziano, la pesantezza del manto rosso della Madonna o la grana soffice della lana della veste e della pelliccia del canonico.
Come se fosse un gioielliere, sa dipingere tutte le pietre preziose, fino alla finezza della filigrana dorata che orna il bordo della veste della Madonna.
Come se usasse il microscopio, sa rendere ogni piega, ogni ruga, quasi ogni poro della pelle delle mani di van der Paele, così come ogni sfumatura delle penne del pappagallino o i riflessi della sottile fede dorata che la Madonna porta alla mano sinistra.
È come se nei suoi occhi, nella sua retina, si fosse impresso il mondo intero.
La sensazione che provoca è vertiginosa.
In un racconto di J.L. Borges il protagonista, Ireneo Funès, ha una memoria capace di ritenere ogni evento, pur minimo, della vita, senza poter dimenticare niente.
In un racconto di J.L. Borges il protagonista, Ireneo Funès, ha una memoria capace di ritenere ogni evento, pur minimo, della vita, senza poter dimenticare niente.
Mi sembra che van Eyck condivida la stessa facoltà.
In lui, però, è la vista che trattiene tutto quello, su cui si fissa e che lo restituisce in pittura.
Per il Funès di Borges il potere di ricordare è maledetto, una condanna che gli impedisce di vivere.
In van Eyck, invece, la possibilità di comprendere tutto attraverso lo sguardo, sembra associarsi alla meraviglia, al desiderio di condividere la varietà del visibile e a uno stupore senza limiti di fronte all’infinita bellezza del mondo.