Si può sempre leggere un'opera d'arte in modi diversi. Soprattutto quando il soggetto è sfuggente, come in questo ritratto della favorita del re Enrico IV di Francia, Gabrielle d'Estrées, raffigurata in una posa a dir poco imbarazzante.
Nel post precedente ho parlato di un'interpretazione del soggetto legata alla gravidanza di Gabrielle e alla possibilità di diventare regina (QUI è il link).
Ma basta guardare di nuovo il quadro, un vero e proprio teatrino con tanto di quinte e palcoscenico, per accorgersi che siamo di fronte a una messa in scena, dove un regista-pittore ha mescolato più di una trama.
Il sipario si alza ed entra in scena la protagonista, Gabrielle.
Non si può negare che sia una vera bellezza: un'esile bionda dalla pelle candida, con le sopracciglia depilate e ridisegnate e una bocca a cuore da fare invidia a una diva del cinema degli anni '20.
Dietro la sua espressione imperscrutabile, sta forse ripensando al percorso che l'ha portata alla soglia del trono, a partire dal primo incontro con Enrico, quando era solo una diciassettenne dalla reputazione dubbiosa.
Era allora l'amante in carica di un ricco aristocratico, ma, spinta dalla famiglia e dall'ambizione, non ha esitato a lasciarlo per quell'uomo brutto, poco avvezzo all'eleganza e alla pulizia e- a quel che si dice- donnaiolo impenitente.
Era allora l'amante in carica di un ricco aristocratico, ma, spinta dalla famiglia e dall'ambizione, non ha esitato a lasciarlo per quell'uomo brutto, poco avvezzo all'eleganza e alla pulizia e- a quel che si dice- donnaiolo impenitente.
Lui ne ha fatto, da subito, la sua favorita.
Conservare quel ruolo non è stato, di certo, facile.
A corte le malelingue dicono peste e corna dei suoi parenti: nei pettegolezzi più correnti allo scandalo della madre, fuggita con un giovane amante, si aggiunge quello delle numerose gravidanze della sorella, badessa di un convento. Non bastasse, si mormora che un'altra sorella abbia attentato alla virtù di un frate mostrandosi a seno nudo.
Insomma, molti ammettono, a mezza voce, che il soprannome di "sette peccati capitali", affibbiato alle donne della famiglia, non potrebbe essere più azzeccato.
Gabrielle sa bene che il popolo la detesta. Fin dalla sua prima apparizione pubblica in una caccia al seguito del re, l'hanno giudicata una sfrontata, perché non cavalca all'amazzone- come impone l'etichetta- ma come un uomo, lasciando intravedere le gambe inguainate in peccaminose calze di seta verde.
La sua passione per le pietre preziose e per le perle luccicanti, le sue feste sfrenate e il suo amore per il lusso sono talmente esibiti da essere insopportabili per chi vive nella miseria, tanto che l'hanno soprannominata "Duchesse d'ordure, duchessa del sudicio".
I soliti maldicenti si spingono a insinuare che abbia conquistato il re con qualche maleficio da strega.
Non si capisce altrimenti la smania di Enrico per sposarla in un'unione che molti considerano "una macchia sull'onore della Francia".
Soprattutto mentre cortigiani e ambasciatori sono al lavoro per trovare al re una sposa più adeguata e già si parla di un'italiana piena di soldi.
Basta solo un sentore di stregoneria ed ecco che chi è dotato di fantasia più fervida può colorare il soggetto di tinte sulfuree e un po' osé e immaginare che nel dipinto si celebri qualche oscuro rituale di magia e seduzione.
C'è chi ha detto che la vasca da bagno potrebbe essere colma di latte, che secondo la tradizione rendeva più candida la pelle, se non addirittura di sangue, come in certe favole crudeli e paurose.
Il gesto di stringere il capezzolo sarebbe, allora, la manifestazione di un amore illecito, mentre la raffigurazione di un uomo seminudo in una posa oscena, nel quadro che si intravede sul cammino, alluderebbe al potere dei sensi, con cui Gabrielle tiene incatenato il re.
Un'interpretazione possibile, ma non l'unica. Il gesto di stringere il capezzolo sarebbe, allora, la manifestazione di un amore illecito, mentre la raffigurazione di un uomo seminudo in una posa oscena, nel quadro che si intravede sul cammino, alluderebbe al potere dei sensi, con cui Gabrielle tiene incatenato il re.
Perché nel teatro del quadro è sufficiente cambiare il punto di vista per far mutare il soggetto.
Se un riflettore illuminasse nel buio dello sfondo, uno a uno, tutti i dettagli della scenografia, dallo specchio nero sulla parete, alle braci che si stanno spegnendo nel cammino, o al tavolo coperto da un panno scuro come un catafalco, la trama passerebbe subito dall'erotismo al dramma. E la dama di compagnia, intenta a cucire, si trasformerebbe in un'antica Parca, pronta a tagliare i fili del destino della bella favorita.
Il soggetto si tingerebbe, così, di giallo e la scena in primo piano diventerebbe il preannuncio della fine: la donna bruna, una vera e propria dark lady, forse la nuova bellezza su cui Enrico ha messo gli occhi, alluderebbe, col suo gesto beffardo, all'inutile gravidanza di Gabrielle, mentre l'anello donato dal re sta lentamente scivolando dalle dita.
Il regista-pittore, quando esegue il dipinto, sa già com'è andata finire e che quel matrimonio non si farà.
Nella settimana di Pasqua del 1599, pronta alle nozze e in cerca solo dell'abito da sposa, Gabrielle arriva a Parigi e prende alloggio nel palazzo di un ricco banchiere fiorentino.
D'improvviso si sente male. I dolori si fanno sempre più forti fino a culminare in un'agonia tremenda: le convulsioni non le danno tregua, i lineamenti del volto sono contratti e deformati, la pelle è diventata scura, quasi nera.
D'improvviso si sente male. I dolori si fanno sempre più forti fino a culminare in un'agonia tremenda: le convulsioni non le danno tregua, i lineamenti del volto sono contratti e deformati, la pelle è diventata scura, quasi nera.
Il suo aspetto è così orribile che qualche benintenzionato va a fermare il re che vorrebbe correre da lei, sicuro che non potrà reggere a quella vista.
Dopo due giorni di cure inutili il medico conferma la morte.
"Qui c'è la mano di Dio":- commenta.
Qualcuno pensa, invece, che ci sia la mano del diavolo.
Macché Dio o diavolo! I più sospettano che ci sia di mezzo solo un potente veleno: strega o no, Gabrielle era diventata scomoda per tutti.
Il re piange, urla che è disperato e che la sua vita è finita.
In un atto di omaggio, inaudito per una favorita, decide di indossare gli abiti del lutto.
Dopo qualche mese si prende come amante una dama di corte bruna come la donna del dipinto e, l'anno successivo, sposa la ricca italiana, Maria de' Medici, rimpinguando le casse esauste dello stato con i soldi dei Granduchi fiorentini.
La vita della corte continua come prima e, poco a poco, di Gabrielle non si parla più.
Il ricordo della sua sorte rimane affidato ai simboli ambigui di un quadro.
Nel suo libro "Un enigma color porpora", Longanesi 2009, Wolfram Fleischhauer, ripercorre la storia del dipinto e la biografia di Gabrielle.