"Il disappunto che proviamo davanti alle nostre fotografie
nasce dall'assurda convinzione di conoscerci" (G.Freund)
Da sempre sono attratta dalle
fotografie che ritraggono gli scrittori, come se conoscerne i tratti del volto mi facesse capire qualcosa
di più sugli autori dei libri che ho amato.
Per questo sono rimasta affascinata dalle foto di Gisèle
Freund, scattate tra il 1933 e il 1939 ed esposte in una mostra, organizzata, l'anno scorso, a Parigi dalla
Fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent: "L'oeil frontière".
Ne
ho scelte solo alcune da pubblicare, rintracciandole su internet, e la scelta non è stata facile. Nessuna è banale e tutte sono capaci di evocare le sfaccettature complesse di una personalità.
Ha appena ventidue anni,
Gisèle Freund, ed è ancora una studentessa quando si rifugia a Parigi, nel 1933, scappando
dalla Germania nazista: la sua
origine ebraica e il rullino di foto che ha scattato di nascosto a testimonianza della violenza della polizia contro gli
studenti, l'hanno costretta alla fuga.
Non ha passaporto,
non sa il francese, ma sa fotografare,
fin da quando il padre, per il suo quindicesimo compleanno, le ha regalato una
Leica.
Alla prestigiosa facoltà di Sociologia di Francoforte, dove si è
iscritta, ha scelto, non a caso, una tesi
sulla "Fotografia francese del XIX secolo".
Arrivata a Parigi, comincia a guadagnare qualche soldo, adattando
a camera oscura una stanza d'albergo e dedicandosi
a un genere che sente particolarmente congeniale, quello dei ritratti.
I suoi clienti sono i commercianti o i negozianti del quartiere.
La sua passione, insieme
alla fotografia, è, da sempre, la letteratura.
Il caso (o il destino, che poi è la stessa
cosa) la porta, in una fredda giornata di marzo, sulla riva sinistra della
Senna, in rue dell'Odéon.
Là- come ricorda lei stessa- tra un negozio di antiquariato con un gatto acciambellato su una sedia Luigi XIV e una latteria in cui sono
ammucchiate scatole di formaggi, scopre, al numero 7, la porta di una libreria, tutta
dipinta di grigio, sovrastata da una grande insegna "Maison des amis du
livre. Societé de lecture". Il richiamo è irresistibile.
Entrare là sarà
la sua fortuna.
La proprietaria, Adrienne Monnier, è un gran personaggio.
Lettrice raffinatissima e cuoca eccellente, pubblica,
a sue spese, una rivista, per cui scrivono i maggiori esponenti dell'avanguardia letteraria francese.
Le due diventano subito amiche.
Sarà Adrienne a
presentarle Sylvia Beach, che,
all'epoca, gestisce, proprio sull'altro lato della strada, niente di meno che la "Shakespeare & Co.", la mitica
libreria, frequentata da tutti gli scrittori anglofoni (e no) di Parigi, di cui
hanno parlato le mie due amiche blogger-bibliofile (qui e qui).
"Non esiste un
volto più affascinante di quello di una persona capace di creare”: aveva
scritto Gisèle.
Adrienne Monnier e Sylvia Beach le forniranno la chiave per
entrare nel mondo chiuso degli scrittori. Poi sarà il "passa-parola"ad assicurarle i contatti.
Il primo a farsi ritrarre è André Malraux che, giusto l'anno prima, ha vinto il premio
Goncourt con il suo libro "La condizione umana".
Fotografato sulla
terrazza del suo piccolo appartamento, sfoggia un'aria da
romantico rivoluzionario, con una sigaretta accesa tra le labbra, i cappelli lunghi spettinati dal vento e il volto imbronciato.
Niente studio, niente pose o ritocchi: così a Gisèle piace ritrarre i "suoi" scrittori.
Gli unici consigli che
dà sono quelli di indossare qualcosa di chiaro e di radersi bene, prima di
iniziare a scattare.
Per ritrarre James Joyce, comincia a usare la pellicola a colori, con una tecnica, messa a
punto da Kodak e Agfa appena due anni prima.
I colori, che ora ci sembra diano alle foto un effetto
acquerello, erano poco saturi e evanescenti già nelle prime stampe.
Comunque a
Gisèle piacciono e le sembra che, rispetto al bianco e nero, diano l’aria di
una maggiore verità.
Joyce, tra gli
appassionati e i letterati era, allora, già un mito.
Stanco e malato si trovava a Parigi per presentare "Finnegans Wake".
Malgrado non stesse bene concede a
Gisèle ben tre sedute.
Lei scatta
moltissime foto, in cui riesce a cogliere tutta la fatica e la malinconia dello
scrittore.
"Un fotografo- dice- deve leggere un viso come si legge la pagina
di un libro e deve essere capace di decifrare anche quello che è nascosto tra le
righe"
Ed ecco l’immagine di Jean Paul Sartre.
È in giacca e cravatta, pipa in mano e libreria carica di libri sullo sfondo.
Lo sguardo, dietro gli occhiali tondi è assorto e riflessivo. Tutto è così ben accomodato da dare l'impressione di qualcuno che posi da intellettuale.
Colette, invece, è scapigliata, gli occhi e le labbra ben truccati, con una camicia rossa e l’aria da attrice tragica, mentre, assorta, sta scrivendo al suo tavolo di lavoro.
Gisèle Freund sceglie di
fotografare solo gli scrittori che ama.
Quando va da loro- racconta lei stessa- non parla mai di come ritrarli ma dei lori libri,
fino a sorprenderli nel momento in cui le pare rivelino, più liberamente, qualcosa di sé.
A volte si concentra
solo sul volto, a volte, invece, preferisce uno sfondo, fatto, comunque, di pochissimi elementi.
Qui la grande mano rossa che spicca, quasi fosse un'insegna, fa risaltare il pallore di uno stralunato Jean Cocteau.
"Rivelare l'uomo all'uomo, creare un linguaggio universale, accessibile a tutti rimane per me il compito fondamentale della fotografia"- diceva Gisèle.
Il medaglione in gesso col volto di
Giacomo Leopardi è messo quasi a confronto con quello liscio di un elegantissimo André
Gide, che sfoggia un raffinato foulard di seta al collo e un'espressione grave e pensierosa.
Virginia Wolf, incontrata in Inghilterra, le appare in profilo sullo sfondo di un affresco
della sorella Vanessa "fragile e luminosa come l'incanto stesso della sua
prosa".
Ma ne sa rivelare, nello sguardo vuoto e nel gesto nervoso, con cui tiene aperta la pagina del libro che sta sfogliando, tutta la segreta disperazione.
Il catalogo della mostra
si chiude con questo ritratto.
Non così la vita di
Gisèle Freund.
Nel 1940 le truppe naziste arrivano a Parigi, Gisèle
deve fuggire un'altra volta. La sua meta sarà l'Argentina e, poi, il Messico e
gli Stati Uniti. Lavorerà per la "Magnum" con Robert Capa e per "Life", fino a
diventare una leggenda della fotografia.
I suoi ritratti di scrittori e di artisti faranno scuola.