Cosa rappresenterà mai questa immagine?
Potrebbe essere un tempio cambogiano, una costruzione azteca, un'opera di Gaudì o, piuttosto, la scenografia di un film di Hollywood...
Potrebbe essere un tempio cambogiano, una costruzione azteca, un'opera di Gaudì o, piuttosto, la scenografia di un film di Hollywood...
Siamo in
Francia, nella cittadina di Hauterives, tra Grenoble e Valence e questo palazzo
è l'opera del "facteur Cheval", il postino Cheval (qui è il link al
sito).
Nulla a che fare con l’ambiente artistico: l’autore di questo
straordinario edificio, Ferdinand Cheval (1836-1924) è un dilettante che ha
lavorato tutta la vita come impiegato delle poste.
Figlio di contadini, ha abbandonato la scuola a tredici anni. Soldi in casa ce ne sono stati sempre pochi e, di sicuro,
non ha avuto la possibilità di frequentare l'accademia di belle arti o lo
studio di un qualche artista.
Né ha alcuna conoscenza di architettura, o, tanto meno, di scienza delle costruzioni.
E allora come ha fatto a edificare un palazzo come
questo?
Tutto inizia- lo racconta lui stesso- con un sasso.
Una sera d'aprile
del 1879- ha, allora, quarantatré anni- sta rientrando dal suo consueto giro di
consegne. Fa sempre lo stesso tragitto di una trentina di
chilometri per strade e sentieri di campagna, quando, stanco e distratto, inciampa in
una pietra.
Chiunque si sarebbe limitato a rimettersi in piedi, magari
imprecando. Lui, no. Si rialza, guarda il sasso e lo trova stranamente
simile a quello che gli è apparso in un sogno.
Non lo se la sente di buttarlo
via, anzi, decide che sarà quello il primo pezzo della sua collezione. Da allora in poi,
ogni giorno, sceglie le pietre più belle che trova e se le porta a casa.
Dapprima si limita
alle più piccole, che tiene in tasca o nella sua capace borsa da postino. Quando inizia a raccoglierne di più pesanti, si porta dietro addirittura
una carriola.
Accumula le pietre in mucchi sempre più grandi, finché un
giorno, armato di calcina e cazzuola, decide di mescolarle con delle conchiglie
e di costruire qualcosa in un pezzo di terra che ha comprato vicino a
casa. In mente non ha alcuna idea precisa.
Pensa, all'inizio, di farne una fontana, poi aggiunge una scultura, poi una guglia, poi un arco, fino ad
arrivare, piano piano, a un intero edificio.
Vorrebbe che diventasse la sua tomba, come si usava per gli antichi faraoni: sarà questo il suo "Palais idéal".
Postino
di giorno, muratore di notte, alla luce di una lampada a petrolio, non cessa
mai di migliorare la sua costruzione.
Ci
lavorerà per più di trent'anni. Anzi, come calcola lui stesso con orgogliosa
esattezza: 33 anni pari a 10.000 giorni e a 93.000 ore e utilizzerà più di 100.000
pietre.
Per la sua costruzione non segue un progetto: lavora a braccio, giorno dopo
giorno, ispirandosi alle cartoline e alle illustrazioni delle riviste che gli
capitano sotto gli occhi per il suo mestiere.
Mescola insieme motivi tratti
dalla Bibbia, dalla mitologia indù e dalle decorazioni dei templi egizi. Potrebbe risultarne un guazzabuglio. Ne viene
fuori, invece, un edificio favoloso, formato non da stanze, ma da
grotte e cripte, in cui si intrecciano, alberi, sculture, guglie, colonne, camminamenti e scale e dove, nelle nicchie, compaiono, alla rinfusa, piccoli templi indù e pagode
cinesi, la Casa bianca e uno chalet svizzero.
Su un lato, tre gigantesche figure
fanno riferimento ai numi tutelari del suo pantheon privato: Giulio Cesare e
Vercingetorige, il conquistatore e il difensore della Gallia, a cui bizzarramente
aggiunge Archimede, il più grande
inventore dell'antichità.
Non mancano nemmeno le lapidi con iscrizioni di motti e di proverbi. In disparte, dentro un'apposita nicchia, riesce a inserire perfino la sua fedele
carriola.
Il palazzo, nato dalla sua fantasia, potrebbe essere effimero, come uno di quei castelli, che si fanno da bambini in riva al mare, facendo scivolare la sabbia umida dalle dita. E, invece, alla fine, diventa una costruzione lunga 26 metri e alta fino a 11.
Un'impresa gigantesca per un uomo solo.
Nel 1914 Cheval ha quasi ottant'anni, ma non smette di lavorare: il comune rifiuta di accordargli il permesso
di essere sepolto dentro il suo palazzo.
E, allora, per altri otto anni, ricomincia
ostinatamente a costruire il proprio mausoleo, ma questa volta all'interno del cimitero.
Lo chiamerà la "Tomba del silenzio e del riposo senza fine".
Lo chiamerà la "Tomba del silenzio e del riposo senza fine".
I suoi
concittadini scuotono la testa e lo prendono per matto.
Per quelli che vengono da fuori e per i turisti, invece, è
diventato un'attrazione, tanto che il suo palazzo e il mausoleo cominciano a
comparire nelle cartoline della zona.
Il vecchio postino ne è lusingato.
Ha
raggiunto quello che voleva: dimostrare, come afferma nella sua autobiografia, che con la volontà si ottiene tutto. Dello status di artista poco gli interessa.
Saranno, invece, proprio gli artisti a scoprirlo, qualche anno dopo la sua morte.
E il primo non poteva che essere uno dei padri fondatori del surrealismo, André
Breton, che gli dedica una poesia.
Sarà poi il turno di Picasso,
che intitola al palazzo del "facteur Cheval" dodici dei suoi disegni,
e di Max Ernst che lo sceglie come soggetto di un suo quadro. Fino ad
arrivare a Jean Tingueley e Niki de Saint Phalle che ne trarrà ispirazione
per il suo "Giardino dei Tarocchi" a Garavicchio in Toscana (qui è il link)
Il Palais idéal è diventato famoso: manca solo di classificarlo come opera d'arte. Lo farà, nel 1969, l'allora ministro della Cultura, lo scrittore André Malraux, facendolo rientrare, con tutti i crismi, all'interno del patrimonio artistico francese.
Di un altro costruttore di sogni, Sir Edward James, ritratto da Magritte nella sua "Riproduzione vietata" e della sua città costruita all'interno della foresta messicana ho parlato qui