lunedì 21 ottobre 2013

Le "Nature morte" di Zurbaran: il "dio delle piccole cose"





A Ferrara, in Palazzo dei Diamanti, ho visto di recente una bella mostra (qui è il link al sito e qui a una recensione) dedicata a uno dei più grandi pittori spagnoli: Francisco Zurbarán (1598-1664).
Due dipinti mi hanno colpito: due nature morte che, se non si imponessero con la forza della loro intensità, rischierebbero di passare inosservate tra le raffigurazioni di frati dagli occhi ardenti, di estasi metafisiche e di aeree apparizioni dell'Immacolata Concezione. 
Uno è questo:



Il piccolo dipinto, datato 1630, oggi conservato alla National Gallery di Londra, è tagliato sui due lati, tanto da far pensare che facesse parte originariamente di una composizione più ampia. 
Su un fondo scuro, emerge una tazza di ceramica bianca colma d'acqua, posata sopra un vassoio argentato, a cui è appoggiata una rosa dai petali aperti. La prospettiva inversa conferisce agli oggetti una grande evidenza, mentre la luce mette in rilievo il candore della tazza e la trasparenza dell'acqua. 
I petali della rosa, resi con pennellate delicatissime, si riflettono nell'argento del vassoio come in uno specchio.
La presenza dell'acqua e della rosa rappresenta, probabilmente, un omaggio alla Madonna: la limpidezza dell'acqua potrebbe simboleggiarne la purezza, mentre il fiore alluderebbe all'appellativo di "rosa mistica", riservato abitualmente alla Vergine.

Anche nell'altra tela, datata intorno al 1650 e oggi conservata al Prado, la composizione è di un'assoluta sobrietà.




Sopra il ripiano di un tavolo di legno, su uno sfondo quasi nero, sono allineati quattro recipienti. La luce, che proviene da sinistra, ne mette in evidenza i diversi materiali: dal metallo dorato, alla terracotta di un colore ocra rossiccio, alla ceramica bianca. Il primo e l'ultimo poggiano su due vassoi argentati.
Le ombre non si sovrappongono e ognuno dei vasi è dipinto come fosse isolato. Il che conferisce alla tela una grande monumentalità. 

Due quadri, tra cui intercorre più di un ventennio, due nature morte tra le poche di Zurbarán arrivate fino a noi. 
Niente a che vedere con gli analoghi dipinti seicenteschi, destinati a ornare i sontuosi saloni dei palazzi aristocratici o le dimore dei ricchi borghesi. Nessuna traccia degli scintillii dei tessuti preziosi, della delicatezza dei fiori rari, dello splendore dei vetri lucenti che si ritrovano, ad esempio, nelle nature morte fiamminghe.
Qui ci sono solo gli oggetti banali di tutti i giorni, resi con una semplicità assoluta e priva di ogni elemento superfluo. 
Tutt'e due le tele sono talmente austere ed essenziali che vi si può avvertire- anche là dove i simboli religiosi sono assenti- l'atmosfera dei quadri destinati alla contemplazione e alla devozione. 
Un vero e proprio invito alla meditazione, adatto a figurare sulle pareti di qualche cella monastica, più che a essere inserito in un arredamento profano. In accordo con la letteratura religiosa del tempo, che mirava a ritrovare il divino in ogni più minuto aspetto della realtà.

Qualcuno ha detto che: "più che un genere pittorico, la natura morta sembra essere per Zurbarán un atteggiamento, una disposizione d'animo"
E in effetti, questi dipinti, che apparentemente non raccontano alcuna storia, possono aiutare a intuire qualcosa di più sul carattere del pittore e sul suo sguardo verso il mondo.
Con il loro rigore quasi ascetico ci parlano- e i documenti lo confermano- di un artista riservato, di un uomo taciturno, dell'umiltà del figlio di un contadino approdato alla pittura per sfuggire alla miseria, di uno di quelli che "non si sanno vendere", ma che sanno fare, con la ruvida onestà di un artigiano, il loro mestiere.
Un pittore, che nel pieno del Seicento spagnolo, il periodo che si usa definire "el siglo de oro/ il secolo d'oro", sembra schiacciato tra la grandezza di Diego Velazquez e il sentimentalismo devoto di un artista più giovane come Bartolomé Esteban Murillo. Sentendo di non avere né l'intraprendenza dell'uno, né la popolarità dell'altro.

Nella Spagna di Filippo IV, orgogliosa di definirsi "cattolicissima", Zurbarán vive tra Siviglia e Madrid, costretto a contendersi con altri pittori un mercato limitato, fatto quasi esclusivamente di committenze religiose per le innumerevoli chiese, cappelle e sagrestie che sorgono ovunque. 
Pochissimi sono i ritratti che gli vengono richiesti dagli esponenti dell'aristocrazia, mentre l'unica commissione per un palazzo reale, quello del Buen Retiro a Madrid, gli verrà offerta dall'amico Velazquez, ben più introdotto di lui negli ambienti della corte. 

Senza grandi protezioni, Zurbarán continua a condurre la sua attività tra continue difficoltà finanziarie, ma sempre col suo fare modesto e con il suo grande riserbo. Due grandi qualità di carattere.
Le stesse che si ritrovano in queste nature morte, dove ha saputo elevare la rappresentazione di oggetti quotidiani alla dignità di un'opera d'arte. 
Con una sobrietà che ha affascinato artisti che vanno da Chardin, a Cézanne a Morandi e che arriva a commuoverci ancora oggi. 

In un periodo come il nostro, invaso dalla faciloneria, dalla superficialità, da parole troppo gridate e da gesti ostentati, la silenziosa poesia di questi due piccoli dipinti sembra invitarci a un altro percorso: quello della semplicità e del rigore. 
Fino a farci scoprire il senso del sacro nascosto nei più umili dettagli della realtà e a farci intravedere, dietro quelle rappresentazioni così apparentemente insignificanti, una finestra aperta sull'assoluto.
Se guardiamo i due dipinti con attenzione, sembra quasi di avvertire, in quella combinazione di realismo e di tenerezza per i poveri recipienti di tutti i giorni, la sensazione di una presenza. 



Come se un "dio delle piccole cose" potesse manifestarsi anche nell'acqua limpida di una tazza, in una coppa di metallo, in una brocca, o nei petali sfioriti di una rosa.






Un grande scrittore,W.Somerst Maugham, offre un bellissima interpretazione di Zurbaràn in un testo dedicato al pittore (ed. Skira 2013, traduzione di Masolino D'Amico)



16 commenti:

  1. Sono molto moderni, questi oggetti così affascinanti nella loro essenzialità. Vorrei averti come guida ogni volta che vado a una mostra!

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    1. E chissà che la mostra di Zurbarán ( o un'altra) non la vediamo insieme quando arrivi in Italia.

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  2. Una mostra che devo assolutamente vedere e non mi farò sfuggire le tue nature morte!
    Ciao
    Marco

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    1. Marco, Ferrara è molto vicina a Bologna. in mezz'ora di treno ci arrivi e ti assicuro che vale la pena!

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  3. spero proprio di riuscire ad andare a vedere la mostra! Il tuo pezzo, attento e rivelatore, me ne ha accresciuto il desiderio.

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    1. Luisa, dopo Ferrara la mostra sarà a Bruxelles. Non puoi sfuggire: se non riesci in Italia mi dovrai venire a trovare in Belgio!

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  4. Mi dispiace di avere visitato la mostra prima di aver letto il tuo articolo e di non essermi soffermata sui dipinti che tu descrivi in maniera esemplare. Penso che dovrò ritornarci !
    Sara

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    1. Sara, semmai la puoi rivedere a Bruxelles (sarà la seconda sede dopo Ferrara)!|

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  5. Bello questo post! Molto delicata l'idea del "dio delle piccole cose" che penso derivi dal titolo di un romanzo.Mi ha fatto venire voglia di vedere la mostra e di guardare bene le nature morte delle quali tu parli
    Saluti
    Anna

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    1. Grazie, Anna! La mostra a Ferrara dura fino ali primi di gennaio: il tempo ci sarebbe...

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  6. Grazia mi stai insegnando a guardare con altri occhi ed ogni volta è una bellissima scoperta.

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  7. Questo Zurbaràn mi sta quasi simpatico, per questo suo basso profilo...
    quanto a te: sapevo che avresti scritto un grande post.
    Buona domenica.

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    1. Come avrai capito Zurbaran sta molto simpatico anche a me: merito del ritratto straordinario che ne fa Somerts Maugham nel suo saggio, che consiglio di leggere anche a te!

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  8. Complimenti. Il blog è una delizia

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  9. Doveva essere simpatico anche ad Onofrio Martinelli dacché una sua opera è intitolata " omaggio a Zurbaran".

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