Un cupo imperatore sempre chiuso nel suo castello, un pittore indaffarato e un antico mito dimenticato.
E, infine, questo quadro, ora alla National Gallery di Londra:
Che succede sull'Olimpo? Nella camera di Giunone
regna il caos: il grande letto a baldacchino con le lenzuola candide e i preziosi drappi
di seta è tutto in disordine.
Intorno, gli Amorini svolazzano confusi con
il loro armamentario di fiaccole accese, di frecce e di reti di inganni. I due
pavoni, sacri alla Dea, guardano impauriti da un angolo.
La causa di tanto sconquasso è l'improvviso
arrivo di Giove, accompagnato dall'aquila che custodisce i suoi fulmini tra gli artigli.
Il padre degli Dei ne ha combinata un'altra delle
sue.
Ha approfittato del sonno della moglie Giunone per precipitarsi ad attaccarle al
seno il figlio Ercole, avuto da uno dei suoi tanti amori illegittimi: sa bene
che il latte della Dea è l'unico modo per assicurare al bambino l'immortalità.
Ma il piccolo Ercole, vigoroso fin da neonato, comincia a prendere il latte con una tal
voracità da svegliare la dea che, stizzita, si alza di colpo e lo respinge.
La
storia non finisce qui: le gocce di latte che schizzano nel cielo vanno a formare le stelle
splendenti della Via lattea, mentre quelle cadute sulla terra faranno nascere candidi gigli.
Così Tintoretto (1519-1594) narra, per la
prima volta in pittura, l'origine della Via lattea, recuperando un antico mito, di cui si era persa memoria. Siamo negli anni '80 del Cinquecento e
Tintoretto, dopo la morte di Tiziano, è il pittore più richiesto di Venezia.
Il
lavoro è davvero tanto nella sua bottega sul Rio della Sesa, dove si è
trasferito con i figli e uno stuolo di collaboratori.
A prima vista lo si direbbe fin troppo occupato a riempire con le sue grandi tele di storie di Santi le chiese e le sedi delle Confraternite, per
mettersi a ricercare mitologie inconsuete da riproporre nei suoi dipinti.
E poi, come gli piace
ripetere, lui non è un intellettuale, ma un artigiano: piuttosto che stare a
capo chino sui libri a riscoprire vecchi racconti, preferisce sperimentare, mescolare colori o, creando modellini, studiare luci e ombre delle sue complesse composizioni.
Ma Tintoretto è anche un uomo d'affari ed è pronto a soddisfare ogni desiderio dei committenti, soprattutto quando si tratti di personaggi
illustri e disposti a pagare bene. In quel periodo ne ha giusto trovato uno e
non intende lasciarselo scappare.
A Venezia, da tempo, arrivano "antiquari"
e mercanti d'arte da tutta Europa per acquistare opere da proporre agli esponenti della più alta aristocrazia: la pittura veneziana, con i suoi sontuosi
colori, ha conquistato tutti.
Ottavio Strada è uno di questi. Figlio di Jacopo immortalato in un ritratto da Tiziano (ne ho parlato qui), ha ereditato dal
padre un grande fiuto per gli affari, un occhio capace di distinguere i
capolavori e, soprattutto, il ruolo di procacciatore di opere d'arte
per uno dei collezionisti più titolati: Rodolfo II d'Asburgo. E ora sta cercando
per lui, qualche dipinto mitologico, qualche "favola", con cui si
possa dilettare.
L'imperatore Rodolfo, si professa pubblicamente
"cattolicissmo", ma- e non è l'unico- nel segreto delle sue
stanze, preferisce ai quadri devoti, soggetti mitologici, magari arricchiti dal sottile erotismo di qualche bel nudo.
Introverso, e malinconico, ha ceduto quasi tutto il
potere al fratello, per dedicarsi a Praga, dove ha trasferito la sua
corte, al suo gusto per le raccolte d'arte e alla sua passione per le bizzarrie, incrementando con
gli oggetti più disparati la sua Camera delle meraviglie.
È un grande appassionato di astrologia e di alchimia e alla sua corte ospita artisti raffinati,
ma anche maghi e cultori di scienze occulte, che spera possano trovare rimedio alle sue inquietudini. Si sa che per avere quello che vuole è disposto a spendere qualsiasi cifra.
Insomma, a un personaggio del genere, che, a detta dei contemporanei, "disprezza l'ordinario e non ama che lo straordinario e il meraviglioso" non basta, certo, una "favola"
qualsiasi.
Ottavio Strada ha subito commissionato il dipinto a Tintoretto: lo conosce da tempo ed è convinto delle sue capacità. Ma ora il problema è scoprire un soggetto capace di solleticare la curiosità del suo incontentabile imperatore.
Il caso, o il destino, stavolta danno una mano.
Il caso, o il destino, stavolta danno una mano.
Proprio in quegli anni è stato ripubblicato a Venezia un antico testo
bizantino, in cui si narra di mitologia greca e delle origini della Via Lattea.
Forse è lo stesso
Ottavio Strada o forse qualche dotto amico a suggerire a Tintoretto quel racconto talmente suggestivo da accontentare ogni fantasia.
Ora la responsabilità di dare immagine alle parole è tutta del pittore. E lui, da par suo, ci riesce. Quel "praticon di man", come lo definisce Marco Boschini nel 1660 nella sua "Carta del navegar pitoresco", sa bene come restituire vita a quell'antico mito.
Ora la responsabilità di dare immagine alle parole è tutta del pittore. E lui, da par suo, ci riesce. Quel "praticon di man", come lo definisce Marco Boschini nel 1660 nella sua "Carta del navegar pitoresco", sa bene come restituire vita a quell'antico mito.
I colori vivi, i dettagli accurati, come le perle che ornano i capelli di Giunone o il bordo ricamato del baldacchino, la composizione mossa con figure in diagonale e l'invenzione dello scorcio ardito del corpo di Giove, fanno del dipinto uno di quei "teatri pittorici", per cui è diventato famoso. Il corpo bianco della Dea spicca sul candore delle lenzuola e dà luce all'intera composizione, mentre le stelle, nate dalle gocce di latte, si incastonano nel cielo, color dell'indaco, come brillanti.
In più, da artista consumato qual è, riesce anche a strizzare l'occhio alla passione di Rodolfo per l'astrologia: i fulmini che l'aquila, simbolo di Giove, ma anche del potere imperiale, tiene tra gli artigli, prendono la forma di un granchio e alludono al cancro, suo segno astrologico. Mentre la fiaccola e le frecce degli Amorini possono ricordare i misteriosi simboli dell'alchimia.
Mescolando piacere per gli occhi e riferimenti nascosti, Tintoretto ha superato la prova: avrà il suo compenso e il quadro entrerà a far parte, fra le opere più belle, della collezione di Rodolfo d'Asburgo.
Tutt'e due, pittore e imperatore, possono dirsi soddisfatti.
E chissà che entrambi non si sorprendano talvolta, guardando il cielo, a immaginare, trasformate nelle brillanti costellazioni della Via lattea, le candide gocce di latte della regina degli dei.