martedì 1 dicembre 2015

I Mesi degli Arazzi Trivulzio: dicembre




Undici mesi di questo 2015 sono già passati e siamo ormai arrivati al dodicesimo: dicembre 
Non ci resta, dunque, che andare a vedere cosa raffiguri l'ultima scena del calendario che ci ha fatto compagnia per tutto quest'anno: gli arazzi con il Ciclo dei Mesi ora conservati al Castello Sforzesco di Milano, commissionati agli inizi del Cinquecento da Gian Giacomo Trivulzio, all'epoca governatore della città ed eseguiti dalla manifattura di Vigevano, sotto la guida di Benedetto da Milano su disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (1460 ca-1530).
Ed ecco allora come appare dicembre:



La scena, come al solito, è circondata da una cornice con gli stemmi dei Trivulzio e della famiglie ad essi imparentate.
In alto, al centro, appare il grande stemma dei Trivulzio, a sinistra compare il sole, mentre a destra è visibile la rappresentazione del segno zodiacale del mese: il Capricorno.
Nel cartiglio in basso sono descritte le caratteristiche di dicembre: "Gaudere parto cum grege / casa frui ucupet et sues / salire prolis ingerit / December operam inertibus Dicembre dà il modo di rallegrarsi in casa per il gregge appena nato e per l'uccellagione, fa salare il porco e dà da fare ai bambini oziosi"
"In casa": dice, dunque, l'iscrizione. 
E in effetti anche la scena dell'arazzo si svolge al riparo dal freddo dell'inverno, nel chiuso di una grande sala, coperta da volte a botte e con un pavimento ornato da riquadri colorati, mentre, all'esterno, gli alberi sono spogli e solo pochi passanti si aggirano tra i grandi edifici dominati dalle montagne sullo sfondo. 
All'interno, invece, è tutto un via vai di gente, servi e contadini, che sembrano per lo più occupati nelle fasi della macellazione del maiale, l'attività tipica del mese, di cui, però, Bramantino, nei suoi disegni per l'arazzo, ci ha risparmiato i particolari più cruenti. 



Al centro, in basso, sopra un fuoco tenuto vivo da un servo inginocchiato, in un grande pentolone con due mestoli appesi, cuociono le carni destinate alla confezione di salumi e salsicce.
A  destra, due maiali selvatici si stanno avvicinando a un trogolo pieno di ghiande mentre, lì accanto, un servo è già pronto con la grande mazza che servirà a stordirli prima dell'uccisione.
A sinistra, un uomo è occupato a gonfiare le vesciche di maiale, che serviranno poi a contenere lo strutto, come fossero palloncini per divertire i bambini.
In basso, sul pavimento, insieme a una distesa di frutta e verdura di stagione - rape, pere e mele - compare una piccola sedia, una cosiddetta "comoda", destinata ai bisogni dei più piccoli.

In secondo piano, continua l'animazione con tutta una serie di persone che passano, trasportano i maiali o levano in alto coppe piene di vino o, forse, del sangue riservato ai sanguinacci.
L'atmosfera sembra febbrile, quasi si stesse preparando una festa o un rito: in effetti Bramantino, come sempre, mescola elementi tratti dalle attività agricole a quelli ripresi dalla cultura classica. 
E, in questo caso, l'allusione è alle feste dei Saturnali che si celebravano nell'antica Roma tra il 17 e il 21 dicembre, tra banchetti, cortei, licenze e libertà di comportamento. 


Se guardiamo bene,vediamo che il mese stesso, raffigurato come un uomo vecchio che sorregge un falcetto e con i piedi legati da una robusta  corda, è niente di meno che la personificazione di Saturno. 
Secondo la tradizione, nelle feste del mese di dicembre si liberava il dio che doveva riportare sulla terra l'età dell'oro, o meglio, il "beato disordine" dei tempi, in cui  gli dei si mescolavano agli uomini. 
Per il resto dell'anno, per il suo potenziale sovversivo, Saturno rimaneva imprigionato con le caviglie legate da lacci di lana, i cosiddetti "compedes", e veniva liberato solo nei giorni della sua festa, in cui era costume non solo scambiarsi doni ma anche i ruoli tanto che nei banchetti gli schiavi venivano serviti dai padroni.


In questa atmosfera di festa e di gioiosa allegria, i mesi variopinti degli arazzi, voluti da Gian Giacomo Trivulzio per celebrare la "nuova età dell'oro" rappresentata dalla sua signoria sulla città, prendono congedo

Il 2016 è alle porte e per l'anno nuovo, ovviamente, calendario nuovo! 





Un approfondimento delle vicende storiche e dell'iconografia degli arazzi è in:
G.Agosti e J.Stoppa, I Mesi del Bramantino, ed.Officina libraria 2002


venerdì 13 novembre 2015

Il mondo parallelo di Rodney Smith




Se c'è una qualità di cui non si ha mai abbastanza è la leggerezza, quella che, come voleva il grande Italo Calvino, non è mai da confondere con la superficialità, né con la sventatezza.
Ed è proprio la leggerezza alla Calvino quella che contraddistingue le foto di Rodney Smith, un grande fotografo americano nato nel 1947, autore di libri, protagonista di mostre e docente universitario. 
Insomma, un fotografo più che famoso, ma che io ho scoperto quasi per caso in questi giorni, mentre navigavo nel grande mare di internet e sentivo, come non mai, il bisogno di distrarmi da quello che succede intorno.
Le sue foto, per lo più in bianco e nero, rigidamente su pellicola e senza alcuna manipolazione digitali, mi sono parse da subito capaci di trasportarmi, quasi per magia, in un suo mondo parallelo, reale e irreale insieme, un mondo a parte, influenzato dal surrealismo e, soprattutto, dalla pittura di René Magritte.

A partire dall'abbigliamento dei suoi personaggi spesso in doppio petto e cappello, impeccabili anche quando spuntano tra le piante di un campo, armati di grandi cesoie


E anche quando si arrampicano su una scala, sempre con grande signorilità, per spiare oltre una siepe


oppure quando, come in un fumetto, cercano di vedere cosa succede dall'altra parte, infilando la testa tra le foglie



e, addirittura, quando, quasi completamente interrati, ma - si suppone- con lo stesso aplomb lasciano intravedere solo lucidi e  pulitissimi stivali.


Quelle di Rodney Smith sono sempre immagini fuori dal tempo, dal frastuono dell'attualità e delle mode passeggere. 
"La musica di oggi è discordante - afferma in un'intervista- l'arte, concettuale o meno, mi sembra volgare; la cultura è poco raffinata, manca di stile e di grazia... Il mondo delle mie fotografie è un mondo fuori del quotidiano: ci obbliga ad aspirare a qualcosa di più e a ricercare la civiltà e il garbo di un sorriso".
Ecco, è proprio il dono di un sorriso quello che Rodney Smith ci regala con immagini che, come questa del 2001 intitolata "Uomini con due scatole in testa", sembrano uscite da un film dei fratelli Marx o del primo Woody Allen


oppure come questa  di strani duellanti che si sfidano, in mezzo all'erba, a colpi di fotografie 


o di questi due cacciatori di farfalle che corrono dietro alle loro lievi prede con abiti bianchi e retini dall'aria ottocentesca


Certamente, in tutti i casi, si tratta di immagini raffinate che rimandanocome ammette lo stesso Rodney Smith, ai grandi maestri della fotografia, da Alfred Stieglitz a Henri Cartier Bresson, se non addirittura alla pittura dell'Ottocento o alla stilizzazione di certe stampe giapponesi.
Basta guardarle una dietro l'altra per lasciarsi affascinare dal misto di ironia e di levità dei suoi personaggi che possono ricordare protagonisti del cinema muto tra Harold Lloyd o Buster Keaton, come questo uomo che quasi  sparisce dietro un megafono


o  questo robusto signore che, in questa foto del 2001, intitolata "Un esercizio molto lento" sembra decisamente poco disposto al movimento 



E che dire poi di questa elegante signora che, nella foto del 2011 intitolata "Viktoria sotto il paralume", sorregge con classe niente di meno un abat-jour?


o di questo incauto passeggero che sembra essersi spinto decisamente troppo oltre


oppure di questo raffinato  gruppo di signori alla moda che, in una foto del 1995, ricompone, come in un balletto, lo "Skyline dall'Hudson River" di New York



L'impressione è  Rodney Smith si diverta spesso a giocare con le nostre sensazioni, cambiando le carte in tavola e spingendoci a guardare la realtà da un altro punto di vista, magari attraverso una lente di ingrandimento


oppure, come uno dei suoi personaggi in questa foto del 2012, arroccati in cima a una scala con un binocolo



L'intento sembra quello di sovvertire i luoghi comuni, di divertirci e di divertirsi a immaginare quanto può essere diverso il mondo se, come in questo autoritratto che tanto somiglia Magritte, lo si osserva non attraverso una macchina fotografica, ma attraverso una fotografia.





Chi vuole saperne di più sul concetto di fotografia di Rodney Smith può visitare il suo sito (qui è il link) o leggere una delle sue interviste (qui) 
Un video con altre foto di Rodney Smith è qui 



domenica 1 novembre 2015

I Mesi degli Arazzi Trivulzio: novembre



Sembra ieri che l’anno è cominciato e, invece, siamo già a novembre, il nono mese secondo il calendario romano da cui ha preso il nome.
È, dunque, arrivato il momento di guardare cosa ci riserva la penultima scena del calendario che ho scelto per quest’anno: gli arazzi con il Ciclo dei Mesi ora conservati nel Castello Sforzesco di Milano, commissionati agli inizi del Cinquecento, da Gian Giacomo Trivulzio, all'epoca governatore della città, alla manifattura di Vigevano ed eseguiti su disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (1460 ca- 1530).
Ed ecco, come appare il novembre di cinque secoli fa


Come succede in tutti gli altri arazzi, la scena è circondata da una cornice con gli stemmi dei Trivulzio e delle famiglie ad essi imparentate. 

In alto, al centro, appare il grande stemma dei Trivulzio, a sinistra è raffigurato il sole, mentre a destra compare la rappresentazione del segno zodiacale del mese: il Sagittario.
Nel cartiglio in basso, sorretto non da un'ara classica come negli altri Mesi, ma da un paiolo di rame ricolmo di polenta chiara, una scritta illustra le caratteristiche di novembre:
"Prata innovat olae cavet/ capris coire dat legit/ glandem arbors lina apparat/ november arma et rustica Novembre rinnova i prati; cura l'olivo, fa accoppiare le capre, raccoglie la ghianda della quercia, prepara il lino e gli strumenti agricoli

Al centro, seduto su un tavolaccio, il Mese è raffigurato come un burbero fattore, vestito di abiti pesanti, con i lineamenti grossolani e tanto di pappagorgia che, con un gesto imperioso della mano, dirige una serie di attività legate al mese.
In primo piano, seduti su un tappeto a scacchi colorati, dei bambini vestiti all'antica bevono il latte da delle scodelle o accorrono verso un uomo e una donna che sembrano distribuire loro le scarpe necessarie all'inverno, mentre un'altra donna avanza portando sulla testa un paniere pieno di zoccoli di legno. 
A sinistra, un gruppo di uomini in corte tuniche completate, a volte, da calzabraghe aderenti, si occupa della fabbricazione degli strumenti agricoli dalle vanghe, alle asce, ai forconi e della costruzione dei carri, come dimostrano le due sezioni di ruota che giacciono sul pavimento.
La parte destra  è tutta occupata dalla rappresentazione delle fasi della faticosa lavorazione del lino: gli steli delle piante, già sottoposti a macerazione, una volta essiccati, vengono battuti con uno strumento apposito per liberare le fibre dalle parti legnose. 
Le fibre vengono poi pettinate con pettini dai denti via via più fitti per sciogliere i nodi, in modo da ripulirle il più possibile prima di essere filate.

Come sempre, Bramantino, si mostra ben informato sulle attività agricole, anche se con la sua accesa immaginazione, la sua passione per gli scorci prospettici o le sue ambientazioni all'antica, le sa trasfigurare, trasformandole in scene senza tempo dove elementi realistici si mescolano a elementi di fantasia. 
Così i contadini di Novembre compiono i lavori tipici del mese non all'aperto, ma in un improbabile ampio salone, dove, attraverso un arco, si intravedono gli edifici di una città, mentre, in alto, il sole pallido e malinconico che illumina la scena annuncia già l'arrivo dell'inverno.





Un approfondimento delle vicende storiche e  dell'iconografia degli arazzi è in G.Agosti e J.Stoppa, I Mesi del Bramantino, ed. Officina libraria 2002

giovedì 1 ottobre 2015

I Mesi degli Arazzi Trivulzio: ottobre




Siamo in ottobre, il decimo mese dell'anno, l'ottavo secondo il calendario romano, da cui ha preso il nome. 
Vediamo, dunque, cosa ci riserva questo mese, in cui domina ormai l'autunno, nel calendario che ho scelto per quest'anno: gli arazzi con il Ciclo dei Mesi, attualmente conservati al Castello sforzesco di Milano.
I dodici grandi arazzi (larghi più o meno cinque metri) furono commissionati agli inizi del Cinquecento, da Gian Giacomo Trivulzio, all'epoca governatore di Milano, alla manifattura di Vigevano ed eseguiti su disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (1460 ca- 1530).
Ed ecco, allora, l'ottobre di cinque secoli fa


Come sempre, la scena è circondata da una cornice con gli stemmi dei Trivulzio e delle famiglie ad essi imparentate. 
In alto, al centro, appare il grande stemma dei Trivulzio, a sinistra è raffigurato il sole, mentre a destra c'è la rappresentazione congiunta dei due segni zodiacali del mese: Bilancia e Scorpione.
Nel cartiglio in basso al centro una scritta illustra le caratteristiche del mese: "Frumenta terra reddere/ stabilisce, apibus et vineis / cavere pomisqe inseri/ October arborem et monet: Ottobre spinge a restituire il grano alla terra, a provvedere alle stalle, alle api e alle vigne e anche a innestare gli alberi". 
Il mese, che nella scritta appare ancora pieno di attività agricole con la terra che non ha ancora cessato di dare frutti, è rappresentato come un uomo maturo vestito di rosso, un fattore che amministra, con oculatezza, le sue terre.

Seduto a un tavolo, tra i libri e un calamaio, sorregge sulle spalle un bastone a cui sono legate due chiavi e, con la mano sinistra, indica il sole, mentre, con la destra, sorregge un grande registro aperto su una pagine in cui è scritto: "Vanoto da Monça de dare per seme de fromento i(m)p(re)stato a dí 10 de otobre III" . 
Il registro non è affatto opera di fantasia: Bramantino probabilmente ha avuto occasione di accedere davvero ai registri relativi ai possedimenti del Trivulzio e si è appuntato i dati di un vero documento: Giovanni da Monza (Vanoto de Monça), attestato mentre sta ripagando le sementi che ha ricevuto in anticipo, figura nei documenti come un fittavolo di Gian Giacomo Trivulzio fino dal 1506. Un elemento preciso e reale, dunque, che l'artista mescola al suo gusto per le ambientazioni fantastiche, i richiami alla classicità e gli scorci prospettici.



La scena si svolge in una sala con un pavimento a scacchi colorati e un loggiato aperto sull'esterno.
A sinistra avanzano tre contadini, uno porta un setaccio, un altro delle pere, mentre il terzo guarda verso lo spettatore. 
A destra, invece, ci sono tre donne, una arriva con un grande cesto di nespole sulla testa, la seconda regge un mazzo di carote e la terza indica la personificazione del mese.
Sullo sfondo, sosta un altro folto gruppo di contadini, mentre dal loggiato si intravedono due alberi ormai privi di foglie.
In primo piano, sono ben visibili quattro panieri che formano una sorta di natura morta autunnale, pieni come sono dei prodotti agricoli del mese, da una parte pere e mele cotogne, dall'altra carote e rape: la prova che l'autunno è ancora un buon periodo per i raccolti e che ottobre può dirsi un mese di abbondanza. 
Anche il committente degli arazzi, Gian Giacomo Trivulzio, probabilmente si ritiene soddisfatto di una rappresentazione che dimostra come le sue terre siano floride e  i contadini ben preparati ad affrontare i rigori dell'inverno.